Michael Monroe – Rock’n’Roll Degeneration

Il 12/02/2011, di .

Michael Monroe – Rock’n’Roll Degeneration

Sepolti definitivamente gli Hanoi Rocks, è nuovamente tempo per l’istrionico singer Michael Monroe di rituffarsi nella sua altrettanto ricca carriera solista. Per farlo in cantante finlandese si è affidato in un’autentica super-band ed il risultato, ‘Sensory Overdrive’ non fa sicuramente rimpiangere la storica glam band nordica.

“Non ci sarà più un futuro per gli Hanoi Rocks. Abbiamo fatto il nostro tempo, abbiamo ancora inciso tre album e pensiamo che quello fosse il massimo che potessimo tirare fuori, quindi anche per mantenere una certa integrità di gruppo abbiamo pensato fosse meglio mollare quando eravamo sulla breccia. E’ meglio così per tutti, senza alcun dubbio”. Casomai qualcuno nutrisse in se la speranza di poter vedere ancora una volta su di un palco i capostipiti del glam finlandese, può mettersi il cuore il pace. Le parole di Mike Monroe pesano come macigni in questo senso, fugando ogni dubbio su un ritorno più o meno prossimo della sua band madre. Poco male, perché seppellita questa icona del rock tutto lustrini e paillette, l’istrionico cantante finnico è tornato subito alla carica con un super-gruppo nuovo di pacca comprendente Ginger dei Wildhearts, Steve Conte dei New York Dolls, Sam Yaffa degli Hanoi Rocks, e Kalle Rosqvist dei Danzig, e con un album, ‘Sensory Overdrive’ in grado di non far rimpiangere gli ultimi lavori targati Hanoi Rocks. Proprio il singer platinato, con grande disponibilità e una sana dose di umiltà, ci porta alla scoperta di questo nuovo capitolo di una carriera ricca di rimpianti ma non certo avara di soddisfazioni.
Che significato ha per te un album come ‘Sensory Overdrive’?
“(Michael Monroe) E’ un disco fondamentale per me, perché è il disco che segna un nuovo inizio per la mia carriera solista. In questi anni il mio modo di comporre, di suonare, di cantare si è evoluto molto, e sebbene rimanga molto orgoglioso di quanto fatto sino ad oggi, penso che ‘Sensory Overdrive’ rappresenti il picco compositivo sin qui toccato. Il gruppo che mi supporta è eccellente e anche la qualità dei brani è decisamente elevata”.
Obiettivamente parlando, pensi che questo sia il gruppo migliore tra quelli sin qui avuti?
“Non mi piace molto fare il paragone con il passato, anche perché ho sempre avuto la fortuna di potermi confrontare con musicisti molto validi… diciamo però che se guardo alla mia band attuale, non potrei desiderare dei musicisti migliori. Sono ottimi, come persone, da un punto di vista tecnico e anche come attitudine”.
Ma che differenze hai riscontrato tra il lavorare come solista e l’attività con gli Hanoi Rocks?
“Vuoi sapere una cosa divertente? Mi sembra di lavorare con una band di più adesso che non quando suonavo con gli Hanoi Rocks. Con la mia vecchia band mi smazzavo tutto il lavoro con Andy, non c’era un vero e proprio lavoro di squadra, oggi siamo un gruppo affiatato, viviamo le situazioni che la vita ci propina con uno spirito molto più da band, so che può sembrare assurda una cosa simile, ma ti assicuro che è la pura verità”.
Se dovessi paragonare ‘Sensory Overdrive’ come sound e come attitudine, ad un tuo lavoro del passato, quale sceglieresti?
“Non mi piace paragonarlo a album del passato per il semplice motivo che il contesto in cui è nato non si è mai verificato prima d’ora nel corso della mia carriera solista. Il disco è stato concepito da una band vera e propria, mentre in passato tutto il lavoro se lo sobbarcava il sottoscritto. Nessun disco del passato penso si avvicini come sound e come attitudine a ‘Sensory Overdrive’, un lavoro uscito con il mio nome ma creato in situazioni e condizioni differenti da una vera e propria band”
Come primo singolo hai scelto ‘78’… Perché questo anno è così importante per te?
“Ti deluderò ma non è una canzone dedicata ad un anno particolare, più che altro ad un periodo storico. Quando ci siamo trovati a comporla abbiamo incontrato un grosso dilemma: che anno citare? ’76…’77…’78…’77…’78…Sì, ’78 ci sta bene! Alla fine quello che ci interessava era fotografare un preciso periodo, nel quale la musica ha subito una scossa molto forte in tutti i campi, dal punk alla disco. Sono uscite grandi band, sono usciti ottimi dischi e anche da un punto di vista del costume la musica ha condizionato molto il modo di vivere dell’epoca. E se pensi che molte cose uscite in quel periodo sono ancora attuali, comprendi l’importanza che quegli anni hanno avuto sulla vita di tutti noi. Dal canto nostro abbiamo cercato di ricreare lo spirito di quegli anni con un sound molto punky ma allo stesso tempo con una melodia che in qualche modo si potrebbe rifare al grande pop degli anni Settanta”.
In un altro brano, ‘Modern Day Miracle’, citi i miracoli dell’era moderna. Quali sono per te questi “fenomeni”?
“E’ un gioco di parole questo titolo, perché il miracolo moderno non è altro che la tecnologia, internet su tutto, che se da un lato risolve tanti problemi, dall’altro ne crea altrettanti. Prendi i social network: a prima vista sono ottimi perché ti consentono di tenere i contatti con gente di tutto il mondo, abbattono molte barriere, azzerano le distanze, riducono a zero i costi di comunicazione… però possono dare dipendenza, e quando, alla sera, ti sarai reso conto che hai trascorso tutto il tuo tempo davanti al monitor, cosa avrai ottenuto? Avrai perso una giornata per fare fondamentalmente nulla! Però per un musicista internet ha rappresentato anche un grande aiuto, penso solo allo scambio di file tra musicisti residenti in continenti diversi… quante canzoni sono nate a cavallo tra Europa e America attraverso lo scambio di idee e riff via mail! Sicuramente una volta sarebbe stato molto più complicato collaborare in questo modo”.
Con ‘Bombs Away’, così come fatto già in passato con ‘A Man With No Eyes’, vai a toccare dei temi socialmente impegnati, segno che in qualche modo vuoi distaccarti da quello schema trito e ritrito che vuole la canzone rock legata al trittico “sex, drugs’n’rock’n’roll”…
“Sì, non mi sono mai piaciuti i clichè e non penso di avere mai incarnato lo stereotipo della rockstar maledetta. Anche se non mi ritengo politicamente impegnato, ho sempre cercato di mettere nelle mie canzoni un punto di vista obiettivo sulle problematiche della società, o almeno ho cercato di distaccarmi il più possibile dall’abusato sesso, droga e rock’n’roll. Non penso che definendo Michael Monroe lo si possa etichettare come “rockstar canonica”, ho sempre cercato di andare oltre nei miei testi, e la gente questo penso che lo abbia apprezzato. Poi certo, ci sono canzoni più frizzanti, testi più divertenti, ma anche in questo caso ho sempre cercato di essere originale e mai scontato”.
Come è nata la collaborazione con Lemmy?
“Oh, Lemmy è fantastico. Una persona brillante, ma soprattutto un grande amico, per questo è stato un onore lavorare con lui. Abbiamo scritto insieme ‘Debauchery As A Fine Art’ e ci abbiamo poi duettato su, è stato meraviglioso. E la collaborazione è nata nel più semplice dei modi: stavamo aprendo con gli Hanoi Rocks le date inglesi dei Motorhead e puntualmente a fine concerto Lemmy mi chiamava sul palco per cantare con lui ‘Born To Raise Hell’. E’ stato un onore poterlo fare, perché ho sempre nutrito una sorta di venerazione per questa band… da questo la proposta di avere Lemmy come ospite sul mio disco solista, e quando ha accettato, non ha fatto altro che farmi immenso piacere”.
Un po’ più insolito è il duetto con Lucinda Williams in ‘Gone Baby Gone’…
“Ci piaceva l’idea di inserire un duetto al femminile in questo disco e l’idea di coinvolgere Lucinda Williams è venuta fuori da Steve Conte. Aveva avuto modo di conoscerla suonando con i New York Dolls, le aveva parlato e le aveva prospettato l’idea di collaborare ad un progetto un po’ più rock. A lei la cosa è piaciuta e quando si è trattato di iniziare a lavorare a questo disco l’abbiamo contattata, ricevendo un assenso entusiastico”.
Mike, tu ti porti dietro una fastidiosa etichetta, quella di “eterno incompiuto”. Mi spiego meglio: nel corso della tua carriera hai dato vita ad alcuni clamorosi progetti destinati a spegnersi nel giro di un disco, proprio quando parevano in grado di spaccare il mondo; penso ai Demolition 23 e ai Jerusalem Slim. Perché questi gruppi dalle grandissime potenzialità non ebbero futuro?
“Nel caso dei Demolition 23 fu colpa di problemi burocratici. Purtroppo quando si trattò di promuovere dal vivo l’album in Europa, le autorità negarono il visto al nostro chitarrista Jay Hening. Momentaneamente lo sostituimmo con Nasty Suicide, poi Nasty decise di entrare in pianta stabile nel gruppo e tutto ad un tratto ci trovammo con una vera bomba tra le mani, in tutti i sensi. Da un lato avevamo una band incredibile, dall’altro un problema enorme, perché Sami Yaffa non voleva più suonare con Nasty, quindi nacquero alcuni screzi ed alla fine Nasty lasciò il gruppo. Diciamo che non abbiamo avuto fortuna con i chitarristi del gruppo ed alla fine ci siamo dovuti arrendere. Peccato, perché se oggi in tanti parlano ancora del nostro disco, è perché era davvero valido”
Mentre i Jerusalem Slim con Steve Stevens…
“Altra grande band, ma soliti problemi. Avevamo tutto per sfondare, un accordo discografico molto buono con la Polygram, un produttore di grido come Michael Wagener, una line-up di tutto rispetto… peccato che una volta pubblicato il disco omonimo, nel 1992, la Plygram si accorse che non era quello che voleva e si tirò indietro senza promuoverlo minimamente. Questo creò un po’ di malumore e Steve decise di lasciare il gruppo decretandone la fine. Fu un peccato, perché non solo la Polygram rovinò una band dalle grandi potenzialità, ma mi creò anche tantissimi problemi per il prosieguo della mia carriera solista”.
A questo punto, se ti guardi alle spalle, pensi siano state per te più le soddisfazioni che la musica ti ha dato, o i rimpianti?
“Io no ho rimpianti, non si va da nessuna parte con i rimpianti. Io vivo alla giornata assaporando tutto quello che la vita mi ha dato e mi da ancora. Sono stato in una grandissima band, ho tenuto concerti importanti, ho collaborato con grandi artisti e oggi ho la fortuna di essere ancora in pista con un’ottima band, questo mi basta. La vita ti mette costantemente davanti a degli alti e dei bassi, il trucco sta nel non deprimersi nei momenti down e cercare di fare sempre del tuo meglio per tornare a vedere la luce”.
Nel 2010 il Sud Africa ha ospitato i Mondiali di Calcio, un segno importante anche a livello sociale. Avendo contribuito in prima persona, nel 1985, alla lotta all’apartheid prendendo parte al protetto di Little Steven cantando nel singolo ‘Sun City’, ti senti in qualche modo parte di questa rivoluzione?
“Assolutamente! Sono molto orgoglioso di aver potuto prendere parte a questo progetto, anche perché abbiamo dimostrato come la musica potesse rappresentare uno strumento fortissimo per abbattere questa barriera razziale, e se oggi penso ai Mondiali di Calcio in Sud Africa non posso non pensare che il merito è stato anche della sensibilizzazione nata con quel progetto. Musicalmente parlando è stato un sogno per me, perché mi sono trovato a lavorare fianco a fianco con veri mostri sacri come Bob Dylan, Ringo Starr, Jimmy Cliff, Lou Reed, Bruce Springsteen, Bono, Joey Ramone, Peter Gabriel… A casa conservo ancora una targa delle Nazioni Unite con la quale viene ringraziato il progetto Artists United Against Apartheid per l’importante contributo dato all’umanità nella lotta all’apartheid e per aver dato una mano a portare la democrazia in Sud Africa”.

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