Bad Bones – Reaching the snake eyes

Il 21/11/2018, di .

Bad Bones – Reaching the snake eyes Studio Report

Le interviste con i Bad Bones sono sempre esperienze surreali, forse proprio per via della natura solitamente sopra le righe dei quattro rocker piemontesi. La prima, anno di grazia 2007, con il seminale ‘Smalltown Brawlers’ ancora nell’incubatrice, si consumò in una bettola di provincia, accompagnata da litri di Brancamenta con risultati facilmente intuibili. L’ultima, con ‘Demolition Derby’ fresco di stampa, si svolse invece alle porte di un maniero diroccato sulle alture di Genova con Roberto Tiranti a far da Cicerone. Per la promozione del nuovo ‘High Rollers’ si è invece deciso di affidarci ad una dimensione più “musicale” infiltrandoci in un’ospitata che i Nostri hanno fatto a Radio Alba, una stazione locale da sempre attiva nella promozione delle band underground grazie all’appassionata azione di Andrea Chi? Dj dal passato di rock singer e dalla sconfinata volontà di fare emergere quanto di bello nasce ogni giorno “in cantina”. Un’ora di chiacchiere radiofoniche, tanti ricordi sviscerati, aneddoti, riflessioni e, ovviamente tantissima musica, quella estratta dall’ultimo lavoro dei Bones, e quella suonata in un’esclusiva jam acustica riproposta in video in coda all’articolo. Quindi l’immancabile face to face con Steve Bone a far da mattatore in qualità di fondatore della band (il batterista Lele era assente giustificato), e i fidi Max e Sergio a fornire valido supporto.

Partiamo dalle prime impressioni post ascolto di ‘High Rollers’, un lavoro che, per chi scrive, si discosta tantissimo dal precedente ‘Demolition Derby’, uno dei migliori album hard rock usciti negli ultimi anni grazie al suo carico di potenziali singoli. Il nuovo nato suona più oscuro, certamente più arrabbiato, forse più ragionato…tutti ingredienti che vanno a influire almeno in parte sull’immediatezza del lavoro. Pensate che il successo riscosso dal vostro album precedente in qualche modo abbia influenzato, a livello di “pressione”, la realizzazione di ‘High Rollers’?

“(Steve Bone) Sicuramente è un disco diverso. Quando ho iniziato a mettere giù le basi sapevo che non avremmo potuto registrare un altro ‘Demolition Derby’, perchè quello è stato un disco che ha avuto un successo importante per noi, che ci ha aperto un casino di opportunità. Ma se dopo che hai fatto un lavoro simile e ti metti a scrivere canzoni per il suo successore  ti viene da pensare “dai, è andata bene la volta scorsa, cerchiamo di ripeterci”, beh quello è il momento in cui fai la cazzata, perchè perdi in autenticità. Io mi sono sempre imposto di essere viscerale, deve uscire quello che c’è, non quello che pensi che possa funzionare. Noi non componiamo per avere 10 nelle recensioni, scriviamo perchè scrivere delle canzoni ci fa stare bene, è un discorso di necessità fisiologica. Ci siamo approcciati a questo disco con gli ingredienti che c’erano allora…io stavo attraversando un momento della mia vita decisamente difficile, opposto rispetto al momento in cui stavo per diventare papà e scrivevo i pezzi per ‘Demolition Derby’. Oggi è per me tutto più complicato ed è naturale che questa condizione si rifletta anche su ‘High Rollers’. Sono contento perchè secondo me questa cosa è arrivata, e questo percorso di trasparenza, di far passare attraverso le tracce quello che stiamo vivendo nella nostra vita, è giunto all’ascoltatore. E’ un disco certamente meno orecchiabile ma molto più potente di ‘Demolition Derby’ ed è quello che siamo noi oggi. Volevo ringraziare di cuore Max perchè già con ‘Demolition’ aveva contribuito tantissimo alla stesura dei brani, e si è ripetuto anche in questo album facendo un lavoro pazzesco. Mi sono trovato a leggere alcune strofe e mi sono ritrovato a pieno in quanto scritto. Mi sono reso conto che la sintonia tra la sua composizione e il mio mood al momento di scrivere il ritornello era totale. Siamo ad un livello di empatia tra noi quattro che ha davvero qualcosa di magico”.

“(Max) Io credo che se ti dicessi “no, abbiamo fatto un disco da zero, non ci interessa nulla di quanto fatto col disco precedente” sarei poco sincero. Penso che sia normale confrontarsi con i lavori precedenti, lo avevamo fatto con ‘Demolition Derby’ lanciando uno sguardo a ‘Snakes And Bones’…fai un passo in avanti guardando sempre prima lo scalino dal quale sei partito. Non mi sento di parlare di pressione, ma penso che sia importante guardare cosa è stato fatto prima, semplicemente per un discorso di crescita artistica e personale. Non credo che sia giusto per un musicista pensare di essere arrivato o comunque che non abbia più niente da dire solo perchè un album è andato particolarmente bene. Sono due estremi che rovinano quello che è il tessuto dell’artista. Quindi paragoni ne abbiamo fatti, ma penso che siamo stati abbastanza bravi a farli in un’ottica costruttiva”.

“(Sergio) Comunque il fatto di avere avuto un approccio old school alla registrazione, quindi tutti in sala prove a lavorare alla vecchia maniera, penso ci abbia aiutato molto, perchè ha fatto si che questi pensieri venissero alleggeriti. Noi  avevamo sempre ottime vibrazioni, buone sensazioni… non ci siamo posti molti problemi, abbiamo alzato il volume e abbiamo iniziato a suonare, scaricando tutto quello che avevamo dentro. Il resto è venuto ancora una volta in modo assolutamente naturale”

Max, sei stato  tirato in ballo da Steve in un discorso di “sintonia e empatia totale”. Ti chiedo come hai fatto a leggere così bene il suo stato d’animo e a mettere dei sentimenti suoi intimi, profondi, in queste canzoni…

“(Max Bone) Fortunatamente con i Bad Bones non c’è molto bisogno di “leggere”, perchè ci troviamo spesso in situazioni che sono condivise e comunque anche se in ambiti diversi, con persone diverse possiamo avere momenti più o meno felici, più o meno complicati, in modo decisamente simile. Quindi in realtà quando c’è questa opera di condivisione, andare a leggere tra le righe diventa un lavoro molto più immediato. Poi non c’è mai la risposta giusta o quella sbagliata, ci si confronta…E’ un discorso di comunicabilità; il fine ultimo di un disco dei Bad Bones penso sia sempre quello di comunicare qualche cosa, anche perchè non abbiamo mai raccontato storie di gruppo o personali in maniera letterale, c’è sempre una chiave di lettura comune che consente a chiunque di ritrovarsi in ciò che cantiamo”.

Steve, ricordo le nostre chiacchierate pre-‘Smalltown Brawlers’ e già allora affermasti che per te i Bad Bones erano qualcosa di terapeutico, molto più di una semplice rock band, quindi possiamo affermare che mai come oggi la musica dei Bad Bones è terapeutica, per te e di riflesso per chi la ascolta…

“(Steve Bone) Assolutamente si. Quando hai la possibilità di esprimere te stesso ma soprattutto esprimere degli angoli della tua vita che in altri modi non riusciresti ad esternare, allora stai bene. Se poi riesci a condividere questa cosa con delle persone a cui vuoi bene, crei davvero un legame molto stretto. E questo è terapia, ti aiuta a stare bene, ti aiuta ad affrontare quelle che sono le difficoltà della vita con uno sguardo diverso”.

Toglietemi una curiosità: avete composto il disco in Italia al vostro ritorno dall’ultimo tour americano, però il video di ‘American Days’ lo avete girato in America… siete forse l’unico caso al mondo di band che registra il video ancora prima di aver scritto la canzone…

” (Steve) Noi siamo andati in America per suonare, non avevamo minimamente in testa il pensiero di registrare un video, poi un giorno Roy Sotelo, nostro manager americano nonchè pazzo scatenato, ha chiamato Krista, una fotografa molto brava e ci ha  proposto di girare un video con lei visto che avevamo un day off. Abbiamo fatto delle riprese in libertà con l’idea di usare il girato per un eventuale video di un nuovo singolo di ‘Demolition Derby’, poi però i tempi di lavorazione si sono allungati e non avrebbe avuto senso fare uscire un singolo di ‘Demolition’ a ridosso del nuovo album, quindi con l’aiuto di Andrea Gianotti abbiamo montato il girato americano e abbiamo tirato fuori il video di ‘American Days’…possiamo dire che abbiamo fatto un’azione alla Spinal Tap”.

Immagino che il proprietario di quell’auto che martoriate per tutto il video sia rimasto contento…

“(Sergio Bone) Quella macchina non aveva più un proprietario mi sa… Roy è andato da questo sfasciacarrozze chiedendogli una macchina da demolire. Lui in un minuto è tornato con questa Toyota destinata al compattatore e…l’abbiamo demolita noi alla fine. E’ stato divertentissimo, bisognerebbe demolire un’auto alla settimana a mo’ di antistress. Il bello è che noi l’abbiamo graffitata, ci siamo saltati sopra, l’abbiamo presa a calci…ma quello che si è sfogato di più è stato proprio Roy che a furia di prenderla a pugni si è aperto le mani… E’ stato meraviglioso”.

Con l’America i Bones hanno sempre avuto un legame molto forte, a tratti anche controverso. Come è cambiato il vostro modo di vivere e intendere l’America da quando vivevate in uno scantinato di Wilmington tra le gang di messicani all’epoca di ‘Smalltown Brawlers’ ad oggi, che le dedicate il primo singolo ‘American Days’?

” (Steve) L’America è nata come una sfida dieci anni fa, oggi non è più tale ma è casa. C’è un rapporto con quei luoghi e con quelle persone che negli anni si è cementato al punto che è diventata una seconda casa per noi. Io con Roy e con tutti i ragazzi di Los Angeles ci sentiamo quasi quotidianamente, da dieci anni fanno parte della mia vita e quindi l’America è un posto vicino. Non è più il mito, non è più il sogno che avevo la prima volta che sono salito sul palco del Whisky A Go Go, ma qualcosa di molto più concreto, più intimo…è qualcosa che mi porto dentro. Sono rapporti umani molto forti, e anche un pizzico di soddisfazione per quello che alla fine abbiamo creato laggiù e che alla fine ci ritorna. ‘American Days’ parla di questo, del fatto che c’è un posto dall’altra parte del mondo che è incredibilmente vicino a noi. L’America è un pezzo di storia che in qualche maniera sopravviverà sempre nei nostri dischi, alla fine ci torniamo sempre e ripartiamo sempre da li. E infatti ‘High Rollers’ parte proprio da ‘American Days'”.

La cosa incredibile è il legame che siete riusciti a creare con quelle persone, più vado avanti e più mi rendo conto che vi vogliono veramente bene, ma bene nel senso più ampio del termine, un bene disinteressato, sincero…Che effetto vi fa pensare che siete riusciti ad arrivare con la vostra musica ma soprattutto con la vostra umanità al cuore di persone così lontane sia fisicamente che culturalmente da noi?

“(Steve Bone) Quella è la magia della musica. Roy è diventato un mio amico, mio fratello, grazie alla musica. Io sono andato in America pensando di riuscire in qualche maniera a trovare la mia strada come persona  e come musicista, e me ne sono tornato a casa che non avevo più un euro, non avevo più un lavoro, però avevo trovato un amico meraviglioso, e non solo lui ma tutta una serie di persone che mi hanno aiutato come nessuno avrebbe forse mai fatto. Questo perchè? Perchè mi sono sempre fatto vedere per quello che sono, senza filtri. Io sono così, ed è quello che metto anche nelle mie canzoni. Io ci ho sempre creduto; quando siamo partiti la prima volta io, Meku e Lele, ce lo siamo detti: “Ci giochiamo la pelle sul rock, non scherziamo”… eravamo convinti di questo, e questa cosa in America, dove c’è la cultura del sogno americano, delle grandi sfide, ha colpito tantissimo, quasi più gli americani degli italiani. Quando noi raccontavamo la nostra storia in Italia, la gente la vedeva quasi come un film, quando la raccontavamo in America gli americani la vedevano come qualcosa di estremamente loro, personale, intima, non come qualcosa di surreale. Questo ha fatto sì che le persone si avvicinassero a noi in un modo così forte. E se il music business in questo momento è alla frutta e ci sono davvero poche possibilità di emergere, dall’altro canto ci sono le persone, e le persone fanno la differenza. Per questo sono contento e orgoglioso del fatto che nel nostro piccolo la nostra sfida ci ha portato da qualche parte, ci ha portato a creare una serie di relazioni che alla fine sono importanti nella nostra vita anche al di fuori della musica”.

Max, a te e a Sergio manca la prima parte dell’avventura americana, quella più complicata fatta di fame, sudore e paura. Come avete vissuto questa realtà così importante per la realtà dei Bones?

“(Max Bone) Questo è un discorso che ho fatto un milione di volte a Steve al quale va tutta la nostra gratitudine. Per quanto riguarda il discorso dell’America abbiamo una visione abbastanza vicina, abbastanza simile, perchè ti trovi a passare dal sogno di poterci andare e esprimerti con la tua musica, ad approdarci realmente, conoscere delle persone, interagire con loro, diventare parte di una realtà da sempre considerata tempio di quella musica che amiamo. Passi da un sogno a qualcosa di estremamente concreto. Però mi manca la prima parte, quella più difficile, è vero, e a Steve lo dico sempre anche se forse non è mai abbastanza. Io so benissimo che quando sono entrato nei Bones era tutto bello, si partiva, si andava in America, c’era il tour pronto, la rete di contatti che ci aiutava e supportava, ma arrivarci è stata una sofferenza immensa per Steve e per gli altri ragazzi”.

“(Sergio Bone) So benissimo che io e Max nel momento in cui saliamo sul palco del Whisky A Go Go stiamo godendo di un privilegio che Steve, Lele e Meku si sono conquistati con immensi sacrifici, e per questo non possiamo che essere loro grati”

“(Steve) Questa è una cosa bellissima che ti fa capire perchè questa band vivrà ancora per molti anni. C’è un livello di condivisione e reciproca gratitudine enorme… come Max e Sergio mi sono grati per quanto fatto in America, io non finirò mai di ringraziarli per aver contribuito in un modo così forte a far crescere la musica dei Bones in tutti questi anni. Far parte dei Bones è diverso rispetto all’essere membro di un gruppo normale, è una famiglia. Io sono stato in tante band con le quali c’erano rapporti splendidi, musicisti meravigliosi…ma i Bones sono qualcosa di differente, i ragazzi lo hanno rappresentato benissimo con questo senso di gratitudine che hanno e che trasmettono anche nel modo in cui vivono la band. In Max, poi, ogni centimetro della sua pelle è una dimostrazione d’affetto per i Bad Bones, è un’esperienza molto profonda ed era quello che quando ho messo su la band sognavo. Avevo bisogno di questo, di un gruppo che fosse un manipolo di fratelli che si buttavano senza paura in un mondo che ormai era finito. Il rock è come Mad Max, siamo tutti in giro armati a cercare l’acqua e la benzina…”

Però ‘Lost Again’ è brutto, lasciamelo dire… non il brano, uno dei più riusciti dell’intero lavoro, quanto il concetto… Nuovamente persi dopo una vita passata a cercare voi stessi…

“(Steve Bone) Ma no, ‘Lost Again’ è una presa per il culo! Questo disco parla fortemente di gioco d’azzardo. Gli high rollers sono dei giocatori d’azzardo che giocano delle somme importanti ai dadi  sull’hard way. Se vai in America una delle prime cose che impari è giocare a Craps. L’hard way è la via che ti paga di più ma con il rischio massimo: tu tiri due dadi e punti tutto sullo snake eyes, ma devono uscire due “1”. Se capita ti viene pagato tipo 1.000 volte il puntato, ma hai pochissime possibilità che esca. L’high roller è quello che ci punta un milione di dollari sopra. ‘High Rollers’ doveva essere il titolo originario di ‘Lost Again’, poi essendo che il ritornello ripete ‘lost again’ abbiamo deciso di cambiarlo anche perchè era più semplice da ricordare. Però ‘Lost Again’ parla proprio di questo, di quanto sia eccitante mettersi in sfida e quanto questa cosa ti porti al confine con la droga, perchè alla fine il gioco d’azzardo è una droga, però c’è qualcosa di eccitante in tutto questo. Quindi anche se io perdo non ti dirò mai che ho perso. Noi nella musica siamo degli high rollers, perchè sappiamo già che è quasi impossibile riuscire a ottenere quello snake eyes, però noi viviamo per il brivido di quella cosa lì, per il brivido di quel numero che magari non esce…noi viviamo per l’emozione che ti da, è la sfida di chi ha già perso in partenza, è la sfida più bella ed è l’essenza dei Bad Bones. Noi non ti diremo mai che abbiamo perso, anche se abbiamo le ossa rotte, anche se siamo usciti da tante delusioni, perchè la vita di una band è fatta da tanti insuccessi e poche soddisfazioni. Sono tanti i concerti di merda con pochissime persone, sono tante le volte in cui non ti senti riconosciuto per quanto hai dato alla musica, sono tante le volte in cui vedi delle cose che non vanno bene nel business, vedi il pay to play, vedi tante cose che sono storte, però rientri in te stesso, dici cazzo, noi siamo i Bad Bones, noi siamo born to lose come diceva Lemmy, ma viviamo per vincere”.

Siete riusciti ad andare in America, siete sopravvissuti al ghetto di Los Angeles, con la vostra musica siete riusciti a crearvi una vostra credibilità tanto che negli ultimi anni ci siete ritornati da protagonisti con tour sempre più importanti riuscendo a farvi apprezzare là dove l’hard rock ha avuto inizio. Non pensi che per i Bones lo snake eyes sia già uscito tempo fa?

“(Steve Bone) Nello snake eyes gli occhi sono due, uno è dentro e uno è fuori. L’occhio dentro è quello che ha detto Max, la vittoria più grande è stare in una band con questo tipo di unione, ed è quello lo scudo che ti protegge. Al tempo di ‘Snakes And Bones’ abbiamo vissuto un periodo davvero complicato, Sergio era appena entrato nel gruppo, avevamo avuto problemi legati al music business, tutte cose esterne al discorso prettamente artistico, ma se riesci a creare nella tua band quello scudo interiore hai vinto tutto, perchè entri in sala prove e sei felice, non vedi l’ora di incontrare i tuoi compagni di band e poter proseguire con loro un discorso artistico a prescindere dal successo, a prescindere dal fatto che prendi 10 in recensione o 2, a prescindere dal fatto che vengono 2 persone o 5000 a vederti. Poi c’è la parte esterna che è quella che hai detto tu, è il riuscire a farsi riconoscere dal mondo esterno per quello che tu vali. Quindi è chiaro che la sfida viene vinta quando hai il riconoscimento esterno, però il riconoscimento esterno è legato a quanto sei bravo a venderti, c’è sempre lato positivo e lato negativo. Per me la sfida è vinta perchè per me i Bad Bones sono una potenza, in questo momento  a livello di coesione e a quanto siamo convinti non temiamo paragoni. Se poi devo pensare al lato business e agli obiettivi raggiunti, quando ero bambino il mio sogno era fare un tour in Italia e riuscire a suonare a Roma, a Brescia, a Milano…e adesso mi ritrovo che ho suonato a Mosca, ho suonato a Los Angeles, quindi nel mio piccolo la mia sfida l’ho vinta. Ci ho creduto intensamente, come uno che crede che alla fine le cose si possano fare anche se quando hai 13 anni cresci in un paesino dove il tuo compagno di banco di fa di eroina. E’ la forza di volontà che è più forte di tutto”.

Il set acustico dei Bad Bones a Radio Alba ospiti di Andrea Chi? nel video che segue:

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