Type O Negative – Keep On Rotting In The Free World

Il 07/10/2019, di .

Type O Negative – Keep On Rotting In The Free World

Alla stampa si presentava piuttosto insofferente, il Pete Steele chiamato a fare gli onori di casa nello storico Chelsea Hotel di New York, edificio sulla 23esima che tante storie maledette ha evocato, che tanti poeti ha affascinato (da Mark Twain a Dylan Thomas, fino a Patti Smith e Leonard Cohen che proprio lì trassero ispirazione per alcuni dei loro capolavori), che tanti artisti ha ospitato, dando rifugio agli ultimi scampoli di gloria da essi innalzati. Mi vengono in mente lo storico Dee Dee, che dei Ramones non fu soltanto il bassista, ma anche e soprattutto la loro primordiale linfa compositiva, oppure che dire di Sid Vicious dei Sex Pistols che proprio tra queste mura decretò la sua fine e quella della sua compagna Nancy Splugen, da lui accoltellata a morte. Qui, tra la Settima e l’Ottava Avenue, forse appesantito dal carico di fantasmi che questo posto inevitabilmente si porta dietro, Pete se ne faceva tante di domande, forse anche troppe… Tanto più che, argomento di discussione da servire alla stampa di mezzo mondo, era un album del calibro, o della “pesantezza” se vogliamo, di ‘World Coming Down’, un nervo scoperto forse, per una band arrivata quasi inconsapevolmente in cima. “Ma noi, che cazzo ci facciamo in un posto del genere?”, sembrava questo l’intercalare della band, una frase detta quasi per rompere il ghiaccio, ma più probabilmente per rimarcare una presa di posizione contraria ai voleri della loro stessa label, la Roadrunner che, sull’onda dei successi di ‘October Rust’ ma soprattutto di ‘Bloody Kisses’, provava ostinatamente a fare inquadrare i Type O Negative in un’ottica che non era la loro. Questo è il mio incipit datato 2019, atto ad introdurre la mia ultima intervista con Pete – ma sì, usiamo un tono confidenziale una volta tanto, dato che i newyorkesi l’ho intervistati numerose volte, tra gli esordi ricchi di provocazioni forzate ed aneddoti gustosi e il boom di vendite derivato da ‘Bloody Kisses’, album in rotation continua specie su MTV. Ebbene sì, solo vent’anni dopo riconosco di averlo forse assillato, il buon Pete, con la storia sui Sabbath, ma resto dell’idea, e al momento lo sto ancora ascoltando, angosciato, che un album dell’emotività e della sofferenza di ‘World Coming Down’ si fa fatica a digerire (va anche detto che, durante la lavorazione dell’album, Pete aveva perso suo padre, per lui importante figura di riferimento, giusto per ribadirne lo spinoso imprinting). Come chiudere la questione? Se fosse ancora tra di noi, a Pete mi piacerebbe invitarlo, e, muniti di un’ottima bottiglia di vino (rosso, naturalmente, Pete il bianco neppure sapeva cosa fosse…), aprirei il dibattito, ma stavolta lo farei per i Beatles, una band per me quasi sconosciuta al tempo, colpevolmente devo dire, e che per Pete, i suoi Type O Negative, e tanti gruppi che noi tutti amiamo visceralmente, sono stati l’Alpha e l’Omega della propria cultura. E non soltanto musicale. Così, tanto per buttarla in caciara…

Come mai un periodo di silenzio artistico così lungo, per i Type O Negative?
“(Pete Steele) Dopo un periodo di quattro anni, quattro anni e mezzo, siamo tornati a casa, nell’agosto del ’97, e ci siamo presi una pausa di sei mesi. Tornando poi alla lunga a scrivere delle canzoni… Il modo in cui abbiamo considerato questo album, sia noi stessi che il management, è stato: meglio fare un disco che richiede molto tempo e sforzi, ma che contiene belle canzoni. Piuttosto che realizzare una cosa affrettata e buttar giù un po’ di roba, giusto perché avevamo delle pressioni sia da parte dell’etichetta che della stampa. Ecco perché abbiamo deciso di prenderci il nostro tempo e venir fuori con il prodotto migliore.”

Però non è un fatto nuovo. Perché di solito ci mettete così tanto a registrare un album? È un tentativo per arrivare alla perfezione?
“Come ho detto penso che sia meglio prenderci il nostro tempo. Non voglio dire che l’album è perfetto, ma ci vuole tempo, perché le cose vengano bene. È difficile…”
Uno dei vostri sogni artistici era quello di trovare un’armonia perfetta fra melodia e pesantezza, diciamo una via di mezzo fra Beatles e Black Sabbath, due dei gruppi che più vi hanno influenzato, per quel che si sa…

“Cosa hai pensato quando hai sentito ‘World Coming Down’?
Che è un album strano, che ha dei brani composti da più sonorità, a volte però troppe per una singola canzone. Per certi versi più vicino a ‘Bloody Kisses’ che non ad ‘October Rust’, supportato da un sound molto “europeo”, forse per la produzione…

“(visibilmente contrariato) È un bene o un male?”
(cominciando a sudar freddo…) Penso sia un album i cui concetti non siano facilissimi da afferrare, con messaggi non alla portata di tutti, trovo che ‘World Coming Down’ sia un po’ difficile da decifrare, soprattutto per gli stati d’animo contenuti…

“Forse hai ragione. Ma penso che, in effetti, la band sia stata compresa male comunque.”

Da come hai detto prima, sei dunque dell’idea che ‘World Coming Down’ sia il gradino massimo nell’evoluzione musicale dei Type O Negative?
“È un passo, non so se sia in avanti. Ogni album che abbiamo fatto è diverso dall’altro. In qualche modo è intenzionale e allo stesso tempo non lo è, perché il gruppo cambia, come cambia la gente, gli argomenti delle canzoni, cresciamo, non necessariamente diventiamo più saggi…”

C’è però un occhio di riguardo per nuovi traguardi, per un’audience nuova o diversa?
“No, in realtà rimaniamo sempre affezionati alla nostra vecchia audience. Sono d’accordo che magari l’album possa suonare più europeo, ma è una cosa spontanea; non è che abbiamo individuato un tipo di audience, non ci siamo messi a lavorare su una canzone dicendo: ‘questa la facciamo per questo, quella per quell’altro’. Ci ritroviamo, suoniamo, improvvisiamo, e il giorno dopo magari non ci ricordiamo più niente. Non c’è niente di prestabilito nei Type O Negative.”

Il titolo dell’album è forse riferito all’avvento del 2000? Come fosse un presagio dell’annunciata catastrofe che porterà il prossimo millennio…
“Il prossimo millennio? Il prossimo millennio è un numero arbitrario. Un due seguito da tre zeri, non significa niente per me. Comunque, ritirerò i miei soldi dalla banca il 31 dicembre!”

State esplorando diverse idee quasi per sfidare il concetto di “heavy music”, stando a ‘World Coming Down’, o cosa?
“In realtà ho un apparecchio speciale a casa per ascoltare i dischi al contrario, quindi metto su i Black Sabbath… e rubo tutti i riffs! No, seriamente, non stiamo facendo niente di nuovo… Al contrario di tutti, che stanno cercando di sviluppare delle novità in senso musicale. Ma qual è il problema con le cose vecchie, con ciò che è reputato vecchio? Non vedo perché bisogna cambiare tutto. Voglio dire, quando ero piccolo non c’erano i Coal Chamber, non c’erano i Pantera, mi sto solo rifacendo a quanto mi ha colpito allora. Oggi come oggi non mi trovo a mio agio, con quanto circola nella musica.”

Non voglio dire che siete identici ai Black Sabbath, e sarebbe comunque un grande complimento, però, almeno personalmente, mi ricordate parecchio il gruppo di Tony Iommi… Per esempio la scorsa settimana, quando ho acquistato ad una fiera del disco il vinile originale di ‘Master Of Reality’; nell’arricchire la mia collezione, ho pensato quasi automaticamente ai Type O Negative… e non so esattamente il perché!
“’Master Of Reality’ in versione originale! Wow! Aveva un poster dentro?”

Sì!
“Sì? Dentro? Perché l’album ce l’ho anch’io, e nessuno ci crede, che ci ho trovato quel poster, quello con loro che stanno in un bosco…”

Esatto!

“Aveva delle canzoni in più?”

No, però mi è costato molto, circa 75 dollari… E quello che mi ha colpito di più è che ho pensato ai Type O Negative!
“Sicuramente i Black Sabbath sono una delle mie più grandi influenze, almeno fino a ‘Volume IV’. Sono quelli che mi hanno influenzato più di ogni altro, anche se sono stati importanti pure i Beatles, i Kiss, i Deep Purple…”

Ammetti però che in ‘World Coming Down’ c’è molto dei Black Sabbath?
“Non è stato intenzionale. L’intenzione primaria era quella di essere più heavy, è un album più riff-oriented…”
“(Kenny Hickey) È principalmente dovuto al fatto che abbiamo improvvisato di più, facendo continuamente delle jams. Con questo album volevamo fare qualcosa di diverso rispetto ad ‘October Rust’, facendo un passo indietro e scegliendo un approccio più di base. Se c’è da confrontarlo con i precedenti, dico soltanto che sono dischi diversi, sono separati uno dall’altro. Non vogliamo fare e rifare sempre le stesse cose. Tutto qui.”

E qual è il segreto per rimanere sulla cresta dell’onda, sul filo del rasoio? Rimanendo sé stessi.
“(Pete Steele) Non ascoltando nulla, non guardando MTV, non comprando dischi, non accendendo la radio! Cercando di non essere i nuovi Pantera o i nuovi Marilyn Manson… Se penso ai gruppi di oggi mi viene da piangere!”

Come saranno i Type O Negative tra dieci anni?
“(John Kelly) Mah, non lo so, non guardo così avanti… Sento che lavorerò in un ufficio postale (ride)!”

Oltre che per i ritocchi finali per ‘World Coming Down’, in estate sarete protagonisti in Europa con una serie di date, tra cui l’Ozzfest londinese…
“(John Kelly) No, lo show a Londra è stato cancellato. I Black Sabbath rimangono negli Stati Uniti più a lungo del previsto.”

E a Dresda, con i Moonspell?
“(Pete Steele) Davvero, non lo sappiamo. Ci devono essere i Moonspell? Ne sappiamo quanto te. Sì, dobbiamo suonare in Europa, ma non sappiamo dove.”

Pensate di presentare i nuovi brani contenuti nell’album, durante questi concerti?
“(Pete Steele) La cover dei Beatles temo che non sarà pronta. Però vorrei farne una, magari ‘Back In The U.S.S.R.’, sempre dei Beatles, ma la voglio cantare in Russia, o in russo! Comunque, primo, non mi piace suonare il materiale nuovo dal vivo perché se l’impianto fa schifo, cosa che normalmente succede, quando suoni un brano nuovo la gente non ha idea di quello che stai suonando, e magari pensa che la canzone faccia schifo! Secondo, non dipende solo da me, ma da tutto il gruppo, dal management, anche da mia madre…”

Sembra quasi una moda oggigiorno, riproporre brani altrui, sono molti i gruppi che suonano cover anche insolite. Come i Machine Head che interpretano ‘Message In The Bottle’ dei Police, oppure i Coal Chamber che riprendono ‘Shock The Monkey’ di Peter Gabriel…
“Abbiamo sempre suonato delle cover, non è una passione dell’ultim’ora. Vorrei ricordare ‘Cinnamon Girl’ di Neil Young, ‘Light My Fire’ dei Doors, ‘Black Sabbath’, ‘Paranoid’… Ci piacciono i Beatles e, siccome ‘World Coming Down’ è un album maggiormente incentrato sui riff, trovo che sia una scelta giusta, visto che ‘Day Tripper’ è una delle poche canzoni dei Beatles che iniziano con un riff (nella versione definitiva dell’album la cover è interpretata come un medley, esattamente di quattro canzoni: ‘Day Tripper’ appunto, ‘If I Needed Someone’, ‘Tomorrow Never Knows’ e ‘I Want You (She’s Heavy)’. Probabilmente un escamotage per evitare di pagare i diritti d’autore al proprietario, un certo Michael Jackson! Dato che tre brani appartengono sì a lui, ma il quarto ne possiede i diritti George Harrison. Una considerazione che si è potuta fare solo a disco ultimato, vista la decisione dell’ultim’ora, NdA)…”

Dato che siamo in tema, verrete mai a suonare in Italia?
“(Pete Steele) Noi possiamo anche andare dal manager e dirgli che vogliamo suonare a Roma…”
“(Kenny Hickey) Sì, nella Città del Vaticano!”
“(Pete Steele) … Ma se dobbiamo ad esempio suonare prima in Scandinavia, ecco che ci risponde: ‘Ok, ci vogliono due giorni di autobus e dodici miliardi di lire’. Se faremo un tour nell’Europa del sud, verremo a suonare in Italia sicuramente. Ma penso che il management sia più orientato verso Paesi diversi, Giappone, Australia, Sudamerica…”
“(John Kelly) Quei pochi soldi che ci vengono dati limitano le possibilità di spostamento. Fosse per noi andremmo dappertutto, ma non siamo noi a decidere. A noi tutti piacerebbe molto venire in Italia, attraente per il cibo, per le ragazze… Magari al nord, così non fa molto caldo.”

È vero che non vi piace molto suonare dal vivo, che non gradite intraprendere tournée lunghe?
“(Pete Steele) Penso, e credo che il resto della band la pensi come me, che non puoi avere il controllo su tutto, sulle varianti che ti trovi a dover affrontare quando vai a suonar dal vivo. Ad esempio, per alcuni concerti non riesci a fare il soundcheck. E una persona non è una rockstar, se si arrabbia perché non gli fanno fare il soundcheck! Tipo una volta, quando eravamo alle prese con un’attrezzatura affittata e con la quale non avevamo mai suonato prima! E dovevamo salire sul palco e suonare di fronte a 100mila persone non sapendo neppure se i nostri strumenti funzionavano! E questa è solo una delle cose su cui non puoi contare ma che ti servono. È davvero irritante non avere, in pratica, alcun controllo sulla tua vita. Con gli altri che fanno i soldi grazie a te… Perché l’abbiamo fatto allora? Perché siamo masochisti, e questa è la giusta punizione!”

Quindi New York rappresenta la vostra dimensione perfetta?
“Penso che vivere a New York sia più o meno come vivere a Los Angeles, Londra, Parigi. Mi piace vivere a Brooklyn perché è sporca, c’è molta criminalità, è molto calda e rumorosa, ma è quello che conosco. Anche se ci sono molti altri posti in cui sono stato. Sono appena stato in Islanda, che è molto bella e mi è piaciuta molto, ma volevo tornare a casa…”

Nonostante le radici europee che accomunano i Type O Negative stessi, il legame con Brooklyn è fortissimo dunque…
“Sai, a Brooklyn c’è molta immigrazione, io vivo in un quartiere ebreo, ci sono molti russi, coreani, sudamericani…”

Sarà perché non ci sono abituato o perché è la prima volta che vengo a New York, ma la trovo caotica, è facile sentirsi spaesato…
“Dove vivi in Italia? In una piccola città?”

Sì, niente che possa reggere il confronto con New York, viste le poche migliaia di persone che ci abitano…
“Dicono che New York non dorma mai, e trovo che sia vero. Se ti alzi alle quattro di notte e vuoi mangiar qualcosa, o fare qualsiasi altra cosa, questo è il posto giusto.”

Pete, ma ce l’hai un sogno nel cassetto?
“Sì, il mio sogno è isolarmi. Ho voglia di isolamento, sono solo un ragazzino rinchiuso in un grande corpo. Ho paura di tutto. Sogno di nascondermi, di mettermi in un angolo, succhiarmi il pollice e non rispondere a nessuno. E non vedere più il sole. Quindi, se ve ne andaste tutti, potrei farlo!”

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