Diamond Head – Un lungo cammino

Il 21/12/2020, di .

Diamond Head – Un lungo cammino

Non sempre capita la possibilità di intervistare idoli della nostra giovinezza, ma i Diamond Head sono sicuramente una di queste fortunate occasioni. Considerati ora tra i più illustri esponenti della NWOBHM dei primi anni Ottanta, si ripropongono nel 2020 con la ri-registrazione del debutto ‘Lightning To The Nations’, registrato oramai ben quarant’anni fa. Noi di Metal Hammer abbiamo quindi approfittato di questa occasione per fare il punto col chitarrista Brian Tatler sul passato della band, e sui motivi di un successo mai arrivato…

Dopo quarant’anni eccoci a celebrare un disco che ritengo abbia cambiato il volto della musica heavy metal. Per questa occasione avete deciso di ri-registrare l’intero album, in maniera più simile a come era stato inizialmente pianificato nel 1980. Questa idea la coltivavate da tempo o è stata più una decisione dell’ultimo momento?
“È stato Karl, il batterista, a suggerirlo per primo, l’anno scorso mi pare. Sapevamo che il quarantesimo anniversario di ‘Lightning To The Nations’ sarebbe caduto nel 2020, e se ne uscì con la proposta di registrarlo nuovamente con questa line-up dandogli un suono più potente e moderno. Ne discutemmo assieme e decidemmo che era una buona idea. Io suggerii di introdurre anche alcune cover – come bonus sai – e ho impiegato un po’ di tempo a pensare a qualcosa di adatto… prima di decidere per Sinner, penso che ho valutato dozzine di pezzi dei Judas! È stata una buona decisione a pensarci adesso… nel 2010 facemmo alcuni show per il trentennale in cui suonammo l’album intero, quest’anno con il COVID non si sarebbe potuto, quindi questo ‘Lightning To The Nations 2020’ è di sicuro la scelta migliore per onorare questo anniversario così importante! ”

Torniamo allora a quarant’anni fa, quando vi stavate formando, c’era un idea specifica sul sound che avreste voluto fare? Quali erano allora le vostre fonti di ispirazione?
“Beh, eravamo molto giovani, penso quindici o sedici anni. Non c’era un piano preciso, cercavamo solo di mettere insieme qualche buona canzone e trovare qualche show era decisamente il nostro pensiero principale. Fa ridere, ai tempi volevamo solo salire sul palco, non sapevamo assolutamente come fare, e figurati che a Duncan occorsero sei mesi solo per procurarsi un drumkit vero tutto suo! Ai tempi usavamo una specie di set fatto in casa con tubi di plastica, lattine e altre cose! Come influenze ognuno di noi ha portato le sue, di sicuro nel 1976 le mie erano Black Sabbath, Led Zeppelin e Deep Purple. Penso che ciò che rende una unica una band è proprio come i vari input di ognuno si fondo assieme in un unico risultato…”

A pensarci bene, anche sentendo il tuo racconto, la produzione di ‘Lightning’ fu piuttosto povera, anche per lo standard di allora. Però, tutto sommato, non pensi che proprio quel sound così scarno ma sincero caratterizzi un po’ l’album in sé? Come se fosse diventato la sua identità, per dire?
“Sì, penso di sì. L’album fu registrato e mixato nel giro di una settimana, un tempo non certo lungo ma forse più di quanto hanno avuto un sacco di altre band della NWHOBHM ai tempi. So di gruppi che non sono riusciti nemmeno a registrare un album, ma magari solo un paio di singoli. Non c’era un produttore ai tempi che volesse investire su questo sound, quindi quello che avemmo su ‘Lightning’ fu solo il tecnico del suono, che alla fine fece un lavoro pure decente, a volerla dire tutta. Il sound di quell’album ci piacque all’epoca, pensavamo fosse figo. Alla fine i Diamond Head erano una buona band, ognuno con i propri tratti distintivi e i propri punti di forza, lavoravamo assieme con entusiasmo e penso che quella registrazione catturò appunto questa approccio così pieno di energia alla musica che suonavamo. È importante che abbiamo fatto quell’album proprio a quel tempo, è ancora il nostro prodotto più famoso ed è diventato un’influenza di molte band che sono venute dopo. E pensare che appunto lo registrammo senza nemmeno un contratto discografico!”

Prima hai parlato di Led Zeppelin oltre che dei Sabbath, ma secondo me c’è moto più dei secondi nel vostro sound, piuttosto che dei primi…
“Be’, sì, hai ragione. Il fatto è che i Black Sabbath erano più facili da suonare, e ci piaceva il modo in cui le vocals di Ozzy si sposavano al riffing incredibile di Iommi. La stessa ‘Am I Evil?’ è chiaramente ispirata dai Black Sabbath. Però facevamo anche canzoni decisamente più veloci rispetto a quelle dei Black Sabbath. Mi sembra più onesto dire che suonavamo come i Black Sabbath anche se volevamo essere come i Led Zeppelin, ecco una buona definizione! Bonham, Page e Jones erano incredibili, musicisti di livello mondiale per una band di giovani senza esperienza che suonavano in un garage!”.

Te l’ho chiesto perché se Iommi è considerato il Re dei Riff, be’, tu sembri essere il figlio putativo. Possiamo dire che con i Diamond Head hai preso il riffing di Iommi e l’hai portato nel metal del futuro, vestendolo di una patina moderna e innovativa?
“Che complimento! Grazie mille, davvero. Iommi è stata una grande influenza per me come teenager, ed essendo cresciuto nelle West Midlands ero solo a qualche decida di miglia da Aston, Birmingham, dove si sono formati appunto i Black Sabbath. Forse questa cosa mi spronò, perché se avevano avuto successo loro con i loro mezzi, perché non potevo anche io con la mia band? Riuscivo a fare bene i riffs dei Sabbath perché non erano troppo complessi, spesso solo dei power chords con il barre suonati con una certa precisione, era qualcosa che mi riusciva bene. Quindi cercavo di riproporre questo stile nella nostra musica, lasciando che Sean ci cantasse sopra, prendendosi l’onere della gestione delle melodie. Come ti ho detto prima, potevano anche esserci i Sabbath nel mio input ma poi il risultato complessivo dipendeva dal lavoro di tutti.”

Parlando di NWOBHM… è una categorizzazione vasta. Quando questa corrente musicale si stava formando, possiamo dire che spaziava da un metal cromato con approcci più melodici alla Praying Mantis fino ad arrivare alle proposte estreme dei Venom. Ora come ora invece quel termine dipinge uno stile musicale preciso, ma racchiude band che forse ai tempi nemmeno facevano heavy metal. Aiutaci a capire qualcosa, tu cosa ne pensi? Siete citati trai pionieri di questo movimento così eterogeneo, cosa vuol dire questo per voi?
“I Diamond Head sono riconosciuti come una delle band principali del movimento NWOBHM, questo è vero. Sul genere in se non ti so dire, ma se mi chiedi se ci sentiamo dei pionieri per il genere, ti direi che abbiamo sempre avuto grande attenzione da parte della stampa specializzata e che abbiamo costruito un forte seguito qui nel Regno Unito come prima cosa. Poi la nostra eredità è stata portata avanti dei metallica, che hanno coverizzato alcune nostre canzoni e hanno citato il nostro nome in un sacco di interviste. Certo i Metallica ci hanno aiutato a spargere la voce sulla nostra band in tutto il mondo! Tornando alla NWOBHM propriamente detta, penso che il sound di Iron Maiden e Saxon contribuisca come il nostro al volto attuale del movimento.”

Scusa se insisto, ma cosa è la NWOBHM per te?
“Difficile da dire, meglio ascoltare che parlarne! Beh, dovendo risponderti direi che le canzoni di quel periodo in cui viene definito ora i movimento erano piuttosto veloci e emozionanti. Erano scritte in un ottica fortemente live, e il loro scopo principale era aizzare le gente da un palco. Quando si cominciava a registrare seriamente, secondo me le band del movimento provavano a condensare questo approccio sui solchi di un disco. L’importante era che ascoltando l’album di una di queste band ti venisse voglia di andare a un loro concerto. Musicalmente descriverei il movimento come un misto di Black Sabbath, Zeppelin, Purple, Judas Priest, UFO, AC/DC, Rush, Motorhead, Thin Lizzy e Budgie, combinati con l’energia del Punk Rock del decennio precedente.”

Hai parlato di una certa attenzione data dai media dei tempi verso i Diamon Head, ma nel genere ad aver fatto successo a livello planetario sono stati i Maiden, i Saxon e i Def Leppard. Come mai? Pensi che la tua musica fosse un po’ più introspettiva e meno coinvolgente per i fan dell’epoca?
“Un po’ semplicistico come discorso… ci sono tanti fattori che possono spiegare come mai non abbiamo raggiunto quel livello di successo. Prima di tutto l’inesperienza. Il nostro management iniziale non l’aveva mai fatto prima, e non sapeva come gestire la cosa. Quando la MCA ci dette l’ultimatum nel 1983 ‘o vi trovate un management serio o vi scarichiamo’, Sean pensò che potevamo sbattercene della MCA e andarcene sbattendo la porta, sicuri di trovarcene un’altra, di etichetta. Be’, non andò così. Un altro motivo può essere ancora a carico di Sean e di me, perché non abbiamo trovato uno stile definitivo per la band, ma cambiammo molto tra un album e l’altro. Potevamo fissarci sul sound di ‘Lightning’ che ci era venutocosì bene, invece quasi abbandonammo l’heavy metal nei decenni successivi. E poi non siamo usciti fisicamente dai confini del Regno Unito prima del 2002, e negli anni Ottanta se non suonavi in America o almeno in Europa eri finito. Credo che siano tutti motivi validi per spiegare la nostra storia.”

La qualità dei vostri album però è ottima. E – anche se fortemente diversi tra loro – ogni vostro lavoro ha una propria personalità. Però un link a ‘Lightning’ secondo me c’è in ogni vostra uscita in carriera. Lo pensi anche tu?
“Sì, quell’album mi piace ancora molto. Era un condensato del nostro meglio. Pensa che avevamo pronte cento canzoni per quando entrammo in studio, non scherzo, e scegliemmo le sette che ci sembrano migliori. Canzoni che avremmo suonato dal vivo, e che avrebbero catturato l’attenzione della gente. Quando ci formammo nel 1976, cominciammo subito a scrivere brani… ne scrivevamo circa uno a settimana per tutti i quattro anni dal ’76 all’80! Andavamo per prove ed errori. Ho ancora le cassette del ’76 con dentro le canzoni non registrate… ma quelle che finirono su ‘Lightning’ erano veramente le migliori. Forse qualcosa si è portato ance sugli altri album…”.

‘Canterbury’ è un passaggio unico nella vostra discografia. Ma non è stato molto apprezzato al momento della pubblicazione. Io però lo trovo comunque interessante, e specchio di una fase particolare della vostra carriera. Pensi che quello sia un momento che non si ripeterà mai più?
“Lo spero bene! Anche se alcune canzoni di ‘Canterbury’ mi piacciono ancora non vorrei mai fare un esperienza simile ancora. Lo considero come il nostro ‘difficile terzo album’. Pensa che mentre lo registravamo Duncan se ne uscì con la frase: ‘niente toglie più in fretta il gusto di stare in una band che registrare un album con Mike Shipley’.”

Lo consideri un errore quindi?
“Un album troppo ambizioso. Mi piace, te lo ripeto, ma non vendette. C’è un buon mercato per il metal, ma non per le linee sperimentali di ‘Canterbury’. Penso che stavamo privando ad avere uno stile più ‘di successo’, ma non ci riuscimmo. Avemmo un sacco di problemi: la band si spaccò in due in quel periodo, e spendemmo veramente troppi soldi per un album che poi non vendette. La MCA ci mollò subito dopo e questo ci diede il colpo di grazia. Non ci siamo mai ripresi e – di fatto – i Diamond Head, quarant’anni di carriera, in una major ce ne passarono… solo due. È stato un periodo difficile.”

Tornando ai Metallica che hai nominato prima, in molti dicono che sono una versione più veloce dei Diamond Head. Per ‘Kill ‘Em All’ la cosa vale di sicuro, la fonte di ispirazione si sente. Cosa provi quando pensi che la tua musica ha influenzato band e dischi di questo calibro?
“Be’, rimani basito. Però, se i Diamond Head siano il ponte tra il rock classico degli Anni ’70 e l’heavy degli anni Ottanta o meno, io non so dirtelo. La verità è che non ci siamo mai soffermati su un unico stile, quindi è difficile fare un discorso di influenze. Anzi, come ti ho detto prima, a pensarci adesso forse avremmo dovuto farlo, ma la verità è che è davvero difficile avere una band e restare consistenti con se stessi, non so se mi spiego. Se cerchi il successo accetti compromessi, e vendere tanti record è qualcosa che viene più facile se la tua band è statunitense, non inglese. Gli ultimi inglesi ad aver avuto vero successo sono stati gli Iron. Ti basta per capire quanto è difficile? ”

Chiudiamo con un’ultima domanda sulla ri-registrazione di ‘Lightning To The Nations’. È di sicuro più potente, ma alcun passaggi secondo me hanno perso di atmosfera, non hanno lo stesso sapore degli originali. Sei soddisfatto di come è venuta questa operazione?
“Sì, sono soddisfatto. Non è facile riregistrare qualcosa di così popolare trai fan e migliorarla. Ho suonato queste canzoni dal vivo per quarant’anni, ed essendo diventati dei must di ogni concerto ho cercato di ricatturare quell’essenza, quel tiro, che propongo sul palco. Pensiamo di esserci riusciti e di fatto abbiamo trascinato quei sette brani dagli anni Ottanta al XXI secolo. Ne sono convinto.”

Intervista a cura di Dario Cattaneo e Roberto “Sky” Latini

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