Deep Purple – La band, il mondo e… il cognac!

Il 31/08/2020, di .

Deep Purple – La band, il mondo e… il cognac!

Personalmente, adoro i Deep Purple. Ho il piacere di intervistarli, ogni volta un membro diverso, da ‘Now What?!’ di qualche anno fa, e trovo ogni volta dall’altra parte del microfono un artista vero, una persona soddisfatta del suo lavoro e con uno sguardo su quel mare in tempesta che è la scena rock/metal che pochissimi altri artisti hanno. Chiamala esperienza, ossa rotte, lividi o in altri modi meno brutti, ma le parole di chi ha vissuto quarant’anni di scena al fianco dei più grandi nomi del rock sono sempre illuminati per chi le ascolta. Ringraziando Metal Hammer per la possibilità, riporto venti minuti di chiacchierata con Don Airey a proposito dell’ultimo lavoro dei nostri amati Purple, ‘Whoosh!’.

Bene, partiamo subito in quarta con il nuovo ‘Whoosh!’: composizione e lavorazione mi sono sembrate piuttosto rapide: tre settimane in Germania e altre tre a Nashville. Ce ne parli un po’? Anche voi avete trovato che tutto si sia svolto piuttosto velocemente?
“In realtà, mica troppo. Anzi, direi che forse contando tutto sono state due settimane di prove in Germania e due a Nashville, ma tant’è. Direi che è un tempo normale per un album del genere. Ecco, posso darti ragione guardando i totali: dopo le settimane che ci siamo presi per provare tutti assieme, ci siamo presentati alla console di registrazione con le idee chiarissime su cosa ognuno di noi dovesse suonare, e quindi quella parte è andata via davvero liscia, penso che abbiamo registrato 13 canzoni in forse nemmeno una settimana. La cosa che però mi ha colpito è che è sembrato un po’ come lavorare a un album dei vecchi tempi… quando si suonava, le canzoni funzionavano, le registravi e via. Non c’era bisogno di fare mille modifiche su nastro perché sapevi già come la canzone avrebbe suonato.”

Ci sono due linee di pensiero su questo tuo ultimo punto. Da un lato molti pensano che il fatto di registrare tante take e incidere tante tracce poi unite crei un lavoro più ricco, più “perfetto” se mi passi il termine. Non è un pensiero solo dei tempi moderni, basta pensare alle centinaia di incisioni per ‘Bohemian Rhapsody’ nel ’75 per farsi un’idea che questo tipo di risultato è da sempre cercato nel rock. Ma in molti pensano che poche take in presa diretta rendano il tutto più spontaneo. Da che parte stai?
“Sono dalla parte della spontaneità, almeno adesso, in questa fase della mia vita. È musica rock, dopotutto. Con questo non voglio dire che se un passaggio una volta registrato non ci piaccia non lo rifacciamo o lo cambiamo solo in nome della spontaneità, ma mi piace pensare che se ti presenti preparato poi tutto sommato di brutte sorprese non ne hai. Ma c’è un aspetto che mi sento di dirti importante, e te lo riassumo in tre parlo: ‘time VS money’ (non tradotto per questioni di fedeltà al concetto originale, ndr.). Quello è un buon motivo per decidere se puntare alla perfezione come la chiami tu o se cercare di fare il meglio possibile prima per ridurre il tempo in studio che – ovviamente – costa.”

Quindi immagino, riprendendo il discorso su ‘Whoosh!’, che buona parte dell’album sia nato in sala prove, semplicemente jammando assieme, è corretto?
“Tutto l’album, direi. Ma è una caratteristica di questi ultimi album dei Purple. Ora che mi ci fai pensare, credo di non aver mai lavorato in una band che per la parte compositiva funzioni come i Deep Purple. È come se non ci fosse un compositore, non so se capisci cosa intendo. Ci troviamo, e non c’è mai una canzone da provare. Qualcuno di noi parte con un’idea, e suona qualcosa. Se è carino, gli altri seguono. Se questo processo funziona, mano a mano si aggiungono gli elementi, e alla fine c’è una canzone su cui lavorare. Ma niente nasce a casa di qualcuno che poi ce la fa sentire in sala prove. Quello che portiamo, ciascuno di noi, sono solo pezzi di canzoni, siamo solo a livello di idee. La canzone arriva dopo. Ripeto, è un procedimento un po’ unico e misterioso. Non credo che si sposi per molte altre band, ma sembra essere la formula giusta per noi.”

Su dichiarazioni di Bob (Ezrin, produttore, ndr.) stesso, apprendiamo che per lui è importante “catturare su disco l’essenza dei Deep Purple in sala prove”… Immagino si riferisca a quanto hai appena spiegato.
“Esatto, siamo sempre tutti presenti alle registrazioni, quando si fanno le parti strumentali. È parte della magia. Perché, anche se su disco non lo vedi, ci sono dei momenti che vengono catturati. È il semplice sguardo tra due musicisti prima di un passaggio o di un assolo, o qualcosa che succede mentre suoni… genera un modo di proporre il brano che poi viene salvato su nastro, e che ha qualcosa di più. Quello che facciamo registrando assieme è salvare quei momenti. Poi è ovvio che delle volte sovraincidi, ma è più per levare quello che è venuto male che non per migliorare qualcosa che va già bene così. Penso che Bob si riferisca a questo approccio.”

Venendo alla parte lirica, sappiamo che comunque i testi sono stati pensati prima che il COVID prendesse il controllo delle vite di molti. Però, rileggendo alcune canzoni, o il titolo stesso, c’è una qualche strana e un po’ inquietante connessione tra quanto Ian ha scritto e quanto è successo – e sta succedendo – nel mondo. A te non sembra? C’è qualche brano che rileggendolo ti fa pensare a qualcosa di diverso da quando è stato scritto?
“Un po’ quello che dici è vero. Ma va declinato. Che il titolo si sposi alla situazione attuale è innegabile, ma diciamo che lo era già in partenza. L’idea per il titolo viene da alcune dichiarazione di Ian (Gillan, ndr.) in alcune interviste, e prima ancora da una commedia, dove il protagonista la usava per descrivere il concetto di tutta una vita che veniva ‘spazzata via’ dopo la sua esistenza. È diventato un modo di descrivere la natura transiente dell’umanità intera, ed è chiaro come poi, sulla scia di una pandemia mondiale, questo concetto rafforzi il suo significato. Il punto secondo me è che molte canzoni di questo album parlano di attualità, di cose che vanno male nel mondo, e di come la fine potrebbe essere vicina se le cose non cambiano. Sono temi comuni, ricorrenti, ma con l’arrivo della pandemia, tutto ciò diventa più attuale, più allarmante, e cambia un po’ l’apparente significato di certe canzoni. Ma in realtà è cambiato il contesto, non il significato in sé…”

Guardando alla carriera dei Deep Purple si nota come siete spesso stati attuali. Anzi, prima eravate “avanti”, innovatori, e ora appunto risultate sempre attuali. La band è riuscita a rimanere in cima a un’onda che si muove veloce per quarant’anni e questo vi va riconosciuto. Se pensi a quanto ho detto, come pensi che ci siete riusciti, come band?
“Essendo musicisti. Credo che sia nell’idea stessa di essere musicista il fatto di cercare in qualche modo il nuovo. Più che altro, accettare il nuovo, accettare il cambiamento. Anche nelle piccole cose. Ci presentiamo in studio, registriamo un pezzo… e devi accettare il fatto che può cambiare. Che Bob proponga una modifica, che uno della band suoni qualcosa d’altro… qualcuno avrà sempre una nuova idea, e se l’accetti rimani ‘al passo con i tempi’. Devi mettere in discussione quello che hai fatto, anche se ti sembra buono, e vedrai che se accetti il cambiamento, la musica evolva da sola. Penso che il più grande nemico di un musicista sia l’autocompiacimento. “Va già bene così”. Questo ti ferma, e non ti fa essere musicista. È una lezione che ho imparato e che mi ha permesso di essere sempre un musicista.”

Credo che ora come ora una buona fetta del sound dei Purple dipenda dall’alchimia tra te e Morse… cose ne pensi al riguardo, ora che siamo all’album numero 21?
“Che quello che senti ascoltando l’album numero 21 dei Deep Purple non è il lavoro di due musicisti, ma di cinque. Non sono d’accordo perché secondo me il motore da cui nasce tutto è sempre la sezione ritmica. Voglio dire: hai Glover e Paice. Sono incredibili, puoi fare tutto con loro. È la fonte principale di ispirazione per tutti noi quello che fanno loro due. Si, certo, io e Steve ci siamo affiatati molto negli anni passati assieme, e su ‘Whoosh!’ ci siamo davvero sempre ascoltati e parlati, ma è parte del lavoro di una band. Mi fa piacere che ci trovi così caratterizzanti, ma secondo me quello che ascolti sono i Deep Purple, non Morse+Airey.”

Ma, riassumendo le ultime due domande, quale è il segreto per sopravvivere come band per tutto questo tempo?
“Essere una band. Te lo posso dire io che ho lavorato con tanti artisti, e con tante band dalla configurazione completamente diversa. C’è un modo di formare una band, e passa sempre da chi la compone. Quello che bisogna escludere è il concetto del singolo, dell’individuo. Parlando dei Deep Purple, guarda a ‘Perfect Stranger’. È un po’ il lavoro di un individuo, è Ritchie, non la band. È un album importantissimo, ma forse quella configurazione non poteva durare quarantanni. Ora i Deep Purple sono la band che vedi, e siamo arrivati fino a qui. Non c’è un segreto, fai quello che devi per andare avanti, se non ci riesci questa domanda non la puoi fare.”

Corretto. Senti, ritornando sul Covid e l’emergenza sanitaria, molti fan reclamano a gran voce di sentire suonare i propri beniamini in eventi live streaming, ma non credo si rendano conto di quanto questa cosa sia brutta per voi, per gli artisti. Non lo stream in generale, non ho niente contro di quello, ma proprio il non poter promuovere un album come si è sempre fatto. Come state vivendo questa limitazione?
“Eh, questo succede perché un tempo facevi il disco, e poi perdevi soldi andando in tour, perché organizzavi qualcosa di grandioso. Adesso è il contrario. Perdi soldi quando incidi e fai il tour per parare il colpo. Ovviamente questo rende tutto più grave per molte band perché tocca direttamente il portafoglio. Per noi… beh, per noi è brutto perché comunque il live è ciò che definisce la band. Lo abbiamo detto prima. Possiamo anche slegarci dal discorso economico, ma la musica è fatta per essere suonata, e non poterlo fare ci arreca un grande dispiacere. Ma è un discorso che va da band a band, non si può generalizzare. Chiedi a Jimi Hendrix, se fosse possibile, cosa ne penserebbe di non poter suonare. Non capirebbe. Ti direbbe: ‘e dove è il senso di comporre musica allora?’. Immagino che ognuno sia colpito a modo suo da questa situazione.”

Il tempo sta finendo, e ho ancora una domanda da fare. Il mondo del rock è frenetico, pieno di gente splendida ma anche di gentaccia. È pieno di ripetizioni, di cose che non vanno, di rotture di palle… come si sopravvive a tutto ciò senza distruggersi il fegato?
“La mia risposta alla tua domanda è… il cognac! Fidati, aiuta molto quando le cose non vanno nella nostra vita da rocker…”

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