Deep Purple – Sinfonia Regale

Il 09/01/2000, di .

Deep Purple – Sinfonia Regale

Ed eccoci ancora una volta al cospetto del mito. Sarà altisonante, forse anche un po’ retorico, però sfido chiunque a trovare un altro termine per definire Ian Gillan. E’ inutile, una persona che ha dato il là, assieme ai suoi Deep Purple, al mastodontico carrozzone dell’ heavy metal, che ha inciso un album intero con l’ausilio di un’orchestra in un periodo dove estrapolare anche solo un violino dal suo contesto naturale era considerata un’eresia e che ha scritto una song come ‘Smoke On The Water’, la classica song che anche mammà e papà conoscono nonostante non capiscano un’H di musica, deve di diritto fregiarsi del titolo di ‘mito’. Chiunque, a prescindere dai gusti musicali o dalle particolari simpatie per questo o per quest’altro gruppo, deve nutrire rispetto nei confronti di questo artista e di quello che ha fatto in trent’anni di carriera e, a maggior ragione, deve portare grandissima stima verso una persona che, nonostante tutto, ha saputo rimanere così com’era trent’anni fa, disponibile all’eccesso, cordiale nel suo modo di trattare con la gente e di confrontarsi in continuazione con chi gli sta di fronte. Un esempio emblematico: Ian Gillan doveva essere da noi raggiunto telefonicamente a mezzogiorno. Un piccolo problema tecnico fa però si che la nostra telefonata gli arrivi con mezz’ora di ritardo. Problemi? Isterismi da rock star? Intervista cancellata? Assolutamente no! Gillan ci prega di dargli cinque minuti di tempo, fa un giro di telefonate, sposta qualche intervista e dopo una manciata di minuti eccolo pronto a rispondere alle nostre domande. Da brivido, se si pensa alla levatura del personaggio e il modo in cui si sarebbero comportati altri artisti minori nella medesima situazione! Fortunatamente, però, tutto è andato per il meglio, e meno male! Perché l’occasione per questa chiacchierata era proprio di quelle da non perdere. I Deep Purple hanno infatti realizzato, a trent’anni dall’originale, un nuovo ‘Concert for Group & Orchestra’, ancora una volta con la London Symphony Orchestra, però assieme ad altri grandi musicisti che hanno voluto rendere il loro omaggio alla band inglese, su tutti Ronnie James Dio, qui impegnato in una irresistibile versione di ‘Sitting in A Dream’ e ‘Love is All’.

Come dobbiamo vedere questa nuova edizione del ‘Concert For Group&Orchestra’? Pensi possa essere considerato come un tributo dei Deep Purple AI Deep Purple e a tutte quelle persone che, in questi trent’anni, hanno condiviso trionfi della band?

“Well, questa può essere una delle ragioni per le quali abbiamo deciso di realizzare nuovamente il concerto con la London Symphony Orchestra, però non credo sia la ragione principale né la più grande. Forse tutto va cercato nel fatto che volevamo divertirci per una volta suonando quello che amiamo ancora fare. Avevamo appena finito un lunghissimo tour che ci aveva impegnato per quattordici mesi e ci siamo messi a parlare di quello che doveva essere il nuovo album in studio della band, abbiamo esaminato il materiale raccolto e, parlando anche con il produttore, ci siamo accorti che il materiale suonava veramente molto differente rispetto a quello che avevamo sempre fatto. Spinti da Jon siamo così andati a riscoprire ‘Concert For Group&Orchestra’, un lavoro che aveva destato grande clamore al tempo ma che, visto il risultato finale, non ci soddisfaceva totalmente. Ne abbiamo allora parlato, ci siamo confrontati all’interno del gruppo e, visto che l’atmosfera e lo spirito con il quale era stata accolta questa idea era quello giusto, abbiamo preso la decisione di intraprendere nuovamente la via della collaborazione con l’orchestra. Non mi sento di affermare che questo album è un disco-tributo, semplicemente è la testimonianza di come i Deep Purple si divertano ancora a suonare nonostante siano passati trent’anni dalla prima volta!”

Ma le emozioni che hai provato suonando, nel 1969, per la prima volta con l’orchestra sono le stesse provate trent’anni dopo, o qualcosa è cambiato?

“No, assolutamente, non si è trattato della stessa cosa! Molte cose sono cambiante rispetto al 1969, su tutte la nostra fama! Vedi, quando abbiamo suonato per la prima volta assieme all’orchestra eravamo molto giovani e non ancora apprezzati come lo siamo ora. Quando sei giovane e poco conosciuto, incontri dei problemi nel far valere le tue idee, quindi ci siamo trovati a suonare, in un certo senso, come ospiti, mentre oggi tutto è cambiato, eravamo noi a dirigere le operazioni e questo, credimi, è molto importante. In secondo luogo l’orchestra…quando abbiamo suonato per la prima volta con la Royal Philarmonic Orchestra ci siamo trovati a dover lavorare con musicisti di una certa età, estremamente snob, a volte sdegnati dal fatto di dover suonare con ragazzini giovani che suonavano un incomprensibile per il loro modo di vedere la musica. Era chiaro che il connubio tra musica rock e sinfonica non rientrava nel loro ordine di idee! Oggi tutto è cambiato, l’età dei musicisti impegnati in questo progetto si è abbassata, eravamo noi i più anziani del gruppo, si sono allargate le vedute e, tra i membri dell’orchestra, c’erano numerosi fans dei Deep Purple. Non ti nego che questo ci ha facilitato notevolmente le cose e ha fatto si che venisse a crearsi un’atmosfera ideale per lavorare. La colpa del mezzo fallimento del ’69, poi, ammetto che possa essere anche nostra perché, a parte Jon, noi stessi non eravamo convinti a pieno della validità dell’idea e del risultato finale di tale operazione, quindi il nostro spirito non era l’ideale per intraprendere un’impresa che, vista trent’anni dopo con gli occhi del musicista maturo, era semplicemente geniale!”

Ma è stato duro riarrangiare le vostre composizioni per l’orchestra, o è stata una cosa naturale che fa parte del bagaglio artistico di ogni musicista?

“No, non è stato difficile per noi, è stato difficile per l’Orchestra! Per quanto mi riguarda si è trattato della cosa più naturale che potesse esserci perché, dopo tutto, era sempre la mia voce appoggiata su un tappeto strumentale, quindi le emozioni che provavo io cantando assieme al gruppo le ho provate cantando assieme ad un’intera orchestra! In questo caso penso proprio si tratti di una dote che deve far parte di ogni musicista un po’ aperto di vedute.”

Ma, sinceramente, che cosa hai provato a salire sul palco con tutta un’orchestra alle tue spalle e iniziare a cantare con la musica di viole e violini che eseguono le tue canzoni?

(Sorridendo) It’s fuckin’amazing! E’ una sensazione indescrivibile che ho letto per la prima volta negli occhi di mia moglie e di mio figlio quando sono venuti a trovarmi nei camerini della Royal Albert Hall. Ero appena sceso dal palco in uno stato quasi di trance, l’orchestra aveva abbandonato la scena ed io ero restato sul palco con la pelle d’oca, capendo ma, allo stesso tempo, non capendo a pieno quello che era appena successo. Quando è venuta mia moglie nel camerino per salutarmi, le ho però letto negli occhi quello che avevo appena fatto; avevano una luce diversa dal solito, era commossa ed è subito venuta ad abbracciarmi. Vedi, la Royal Albert Hall è un edificio storico, già di per sé evoca emozioni indescrivibili, quindi invaderlo con la mia musica, con la mia voce e con un’intera orchestra a suonare quello che io ho scritto, ha fatto si che l’emozione toccasse livelli altissimi. Ora mi rendo veramente conto di quello che è successo, ora so che la Royal Albert Hall è stata teatro di un evento storico, senza dubbio il più importante della carriera artistica di Ian Gillan. E’ vero, avevo fatto la stessa cosa trent’anni prima però è stato molto più freddo, privo di tutte queste emozioni. Questa volta, invece, mi è proprio venuto da pensare ‘Oh my God, che cosa è successo!’ al termine del concerto.”

Lasciata alle spalle l’emozionante esperienza con la London Symphony Orchestra, è nuovamente tempo di lanciarsi nell’ennesimo studio album griffato Deep Purple. Che cosa puoi dirci in proposito? Avete già iniziato a lavorare al nuovo materiale?

“Well abbiamo iniziato a lavorare concretamente al nuovo studio album solamente da gennaio. Si tratta comunque di semplici idee, di spunti sui quali lavorare anche perché non ci piace arrivare in studio con pezzi già pronti e solo da registrare. Vedi, io scrivo in continuazione, ogni giorno della mia vita, però le mie sono solo idee messe su carta da elaborare tutti assieme. Credo che la totale collaborazione di tutti i membri della band sia l’unico modo per far si che venga a ricrearsi la giusta atmosfera per lavorare ad un album e donare le giuste emozioni ad ogni song. In questo modo, con il continuo confronto tra i musicisti, la musica sarà sempre fresca e anche il lavoro sarà molto più semplice. Non voglio dirti che il nuovo album sarà fantastico, credo che questa cosa te la sentirai ripetere da ogni band che sta lavorando ad un nuovo album, sicuramente posso dirti che siamo tutti molto eccitati e che stiamo trascorrendo degli ottimi momenti in studio.”

Ai Deep Purple è giustamente riconosciuto il ruolo di “padri” dell’ hard rock e, di riflesso, dell’ heavy metal. Puoi dirci come giudichi la piega che questo genere di musica ha preso ora, a trent’anni dalla sua nascita?

“Oh, questa è una domanda fantastica! Sinceramente ti dirò che non ho seguito l’evoluzione della musica, a volte ascolto qualcosa ma l’idea che la musica da noi avviata sia arrivata ad evolversi sino a questo livello mi pare assurdo. Comunque ascolto poca musica di questo genere anche per motivi puramente tecnici, perché non voglio venire influenzato dalle nuove correnti musicali al momento di incidere un album. Per questo ho dirottato il mio interesse verso la musica folk. E quando ti parlo di folk music con mi riferisco a hippy dai capelli lunghi seduti per terra a strimpellare la loro chitarra, ti parlo di musica tradizionale russa, cinese, boliviana, brasiliana, musica altamente evocativa e ricca di significati estremamente profondi.”

Il tuo stesso discorso è portato avanti da un altro mostro sacro della musica rock come Robert Plant e, in questo caso, il suo amore per i ‘suoni del mondo’ gli giungeva dai numerosi viaggi compiuti attorno al mondo durante le sue tournée. E’ lo stesso anche per te?

“Questa è un’altra buona domanda. E’ certo che una delle mie più grandi passioni è girare, incontrare la gente, entrare in contatto con la cultura del Paese che mi sta ospitando. Quando sono in tour di certo non me ne sto rinchiuso nella mia camera d’ albergo ma cerco di visitare i posti e studiare le tradizioni. Questo mi ha portato ad avere amici in ogni parte del mondo ma, soprattutto, mi ha portato a conoscere cose, suoni e musiche delle quali ignoravo l’esistenza. Vedi, quando sei bambino ti poni molte domande, guardi il mondo da una particolare prospettiva che, crescendo, viene meno perché inizi ad essere istruito prima dai tuoi genitori, poi dalla scuola. Viaggiando è stato per me come tornare bambino, ho ricominciato a guardare a queste particolari tradizioni con occhio indagatore, con la voglia di conoscere, di apprendere che solo i bambini hanno.”

Nel caso di Page e Plant, il loro amore per la musica etnica li ha portati a contaminare con essa il loro rock. Pensi potrà succedere lo stesso con la musica dei Deep Purple?

“No, assolutamente. Anche perché il folk music così come lo intendo io è molto di più della semplice musica etnica, è una musica incontaminata, ancora pura perché televisioni, giornali e music business non l’hanno intaccata. E’ quindi una musica universale che non può essere categorizzata come il rock, il pop o l’heavy metal, tanto per farti un esempio. E’ quasi una filosofia alla quale mi ispiro, mi appoggio per scrivere qualche testo di canzone, ma da qui arrivare a contaminare la musica dei Deep Purple…è l’ultima possibilità che viene data alla musica di rimanere pura ed è una possibilità che viene data a noi musicisti di trovare nuovi stimoli senza però iniziare a deturparla con stupide etichette o inutili definizioni.”

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