Michael Schenker – Jubilee Of The Mad Axeman!

Il 27/01/2021, di .

Michael Schenker – Jubilee Of The Mad Axeman!

“I’m gonna meet my maker”, suonava più o meno così una delle dichiarazioni di intenti della Creatura, in riferimento al dottor Frankenstein nell’omonimo romanzo di Mary Shelley. Ecco, quando si parla di creatori in ambito hard’n’heavy i nomi che emergono sono tanti, ma molti di essi sono a loro volta pronti a collocare nel loro personalissimo Olimpo il nome del ragazzo prodigio della Bassa Sassonia, passato dagli albori degli Scorpions agli allori degli UFO, fino a brillare di luce propria con il Michael Schenker Group e senza mai smettere di essere the kid in the sand box, come ama definirsi. Solamente, al posto della paletta e del secchiello c’è una Flying V bianca e nera pronta ancora una volta a dar fuoco alle polveri per il cinquantesimo anniversario di Michael Schenker, un artista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione!

Per prima cosa vorrei congratularmi per il lavoro compositivo su ‘Immortal’. Sembra addirittura esserci una connessione tra ‘Revelation’, ‘Resurrection’ e ‘Immortal’, anche se usciti sotto monicker diversi. A proposito, cosa ti ha spinto a rispolverare il nome Michael Schenker Group per questo disco?
“Immortal” segna il cinquantesimo anniversario dell’attività di Michael Schenker, ed è un disco a nome MSG a tutti gli effetti. Sin da quando ho fondato la band nel 1980, ogni cosa è in realtà uscita sotto l’egida del Michael Schenker Group, e questo i fan lo sanno bene. Prendi la prima incarnazione dell’MSG, nel 1980: tutti sanno che nel debut album c’erano Simon Phillips e Mo Foster, poi c’è stato il successivo ‘MSG’, con Cozy Powell, Chris Glen e Paul Raymond, e così via. Poi c’è stata una fase in cui ho sperimentato molto come artista, con album strumentali acustici ed elettrici, dischi di cover e cose così, che sono usciti sotto il monicker ‘Michael Schenker’, finché non c’è stata la reunion con Gary Barden nel 2008 per il disco ‘In the Midst of Beauty’, uscito come MSG Schenker / Burden, un album che ha segnato il ritorno dello Schenker che tutti conosciamo! Nel tempo ho poi portato avanti vari progetti con nomi diversi – come il McAuley Schenker Group, che è pur sempre MSG anche se ho voluto affidare a Robin [McAuley, ndr.] la “M” dell’acronimo MSG… non è che mi interessasse apparire sempre per primo! Persino quando ho portato avanti il progetto Michael Schenker’s Temple of Rock si trattava del Michael Schenker Group, e lo stesso discorso vale per il più recente Michael Schenker Fest. Anche se ci sono sempre io, avere i sottotitoli – per così dire – è una cosa buona, poiché sia i fan storici che quelli nuovi possono capire immediatamente con quale incarnazione dell’MSG hanno a che fare: nel Temple of Rock ad esempio c’erano Herman Rarebell e Francis Buchholz degli Scorpions e Doogie White dei Rainbow, nel Fest troviamo tutti i cantanti originali con cui ho lavorato negli anni Ottanta, fino al disco attuale, che segna il cinquantesimo anniversario. Ecco dunque che i sottotitoli spiegano di volta in volta di quale “categoria” stiamo parlando!

Lavori con Ronnie Romero già da alcuni anni e ora lo ritroviamo a cantare su molti brani di ‘Immortal’. Come ti trovi con lui e come è nata questa collaborazione?
Ronnie Romero è fantastico! Avevo già avuto occasione di lavorare con lui nel disco ‘Resurrection’… sai, lui era nei Ritchie Blackmore’s Rainbow! So per certo che all’epoca Ritchie Blackmore stava cercando un cantante in grado di interpretare i registri di tutti i suoi predecessori, e questo è proprio ciò che Ronnie Romero è in grado di fare! Sai, in vista dell’ultimo tour dei Rainbow, per Ritchie era molto importante trovare un cantante che sapesse cantare come Graham Bonnet, Ronnie James Dio, Joe Lynn Turner e così via. Beh, Ritchie e io abbiamo un sacco di cose in comune: vedi, tutti quelli che lasciano Ritchie Blackmore si uniscono a Michael Schenker [ridiamo, ndr.]! È curioso, perché… quando Ritchie Blackmore ha lasciato i Deep Purple e poi i Rainbow, si è messo a fare le stesse cose che ho fatto io, progetti acustici e roba simile. Tra l’altro, devo proprio dirlo: credo proprio che sia bravissimo a scovare i cantanti, tanto che… quello che va bene per lui, va bene anche per me!

Un vero e proprio talent scout, non c’è che dire… e la presenza di Graham Bonnet e di Doogie White in vari capitoli MSG nonché quella di Joe Lynn Turner su ‘Don’t Die on Me Now’ lo confermano. Torniamo a ‘Immortal’: leggevo qualcosa di interessante sulle session di registrazione del disco e su lunghe trasferte in traghetto e in automobile dall’Inghilterra alla Germania. Quanto è stato difficile registrare un disco in piena pandemia?
Beh, nel 2019 mi sono reso conto che il cinquantesimo anniversario della mia carriera era in arrivo; considera comunque che per me il cinquantesimo anniversario si riferisce alla prima nota che ho registrato sul mio primissimo disco e questo è successo nel 1970, quando avevo quindici anni. Quindi, volevo che venisse fuori una cosa speciale, anche se sin dalle prime mosse organizzative erano emerse chiaramente le difficoltà legate alla registrazione di un album con musicisti provenienti da tutto il mondo. Successivamente mi sono reso conto dell’impossibilità di pubblicare un disco nel 2020, l’anno in cui per me cade il cinquantesimo anniversario di ‘Lonesome Crow’ degli Scorpions, poiché lo stavo registrando esattamente cinquant’anni prima, come ti dicevo. Non parlo della data di pubblicazione, che avrebbe potuto essere anche dieci anni dopo; non è quello il tempo reale, per me. Il tempo reale è quando suoni la prima nota sulle session di registrazione dell’album. E dunque, avevo quasi perso le speranze, poiché mi ero reso conto che non avrei mai potuto pubblicare un album nel 2020, quando il mio agente mi disse “Michael, l’album degli Scorpions è stato pubblicato…”

Nel 1972, no?
Sì, 1972, proprio così… dunque gli ho detto, “questo significa che ho ancora due anni per completare tutto!” e così ho ritrovato le speranze. Tuttavia, questa volta volevo una band compatta, per rendere le cose più semplici, dunque ho chiesto a Ronnie Romero se volesse cantare su tutto l’album, e lui ha accettato. Poi c’era Barry Sparks, che mi ha mandato una mail dicendomi “voglio essere il tuo bassista!” e dentro anche lui, per non parlare del fatto che Bodo Schopf sarebbe stato della partita: ecco, avevo una band compatta alle spalle! Appena ho lasciato la crociera del 70000 Tons of Metal ho passato quattro giorni in hotel a Miami, iniziando a scrivere il materiale per il disco, poi sono tornato nel Regno Unito e ho continuato a comporre senza mai fermarmi, fino alla fine. Fino a quando ho acceso la TV e ho appreso del virus! Ho capito subito ciò che sai già, che non avrei mai potuto servirmi del solito percorso attraverso l’Eurotunnel, la Francia, il Belgio e l’Olanda per arrivare in Germania: ecco perché abbiamo dovuto pensare a una strada diversa. Ecco perché ho preso il traghetto per raggiungere gli studios di Michael Voss in Germania [il Kidroom Studio a Münster, ndr.] e ho dovuto fare avanti e indietro per quattro volte, non solo per le registrazioni ma anche per cose tipo i video, la supervisione delle tracce vocali, eccetera. E sono stato anche fortunato, perché su quattro volte sono finito in quarantena solo tre volte, per un totale di quarantadue giorni! Incredibile! Tuttavia, dovevo pur farlo, perché è la mia band, è il mio cinquantesimo anniversario, sono il leader e dunque dovevo sacrificarmi in prima persona! Quando è apparso il virus è stato uno shock, ha reso tutto dannatamente complicato; ma la cosa incredibile è che avevo fatto tanto per mettere su una band compatta per veder poi scombinati tutti i miei piani [ride, ndr.]! La cosa più bella resta comunque che il disco alla fine è venuto fuori in un modo che non avrei mai potuto immaginare: è successo tutto naturalmente, in base allo svolgersi degli eventi. Mi spiego: la musica era stata scritta, avevo già pronte le backing tracks ed era arrivato il momento per Ronnie di cantarci su. Allora abbiamo chiamato Ronnie e lui ha detto, “scusa, scusa Michael, non voglio fare una quarantena di quattordici giorni” e noi “non preoccuparti, penseremo a una soluzione”. Devi sapere che la mia partner Amy ha ottimi gusti musicali, anzi… è una vera e propria consumatrice di musica, mentre io sono tipo quindici anni che non ascolto nulla, quindi non so nulla di quello che gira lì fuori. Nulla di più naturale che le dicessi “Ronnie non può venire, hai un cantante da suggerirmi?” e la risposta è stata semplicemente “Ralf Scheepers”, tanto che io: “ok, mi fido di te. Michael [Voss], che ne pensi di Ralf?” – “Fantastico!” è stata la sua risposta, e il giorno dopo stavamo già registrando: da non crederci! Come ciliegina sulla torta, mi è arrivata una telefonata di Brian Tichy – tutto è successo contemporaneamente, poco a poco – dicevo… Tichy, uno dei migliori batteristi al mondo nonché nostro fan, si è offerto di suonare su ben sei pezzi del disco. Voglio dire… uno che suona con Ozzy e i Whitesnake mi chiama perché vuole far parte di tutto ciò e io: “wow!”. Non solo: poi ha addirittura richiamato Michael Voss e gli ha detto: “c’è questo mio amico tastierista, Derek Sherinian, che vuole contribuire… è anche lui un grandissimo fan di Michael”. A quel punto ho chiesto a Voss, “che ne facciamo?”. Pensa: il ragazzo mi era completamente nuovo, con tutto che è uno dei migliori tastieristi in circolazione, ma non lo avevo mai sentito; al massimo lo conoscevo di fama. E poi, avevo già Steve Mann che in genere mi supporta alla chitarra, ma stavolta era il mio cinquantesimo anniversario e volevo occuparmi delle chitarre in esclusiva, chiedendo magari a Steve di aggiungere un po’ di abbellimenti, un po’ di colore al sound con le sue tastiere – lui è molto bravo in questo. Quindi, Mann era già della partita e, nonostante ciò, Voss mi ha detto “magari possiamo metter su una jam tra tastiera e chitarra, un bel duetto”. Ero attonito: “una jam tra tastiera e chitarra? Ma io non ho mai fatto nulla del genere!”, però a Michael Voss l’idea piaceva, per avere qualcosa di nuovo, per i fan, in vista di questo cinquantesimo. E ha aggiunto “come Jon Lord e Ritchie Blackmore, qualcosa del genere!”; a quel punto ho pensato che avesse ragione, poiché mi sono reso conto che era qualcosa che non avevo mai fatto prima e ho iniziato a caricarmi di aspettative. Quando ho sentito il risultato, sono rimasto davvero colpito: voglio dire, da un momento all’altro avevo in un unico pezzo Ralf Scheepers, Brian Tichy e Derek Sherinian e il pezzo era ‘Drilled To Kill’, una vera mazzata tra capo e collo interpretata in modo egregio da questi maestri, a cui sono davvero grato. È stato allora che ho iniziato a chiedermi cosa stesse succedendo, perché i risultati erano esattamente conformi alle mie aspettative, ma tutti i tasselli si stavano mettendo insieme praticamente da soli. Ecco dunque che abbiamo richiamato Ronnie per chiedergli se fosse pronto e lui era ancora esitante per via della quarantena; è stato allora che Michael Voss ha tirato fuori dal cilindro il nome di Joe Lynn Turner, uno dei miei cantanti preferiti: è curioso il fatto che ognuno sia un grande fan dell’altro! È bastata una telefonata e il giorno dopo stava registrando due pezzi [la già citata ‘Don’t Die On Me Now’ e ‘Sangria Morte’, ndr.]: pazzesco, tutto stava accadendo nel modo migliore, senza che io stessi in realtà facendo nulla! Dunque, a questo punto erano rimasti sei pezzi per Ronnie; un giorno sono tornato in studio e c’era Michael – devi sapere che lui stila sempre un piano B per i testi e le melodie, in caso i cantanti abbiano bisogno di aiuto – e mi fa: “questo è quello che ho preparato ieri notte, in vista di una power ballad [‘After the Rain’, ndr.]”. Caspita, non avevo mai fatto una power ballad prima di allora e non so neanche da dove sia venuta fuori, ma quando ho visto il lavoro complementare fatto da Voss gli ho detto che il risultato era così bello e accorato che solo lui avrebbe potuto cantarlo. Poi c’era quest’altro pezzo piuttosto inusuale, ‘The Queen Of Thorns And Roses’, in cui Voss aveva preparato ancora una volta qualcosa di fantastico, con un testo molto personale, tanto che non riuscivo a immaginare nessun altro alla voce che non fosse lui. Insomma, eravamo a sei pezzi già pronti, e quando Ronnie è stato finalmente disponibile ha finito per cantare sulle tracce che gli erano rimaste: è stato incredibile e ha fatto un lavoro fantastico. Non posso poi fare a meno di citare il contributo di Simon Phillips al disco e qui veniamo a ‘In Search Of The Peace Of Mind’, un brano che per me rappresenta davvero tanto poiché è stato il primissimo pezzo che io abbia mai scritto, quando avevo quindici anni. L’ho scritto nella cucina di mia mamma, non c’era nessuno intorno… solo io e la musica! Pensa, un giorno Michael Voss ha recuperato i credits originali di ‘Lonesome Crow’ [l’album in cui è presente la versione originale del pezzo, ndr.], che dicono qualcosa tipo: “testi a cura di Michael Schenker e Rudolf Schenker”! La verità è che Michael e Rudolf non sapevano una parola di inglese in quegli anni, quindi… come avrebbero potuto scrivere i testi per l’album? È assolutamente falso: i credits avrebbero dovuto riportare qualcosa tipo “musica a cura di Michael Schenker, testi di… chiunque sia stato a scriverli”! Ironicamente, poi, quel pezzo si chiama ‘In Search Of The Peace Of Mind’, che è un po’ il tema stesso della mia vita, la ricerca di pace, di realizzazione… e poi, c’è quel break solistico scritto da me quando avevo quindici anni, un passaggio talmente perfetto che non ne cambierei una singola nota, un po’ come accade per ‘Stairway To Heaven’ o ‘Theme For An Imaginary Western’. Ecco, qualche volta capita proprio così: hai un break di chitarra di cui non modificheresti niente per nulla al mondo, e a volte mi chiedo come sia stato possibile che io a quindici anni abbia tirato fuori qualcosa del genere, che non ha nulla a che vedere con lo stile chitarristico dispiegato nel resto dell’album; tuttora, è qualcosa che non riesco a capire. Comunque sia, un pezzo così – essendo il primo che io abbia mai registrato in quello che a sua volta è il mio primissimo album, con un titolo che è il tema della mia vita, con un assolo perfetto – doveva per forza essere incluso nel disco che celebra il mio cinquantesimo anniversario! È proprio per quello che ho pensato che volevo renderlo speciale, prevedendo delle parti addizionali di chitarra solista nel finale, con tanta carica emozionale, wah wah, bending… quando ho sentito il risultato, mi sono immediatamente reso conto che suonava come una sorta di monologo interiore. Vedi, tutti noi abbiamo dei monologhi interiori quando dobbiamo prendere delle decisioni o durante i momenti di crisi, o addirittura nei momenti felici; per parte mia, ho realizzato di aver espresso un vero e proprio viaggio attraverso la mia vita in quell’assolo finale, tanto che il risultato è… una conversazione espressa per mezzo della chitarra solista!

Un pezzo speciale che vede la partecipazione di ospiti speciali…
Sì, ho chiesto a Gary Barden di cantare sulla prima strofa, proprio per via del suo grande feeling melodico espresso per mezzo del vibrato. Essendo una parte che ben si adattava al suo registro, ha accettato con entusiasmo, e lo stesso ha fatto Ronnie Romero, che canta sulla strofa con le note più alte; infine, abbiamo chiesto a Doogie e a Robin McAuley – Graham Bonnet purtroppo non era disponibile – di contribuire con i loro acuti su “And I Try…” [urla con voce stentorea e ridiamo, ndr.], cosa che ovviamente hanno fatto molto volentieri! Ecco, quel pezzo è venuto fuori in maniera così completa che… è un vero e proprio dono del Cielo, qualcosa che non puoi prevedere o pianificare. Un po’ come è successo per il resto dell’album: tutto è avvenuto in una maniera così naturale che è come se qualcuno mi stesse aiutando e guidando, come un potere superiore o qualcosa di simile. Un dono del Cielo, come ho detto, e il risultato è ancora migliore di ciò che io stesso mi sarei potuto aspettare.

Grazie davvero per aver condiviso questa storia! A proposito, quali sono i tuoi ricordi personali del periodo in cui avete registrato ‘Lonesome Crow’? Personalmente lo trovo un disco incredibile, con componenti che vanno dal rifferama sabbathiano di ‘I’m Going Mad’ alle influenze jazzy di ‘Action’, che è stata anche la title-track di alcune edizioni…
Oh, sostanzialmente ho scritto io la maggior parte dei pezzi: ci sono state delle jam session, ma sono stato decisamente il songwriter principale. Ogni volta che venivo fuori con un’idea, gli altri contribuivano agli arrangiamenti, proprio come avviene nel Michael Schenker Group o come avveniva negli UFO e in tutti i progetti in cui sono stato coinvolto. Quindi, il disco è stato scritto principalmente da Michael Schenker!

In quell’occasione avete anche realizzato un videoclip promozionale per ‘I’m Going Mad’, girato in un paesaggio brullo…
Sì, quel video era legato al progetto della colonna sonora per il film ‘The Cold Paradise’, una pellicola contro la droga prodotta in Germania. Scelsero appunto il pezzo ‘I’m Going Mad’, ed ecco come finimmo a girare in quel paesaggio collinare!

Tra i nuovi pezzi ho potuto apprezzare in particolare ‘Sail The Darkness’, uno di quei pezzi che portano con sé lo stesso identico entusiasmo dei classici targati UFO e MSG. Cosa significa per Michael Schenker comporre e suonare nel 2020?
Beh, per me funziona così: sono un ragazzo in un parco giochi, non sono in competizione né mi metto a confronto con nessuno; non cerco fama o successo, semplicemente mi diverto a mettere insieme le note. Sin da quando ho iniziato, non ho mai avuto l’obiettivo di diventare famoso o avere successo: mi divertivo e basta. Ho scoperto in me una fonte di creatività interiore, una cosa che è (o dovrebbe essere) in ognuno di noi; molti seguono le mode per avere la loro fetta di notorietà, diventare famosi, fare soldi, fare musica commerciale, pubblicare album che seguono determinati stereotipi e cose così. Per me, tutto questo non ha mai significato nulla: io voglio essere Michael Schenker e ogni volta che scrivo qualcosa è Michael Schenker ad abbeverarsi a quella fonte di creatività di cui parlavo prima. Questo è quello che mi fa sentire soddisfatto e a mio agio.

In passato avevo letto che in qualche modo le strade di Michael Schenker e David Coverdale stavano per incrociarsi. Avete mai avuto l’occasione di incontrarvi e magari discutere di progetti insieme?
Sai, c’è una canzone che si chiama ‘Dancer’ sull’album ‘Assault Attack’. All’epoca vivevo con Peter Mensch da circa due anni e David Coverdale era sempre da quelle parti, tanto che fu lui a dire a Mensch che voleva Chris Glen, Michael Schenker e Cozy Powell nei Whitesnake. Gli risposi di no, e rilanciai chiedendogli di unirsi agli MSG, ma ovviamente nessuna delle due cose sarebbe stata mai possibile. Comunque sia, come dicevo, in quel periodo vivevo a casa di Peter Mensch e c’era anche Coverdale con noi, tanto che un mattino al sorgere del sole ero tutto intento a suonare quel pezzo che avevo composto e che sarebbe diventato ‘Dancer’, cantato da Graham Bonnet sull’album; ebbene, Coverdale si mise a cantare su quel riff e il tutto era bellissimo, con il sole che veniva su… tuttora se ci penso lo rivedo proprio come un film! Ecco, ricordo quel momento come una sorta di aperitivo musicale tra noi due, qualcosa che in realtà non si è mai più concretizzato. In realtà non mi era mai piaciuto molto il Coverdale dei tempi dei Deep Purple, ma più avanti avrebbe sviluppato un timbro così bluesy che ha iniziato ad attrarre anche me. Parlo di molti anni dopo, tipo gli anni Novanta o i Duemila; a un certo punto l’ho contattato per chiedergli se fosse interessato a fare qualcosa insieme. Ma era un periodo in cui il rock era in forte in crisi e io stesso cercavo di sopravvivere all’ondata grunge, specie negli anni Novanta, quando lo stile tradizionale degli anni Ottanta scomparve quasi del tutto: fu in quell’occasione che mi resi conto che nel corso degli anni Coverdale si stava concentrando un po’ più su se stesso, stava diventando più autoreferenziale, ecco. Voglio dire… aveva tentato il progetto con Jimmy Page ed era naufragato, quindi lui, come tanti altri musicisti in vista, iniziò ad assicurarsi di avere una copertura finanziaria che fosse sufficiente a portare avanti il suo gruppo in maniera solida; quindi capii che non era interessato a condividere i proventi in una qualsivoglia progettualità con chiunque altro. Pensa: ad esempio, tutti i chitarristi di Coverdale sono fan di Michael Schenker…

Beh… si sente, decisamente!
Sì, lui ha sempre scelto chitarristi nello stile di Michael Schenker e il suo ragionamento è stato “invece di prendere Michael Schenker e magari doverlo pagare un sacco di soldi, mi prendo qualcuno che è un suo fan e lo copia, così mi becco comunque un po’ di Michael Schenker!”

Una curiosità: ho sempre amato il lavoro chitarristico su pezzi strumentali come ‘Lipstick Traces’ o ‘Bijou Pleasurette’. Hai mai pensato di fare un disco completamente strumentale?
Sì, ho fatto qualcosa del genere a metà carriera. Sin da quando ho aperto le porte dell’America per gli Scorpions – quando hanno avuto bisogno del mio aiuto – avevo iniziato ad avere la mia specifica visione della musica; ecco dunque che a metà carriera ho iniziato a sviluppare la mia personalità come artista e a fare tutte le cose che non avrei potuto fare con Ozzy Osbourne, con i Deep Purple, o con chiunque abbia chiesto la mia collaborazione, inclusi gli UFO o gli Scorpions. Dunque, a un certo punto ho voluto realizzare degli strumentali acustici ed elettrici, sperimentando senza perdere mai di vista il divertimento – proprio come farebbe un bambino in un parco giochi! Riscrivere il proprio sound senza troppe aspettative, unicamente per la propria soddisfazione artistica. E quindi… sì, a metà carriera sono proprio riuscito a realizzare qualcosa del genere!

L’intervista è giunta alla fine e c’è appena il tempo per dare appuntamento al Wunderkind in occasione della sua prossima calata italiana, nonché per il suo entusiastico commiato “thank you so much for the interview, take care and keep on rocking!”. Puoi contarci, Michael…

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