Sabaton – Una notte al museo

Il 11/11/2023, di .

Sabaton – Una notte al museo

Oggi, 11 novembre 2023 cade il 105 anniversario dell’armistizio del 1918 tra Francia e Germania che pose fine alla Prima Guerra Mondiale, il conflitto che, come erroneamente auspicato dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, avrebbe “posto fine a tutte le guerre”. Tra i tanti modi di celebrare questa ricorrenza, abbiamo scelto quello attualmente più originale, ovvero presenziare alla visione di ‘The War To End All Wars – The Movie’, il film di animazione targato Sabaton attualmente in proiezione nei musei di tutto il mondo. Presenti nei meravigliosi saloni del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino abbiamo potuto immergerci, complici anche le note della band svedese, in una realtà unica, affascinante, fuori dai normali canoni del metal classico. E in coda alla visione non ci siamo lasciati sfuggire l’opportunità di scambiare due parole con Pär Sundström, bassista e manager della band, che con grande gentilezza si è concesso ai nostri microfoni.

Prima di tutto, grazie perchè mi hai consentito di riscoprire un museo meraviglioso a due passi da casa..
“(Pär Sundström) Questo era uno degli obiettivi dell’intero progetto, stimolare le persone e invitarle a venire a visitare i musei. Se è vero quello che dici, siamo sulla buona strada!”
A questo progetto hanno aderito musei in tutto il mondo. Ti aspettavi una risposta simile?
“Sono molto felice del risultato ottenuto. Attualmente sono 130 i musei ad avere aderito all’iniziativa, però ce ne sono ancora che si stanno unendo, qualcuno che si è attivato tardi e ora sta correndo per far parte del progetto. Onestamente speravo ce ne fossero un paio in più, però mi rendo conto che in molti Paesi del mondo, i musei che abbiamo contattato hanno regole molto rigide su ciò che si può mostrare. Noi viviamo in Europa e le regole museali sono piuttosto tranquille, però in altre parti del mondo sono molto rigidi su come la storia deve essere raccontata, da chi e in che modo. Molti Paesi asiatici, ad esempio, ci hanno chiuso le porte in faccia”.
Onestamente speravo che l’Italia rispondesse presente con più musei, dopo tutto la Prima Guerra Mondiale ci ha toccato molto da vicino, invece solo alla fine si sono uniti il Forte Degenfeld e il Museo Nazionale del Risorgimento…
“Non so onestamente cosa dire. Abbiamo inviato i moduli di contatto a moltissimi musei, ma essendo in inglese forse non tutti hanno capito bene di cosa si trattasse. Sono comunque felicissimo che abbia aderito questo Museo ma soprattutto sono felice dell’entusiasmo che tutti hanno dimostrato sin dall’inizio, tanto da adoperarsi affinchè fossi presente oggi alla presentazione. Voglio dire…abbiamo coinvolto musei in tutto il mondo che sarebbero stati felici di ospitarmi quindi ho dovuto fare una scelta e insieme al mio team abbiamo selezionato quei musei che si erano dimostrati più appassionati al progetto, e il Museo del Risorgimento era uno di quelli. E io sono super contento di essere qui oggi”.

Credo che, vedere proiettato per la prima volta un film che vi ha impegnati per molto tempo, sia un’emozione forte, però vederlo proiettato in una cornice come quella di questo museo sia qualcosa di ancora più intenso…
“Si, assolutamente, è qualcosa di incredibile essere ospitati qui. E’ una sorta di ‘storia nella storia’. Sino ad oggi ho visto il film un milione di volte, perchè lavorandoci ho visto e rivisto ogni singolo fotogramma, dai bozzetti al film finito. E ci ho lavorato su a lungo, ma sempre su un piccolo PC, quindi vederlo ora su uno schermo grande è fantastico. E vederlo in questo contesto, in un museo, lo rende ancora più bello. Sono emozionato, orgoglioso. Molto orgoglioso. Non sapevo cosa aspettarmi ma cosa sto provando va oltre ogni più rosea aspettativa”
Durante la Q&A con i fan hai affermato che il progetto è stato concepito durante la Pandemia, quindi siete riusciti a trasformare una condizione per molti musicisti disastrosa, in qualcosa di costruttivo..
“Si, parte del progetto è stato sviluppato durante il lock down. A causa del Covid abbiamo avuto più tempo libero del solito visto che abbiamo una vita frenetica tra album e tour, però forse avremmo comunque trovato il tempo per lavorarci anche senza la pandemia. Per come sono fatto, non riuscirò mai a trovare un lato positivo in quello che è successo. Troppe persone hanno sofferto in quel periodo, troppe sono morte…anche accanto a me c’è stato chi ha sofferto per il Covid, quindi avrei volentieri realizzato questo progetto senza bisogno di quella pausa forzata”.
Oggi abbiamo speso decine di volte la parola “storia”, ma che cos’è per te la storia? Qualcuno dice che sia un buon mezzo per ricordare. Altri dicono che è un mezzo per riscoprire le nostre radici, altri ancora che è un modo per imparare dagli errori e cercare di non ripeterli più…
“Penso che tutto quello che hai detto sia corretto, quella è la storia. Però io aggiungerei che è un mezzo importantissimo per comprendere il mondo in cui viviamo: capire perchè c’è un confine tra questo Paese e quello…capire perchè queste persone si chiamano così e quelle persone si chiamano cosà…capire perchè alcune persone in un determinato luogo non amano altre persone… Io penso che comprendere questa parte della storia sia più importante di ogni altra cosa. Comprendere che ogni conflitto ha sempre due parti e entrambe secondo la propria mentalità hanno ragione. Quindi io mi trovo da una parte del confine e penso di avere, diciamo, diritto alla mia versione della storia, ma dall’altra parte del confine c’è qualcun altro che vede la storia a modo suo. Se si è obiettivi, si può capire che entrambe le versioni hanno un fondo di verità e credo che questa sia una lezione importante da capire per molte persone. Quelle stesse persone che se riescono a comprenderlo e a superarlo, forse possono cambiare modo di vedere le cose e diventare un po’ meno razziste, meno rabbiose…e il mondo sarebbe sicuramente migliore. Si tratta di capire da dove veniamo per comprendere dove siamo oggi e il mondo in cui viviamo”.
Se guardi ai conflitti odierni, quello in Ucraina ma anche quello in Palestina, quali sono i tuoi sentimenti?
“Penso che non abbiamo imparato nulla dal nostro passato, ma questo non vale solo per i conflitti che hai citato, ma per tutto. Noi da quando siamo stati creati, siamo stati programmati per essere macchine assassine, e forse per questo non impariamo dal nostro passato. Ecco, in questo caso voglio cercare di vedere un filo di luce e dico che, forse, il mondo oggi nonostante tutto è più pacifico rispetto al passato, rispetto al periodo che cantiamo in ‘The Great War'”.
Ma quando scrivi della guerra, della storia, in che modo ti poni? Come un semplice narratore o come un musicista con la propria testa che esprime giudizi e opinioni?
“Assolutamente no, noi siamo dei semplici cantastorie. Poi può succedere che in alcune canzoni gli eventi vengano cantati da una particolare prospettiva, ma cerchiamo di non esprimere giudizi personali. Poi, come ho raccontato nel Q&A, molto spesso le storie ci vengono raccontate direttamente dai nostri fan e noi ci limitiamo a riportarle a modo nostro dopo aver fatto le ricerche del caso. Ma molto spesso raccontiamo una storia così come ci è stata raccontata in origine. Non ci saranno però mai i Sabaton che prendono una posizione del tipo ‘questo è quello che pensiamo, questo è il nostro punto di vista’”.
Ma come avviene, quindi, questo scambio tra voi e i fan dal quale nasce poi la canzone? Vi viene inviata una mail dove vi viene detto ad esempio: ‘Perchè non scrivete un pezzo su Garibaldi?’, Voi vi documentate, leggete, studiate e alla fine tirate fuori un brano?
“No, non proprio. Metti Garibaldi: un fan mi spedisce una mail dove mi chiede, in modo molto stringato, di fare un pezzo su Garibaldi perchè ha fatto questo e quello… Io in quel momento non faccio ricerche particolari, ma prendo le poche parole che il fan mi ha scritto e penso: ‘Ok, questo sembra un guerriero, un comandante, un eroe, una battaglia…’, poi lo colloco in un’epoca, etichetto tutto e lo salvo in archivio. Quando ci troviamo con una canzone pronta e cerchiamo un argomento simile, vado a riaprire l’archivio, lo sfoglio, e se trovo che Garibaldi possa andare bene in quel contesto allora sì che inizio a studiarlo e a documentarmi”.
Il film che avete proiettato presenta diverse situazioni, diverse storie, diversi personaggi che penso vi abbiano rubato parecchio tempo a livello di studio e documentazione. C’è qualcuno di essi che ti ha preso particolarmente, che ti ha toccato più degli altri?
“Avendolo creato, forse vedo il film in un modo un po’ differente rispetto agli altri spettatori. Non ci sono storie nel film alle quali sono più legato, però ci sono dei particolari che mi fanno impazzire, dei dettagli che ho modellato che adoro ogni volta che li vedo. Ad esempio, nell’episodio che parla della battaglia di Doiran, sul finire c’è una scena in cui un soldato britannico e uno bulgaro si sparano a vicenda. Il britannico, colpito, cade sul filo spinato e muore guardando il cielo. Quella è la scena che è rappresentata sulla copertina dell’album. Io volevo inserire quell’immagine, quell’artwork solo per un secondo dentro il film, ho pensato a lungo come avrei potuto fare e alla fine è uscito così. A volte penso che quell’episodio sia stato scritto con il solo scopo di mostrare l’artwork dell’album anche solo per un secondo, eppure quello è per me il momento clou del film. E in quel momento c’è l’assolo di chitarra, è un crescendo sia sonoro che visivo. Sono molto orgoglioso di quel passaggio, penso sia il pezzo forte del film”.
Io invece ho amato molto ‘Christmas Truce’, la Tregua di Natale, un momento davvero intenso e toccante…
“Beh, quella è la storia più bella del film, quella più forte e la migliore. Dopo tutte le volte che abbiamo cantato di guerre e battaglie, finalmente siamo riusciti a cantare di pace e ne sono davvero felice”.
In quel frangente un pallone da calcio ha cambiato il volto della guerra anche se solo per un breve periodo. Da musicista, pensi che la musica possa fare altrettanto?
“Forse no. Penso che purtroppo, su scala globale, non siamo in grado di cambiare molto. Ma credo che su scala ridotta qualcosa si possa fare, perché ne abbiamo visto la potenza. Lo sappiamo. Soprattutto noi che veniamo dal rock lo sappiamo benissimo. Voglio dire, se guardiamo indietro nel tempo, c’è stato un momento in cui il rock e il metal erano condannati, erano la musica del diavolo fonte di odio e malvagità. Oggi è il contrario. Il concerto metal è il posto dove c’è più fratellanza e meno violenza al mondo, tanto che, chi non conosceva questa realtà, rimane spiazzato. ‘Wow – pensano – ma allora i metallari sono persone gentili che si comportano bene!’. Quindi penso che, anche se ascoltiamo e suoniamo musica violenta, noi metallari abbiamo dimostrato di poter essere persone pacifiche e sono orgoglioso dell’evoluzione che è stata fatta, soprattutto agli occhi di chi un tempo ci disprezzava”.
Se faccio uno sforzo di memoria, ricordo il rock portato alle Terme di Caracalla, nelle rovine di Pompei, nella laguna di Venezia, in mezzo ad un bosco in alta quota, dentro una grotta…ma non ho ricordi del metal a museo. Ti senti un po’ un pioniere in questo?
“Non so, ma credo che nessuno abbia mai fatto una cosa del genere prima d’ora, anche se sono state fatte cose simili nei musei. Conosco molto bene un museo in Belgio, il Military Museum di Bruxelles, lo stesso che si vede alla fine del film, che ha organizzato un festival metal. Quando l’ho saputo sono rimasto molto colpito dalla loro iniziativa e dalla loro apertura mentale, per questo ho fatto sì che la presentazione del nostro ultimo disco avvenisse in quel museo”.
Oggi siete alle prese con le proiezioni nei musei di tutto il mondo, però pensi che sarà possibile un giorno vedere ‘The War To End All Wars – The Movie’ proiettato su altre piattaforme, tipo Netflix, Prime Video…?
“Non ancora, ma in futuro chissà. Penso e spero che, nelle prossime settimane, quando questo progetto si sarà ben sviluppato, di poter parlare con molte persone. Parlerò con i musei, con i pubblicitari, con i media e quando avrò i primi responsi, le prime recensioni e un quadro di come il film è stato accolto e recepito, potrò cercare di tirare fuori qualcosa. Per dirti: ho già parlato con alcune piattaforme di streaming come Amazon, Apple… ma mi è stato detto che non accettano film come questo senza che abbia avuto prima una presentazione, degli ascolti, delle visualizzazioni… senza che abbia una storia alle spalle, insomma. All’inizio, allora, ho mandato il film ai vari festival cinematografici per avere un giudizio, però mentre lo facevo è scoppiato il conflitto in Ucraina e la maggior parte dei festival mi ha risposto di non volere più la guerra e mi ha chiuso le porte in faccia negandomi la proiezione. Allora mi sono rivolto a Netflix che mi ha consigliato di farlo prima passare al cinema, mi sono mosso per farlo e ho ricevuto anche offerte da compagnie che lo avrebbero messo in programmazione nei cinema, ma è stato allora che mi è venuta in mente l’idea dei musei. Mi sono sentito dire da quelle compagnie che ero uno stupido perchè avrei portato a casa dei bei soldi, ma ormai ero entrato nell’ottica del museo, ed ora sono molto orgoglioso di averlo fatto e del riscontro che abbiamo avuto. E chissà, magari tra qualche mese il film avrà ricevuto talmente tante critiche positive che lo troveremo in streaming su Netflix, Amazon o che altro… Forse ho solo trovato un modo diverso per lanciare un film…sarebbe una cosa unica e ne sarei super orgoglioso”.
Durante il Q&A un ragazzo ha suggerito come il vostro potrebbe essere un buon modo per fare imparare la storia ai bambini nelle scuole…
“Si, questo è un buon modo per studiare la storia. Voglio dire, io vedo i Sabaton come un’aggiunta, un’estensione ai modi tradizionali di studiare la storia. Ci sono i musei, i libri di storia, i documentari, gli insegnanti, la scuola stessa…e poi ci siamo noi, che offriamo un’altra cosa che si chiama musica. E per alcuni imparare così risulta più facile perchè proponiamo un formato diverso. So come funziona la psicologia di una canzone: alcune parole sono collegate ad alcune parti della melodia, questo significa che noi esseri umani le ricordiamo perchè associamo le parole alla melodia. Quindi, invece di leggere un libro in cui tutto entra in testa allo stesso modo, o ascoltare un insegnante che spiega in modo piatto, noi utilizziamo uno strumento bidimensionale. Un po’ come un documentario che abbina la visione con l’udito. Ci sono due dimensioni, proprio come la musica, quindi per alcune persone potrebbe risultare più semplice collegare le parole e ricordarle. Però come ho detto, noi siamo un di più, non possiamo sostituirci ai libri perchè nei testi delle canzoni le parole sono poche, quindi possiamo essere uno stimolo per accendere la lampadina e spingere chi rimane affascinato dai nostri testi e dalle storie che narriamo, ad andare a approfondire e a documentarsi meglio. Sarebbe già un ottimo risultato”.

Foto Melissa Ghezzo

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