Amaranthe – Rhythm is a dancer

Il 23/02/2024, di .

Amaranthe – Rhythm is a dancer

Un affabilissimo Olof Mörck apre l’intervista con un “buongiorno, come stai?” direttamente in italiano ed è lì che capisci che gli animi saranno distesi, in questa chiacchierata in vista della pubblicazione di ‘The Catalyst’, settimo album del sestetto svedese. Se probabilmente la formula del gruppo si presenta distante dalla mia classica tazza di tè, incastonata com’è su quel confine tra la tradizione metal europea e le suggestioni Eurodance, i punti di interesse comune non mancano, a partire dagli scenari fantascientifici a cui gli Amaranthe ci hanno abituato, fino a giungere a parlare della grande tradizione svedese in ambito hard rock e più specificatamente dei contributi del glorioso paese scandinavo alla storia della sei corde…
Dunque, c’è un nuovo album in uscita a febbraio 2024 e l’artwork di copertina fa molto sci-fi, ricordando da vicino roba tipo “I, Robot” di Asimov. Immagino che anche le tematiche siano connesse all’immagine, come di consueto.
“Esattamente. Anche questa volta ci siamo avvalsi dell’operato di Emmanuel Shiu, che aveva già realizzato l’artwork di ‘Manifest’. Non ci sono dubbi: è un artista fantastico e siamo molto contenti di lavorare con lui. E poi, è come dici: avevamo bisogno di qualcosa a tema futuristico, proprio nello stile di Asimov. Il titolo dell’album è ‘The Catalyst’, laddove il “catalizzatore” è un simbolo di cambiamento: un cambiamento che può essere personale, a livello emotivo, che può riguardare l’inizio o la fine di una relazione di qualsiasi tipo. Ecco, questo è il tema dell’album, con il catalizzatore che rappresenta di per sé il concetto stesso di cambiamento.”
Un pezzo come ‘Insatiable’ sembra piuttosto rappresentativo della direzione musicale dell’intero disco. Avete altri singoli pronti al lancio?
“Per la verità, abbiamo in mente una nutrita rosa di singoli riguardo a ‘The Catalyst’, con un bel po’ di idee per i video, a partire da ‘Damnation Flame’ che è stato il primissimo singolo pubblicato. Certamente, ‘Insatiable’ è uno di quei pezzi che può suonare come “tipicamente Amaranthe” ed ecco perché a livello visuale è un tipico performance video in cui suoniamo e basta, ma abbiamo in mente qualcosa per ‘Outer Dimensions’ e per almeno altri due [uno dei quali è stato ‘Re-Vision’, NdR]”

A proposito di promozione, pensate di partire in tour dopo la pubblicazione dell’album o siete già in tour?
“Il tour inizierà il 20 febbraio, quindi qualche giorno prima della pubblicazione del disco. Secondo me è una cosa fighissima far uscire il disco mentre si è in tour, anche perché suoneremo un po’ di questi nuovi pezzi e non vedo l’ora di vedere la reazione del pubblico!”
Dopo sette dischi, come descriveresti il vostro processo compositivo? Come si è evoluto, album dopo album? Da chitarrista, sei sempre stato in prima linea come compositore?
“Direi di sì, dato che per un bel po’ mi sono occupato anche della stesura delle linee vocali. Quello che è in continua evoluzione è il nostro approccio alla musica, i limiti che ci prefissiamo e i limiti che decidiamo di oltrepassare. Alla fine, per quanto qualcuno possa pensare che si scriva “per il pubblico”, si scrive per se stessi; e quando lavori su un album per un anno e mezzo dopo che sei nell’ambiente da dieci, venti anni, vuoi realizzare sempre più qualcosa che sia appagante per te stesso in primis. Per ‘The Catalyst’ posso dire certamente che ci siamo imposti meno paletti, meno “confini” del solito. Ovvio, i limiti dell’azione di un compositore sono qualcosa di necessario, poiché ne definisce il raggio di azione. La cosa importante però è come gli stessi limiti vengano di volta in volta fissati o modificati, in modo da mantenere vivo l’interesse e aggiungere nuovi elementi, per quanto possibile. Ci sono dei pezzi in questo disco che lo dimostrano, come la stessa ‘Damnation Flame’ o ‘Breaking the Waves’, che presenta alcuni elementi di folk irlandese: in generale, stavolta siamo stati ancora più aperti alle influenze più disparate, ne è esempio questo flavour irlandese che ci ha molto ispirato.”
Torniamo per un attimo all’epoca di ‘Manifest’, uscito nel famigerato 2020 in piena pandemia. Quanto è stato difficile promuovere quell’album?
“Le difficoltà sono iniziate sin dalle registrazioni, poiché mentre eravamo in Danimarca per le session in studio stavano praticamente chiudendo i confini, quindi siamo riusciti a tornare in Svezia appena in tempo. Ricordo bene di esserci interrogati su quanto fosse o non fosse opportuno registrare un disco in un momento così drammatico, ma alla fine abbiamo convenuto che probabilmente andare in studio e lavorare su quest’album serviva prima di tutto a noi e quindi era la cosa giusta da fare in quel momento. Ovviamente, come hai potuto sottolineare, era impossibile avviare una fase promozionale vera e propria, nel senso classico legato all’andare in tour e cose del genere: da questo punto di vista eravamo parecchio impensieriti, ma paradossalmente il disco è andato ancora meglio dei precedenti, pur senza avere la minima possibilità di testare quei pezzi dal vivo! In tutto ciò, abbiamo ripreso a suonare con tutte le difficoltà del caso, tanto che fino all’inizio del 2022 abbiamo fatto un solo concerto, se ricordo bene.”

Pensa che ho intervistato Michael Schenker e mi ha detto di essere diventato matto all’epoca delle registrazioni di ‘Immortal’, tra una quarantena e l’altra nei vari spostamenti dal Regno Unito alla Germania. Probabilmente ogni musicista ha la propria storia da raccontare riferita a quel periodo…
“Sì, poi la cosa particolare è che nonostante sia stato un periodo drammatico, ognuno si è lasciato alle spalle velocemente il tutto e ha dimenticato determinate dinamiche nel modo più rapido. Ricordo che nell’ambiente c’era chi pensava che mascherine e distanziamento sarebbero durati per sempre… l’idea non mi faceva esattamente gola! Qualche band ha provato a mettere su degli show con determinate accortezze, ma penso che la musica degli Amaranthe si basi molto sulla partecipazione del pubblico, quindi sarebbe stato davvero strano suonare così. Insomma, meno male che possiamo guardare al presente senza queste restrizioni.”
Rimanendo in tema di concerti, quanto è difficile gestire ben tre cantanti sul palco? Già immagino sia complicato assegnare le singole parti in fase di composizione ed esecuzione, ma dal vivo dev’essere davvero difficile far quadrare il cerchio!
“Beh, questo è un aspetto interessante, perché quando hai tre cantanti che si muovono sul palco e si relazionano con il pubblico in maniera così espansiva le cose si fanno complesse. Pur dopo tredici anni che suoniamo dal vivo, questo è un aspetto su cui siamo costantemente al lavoro, per migliorare la resa e al contempo mantenere vivo l’interesse sugli intrecci vocali che proponiamo. Finora, sembra andare tutto nella giusta direzione.”
Olof, parliamo del tuo ruolo nello specifico. Quella di avere una sola chitarra è una scelta costante, o hai pensato all’inserimento di un secondo chitarrista? Quando vedo gruppi a una sola chitarra penso sempre al filone tradizionale che affonda le sue radici negli anni Settanta, per non parlare della stessa scena svedese negli anni Ottanta, con la Rising Force di Malmsteen o gli Europe…
“Visto che in effetti siamo un ensemble piuttosto “affollato”, per così dire, si è pensato di non gravare anche sulla sezione delle chitarre! A parte questo, per convogliare un determinato sound a due chitarre serve un certo tipo di intesa che al momento non ci interessa ricercare, visto che è la stessa che è attualmente in essere tra chitarra, basso e batteria. Poi, in fase di registrazione tendo a suonare almeno due linee di chitarra ritmica, un aspetto piuttosto impegnativo specie in presenza di parti veloci e complesse. Oltretutto, questo rimanda al discorso di coordinazione affrontato poc’anzi, in cui bisogna far rientrare anche le tastiere e così via.”

Bene, direi che è il momento di chiederti qualcosa sui tuoi chitarristi preferiti, no?
“Beh, almeno due li hai già nominati tu, no?”
Direi tre, addirittura, se consideriamo sia John Norum che Kee Marcello!
“Assolutamente! Parliamo di quell’incredibile generazione di chitarristi svedesi nati a fine anni Sessanta e che hanno sfondato negli anni Ottanta, che sicuramente non ha nulla da invidiare rispetto ai propri omologhi statunitensi. La Svezia è un piccolo Paese, ma può vantare chitarristi rivoluzionari come Yngwie Malmsteen, con un approccio che ha fatto scuola e con una tecnica tuttora invidiata ovunque. Poi, ovviamente ci sono nomi come Satriani, Vai o Gilbert: gli americani, il cui approccio più moderno mi ha influenzato in egual maniera. In ogni caso, la lezione che ho assimilato è che per quanto sia importante la tecnica nella costruzione dell’assolo, quest’ultimo debba essere concepito per dare un contributo al brano in cui è inserito, per esserne parte integrante.”
Senza poi dimenticare l’importanza di Lars Johannson dei Candlemass e Mike Wead…
“Sì, assolutamente!”
E poi c’è Michael Amott, il cui stile e le cui soluzioni non sono poi così diverse da quelle del primo John Norum, anzi! Ci sono davvero tantissime affinità tra gli assoli degli Arch Enemy e quelli su ‘Wings of Tommorrow’ degli Europe, per dire…
“Sono proprio d’accordo! In più, Norum e Amott non sono poi così distanti dal punto di vista anagrafico ma appartengono paradossalmente a due diverse generazioni di musicisti – Norum a quella degli anni ’80 con gli Europe, mentre Amott a quella del decennio successivo con i Carcass e gli Arch Enemy. Dovrebbero passarsi massimo 6 o 7 anni, per la verità! Quindi posso affermare che Mike Amott abbia davvero continuato su quel filone istituito da John Norum.”

Beh, abbiamo menzionato la Svezia e devo dire che dal mio punto di vista le realtà più interessanti degli ultimi anni vengono proprio da lì: Avatarium, Ghost, The Night Flight Orchestra… una tradizione che viene da lontano e che mi fa pensare alla vostra scelta di coverizzare ‘Fading Like a Flower’ dei Roxette proprio su ‘The Catalyst’. Puoi dirci di più su questa scelta?
“Beh, io sono cresciuto in una famiglia dove si ascoltavano i Roxette: mia sorella, i miei genitori… non possiamo certo definirli hard rock, ma una bella canzone è pur sempre una bella canzone e credo che la stragrande maggioranza delle persone, compresi i metalheads più incalliti, abbia quelle due o tre canzoni pop da cui non può prescindere! Per parte mia, era da tanto che volevo realizzare una cover di ‘Fading Like a Flower’, anche per via dei contrasti, dei chiaroscuri in essa presenti. Poi, ovviamente, quando parlo con i giornalisti americani essi non hanno la minima idea di chi siano i Roxette [ride, NdR]! D’altro canto, non possono fare a meno di osservare che il pezzo suoni esattamente come un pezzo degli Amaranthe, cosa che per me è ovviamente un bel complimento. Questo è il bello di una cover ben riuscita, quando si riesce ad adattare l’originale al proprio stile. Posso dire che la stessa cosa sia successa in ambito prettamente metal, quando abbiamo realizzato la cover dei Sabaton [’82nd All The Way’, NdR] riuscendo a inserirvi dei tipici elementi dello stile degli Amaranthe, ma ovviamente mi fa piacere aver raggiunto lo stesso risultato in ambito pop, aggiungendo al pezzo dei Roxette un po’ di sano hard rock svedese degli anni ’80! Ecco, questa è una sensazione che mi piacerebbe riprovare di nuovo, in futuro…”
Anche la scelta del pezzo dei Sabaton ha una storia interessante: ho letto che è stato lo stesso Pär Sundström [il bassista dei Sabaton, NdR] a sceglierla per voi, e la cosa particolare è che si tratta di un pezzo relativamente recente, essendo tratto da ‘The Great War’, che è un album del 2019. Com’è nata la cosa?  
“Mentre eravamo in tour insieme, Pär ci ha detto che quella di suonare un pezzo dei Sabaton sarebbe stata un’idea grandiosa. Ed è stato allora che gli ho chiesto se aveva in mente qualche classico della band, magari tratto dai primi dischi degli anni 2000, o se avremmo dovuto sceglierlo noi. Così mi ha risposto che aveva pensato a questo pezzo tratto dall’allora ultimo album ‘The Great War’: appena ho sentito ’82nd All The Way’ ho capito che era l’idea giusta. Nonostante le differenze tra le due band, ci sono importanti affinità in alcune delle soluzioni, ecco perché arrangiare un loro pezzo è stato incredibilmente naturale!”
Posso intuire perfettamente il motivo per cui Joakim Brodén vada matto per gli Amaranthe, per via della sua passione per fantascienza, utopia e distopia…
“Il che è molto comune tra gli amanti di un certo genere di musica, dato che il filone testuale del metal va spesso di pari passo con le interpretazioni letterarie di quello che potrebbe essere il futuro. Prendi ‘Il Mondo Nuovo’ di Huxley e avrai un’immagine piuttosto chiara, elaborata un secolo prima, del controllo e della sorveglianza a cui si è sottoposti in questa fase storica…”
Eh sì, più andiamo avanti e più la visione di Huxley sovrasta quella di Orwell, non ho dubbi in merito. E a proposito di futuro, è notizia di questi giorni l’idea che i Kiss potranno continuare come avatar dopo che l’ultimo concerto dell’ultimo tour è ormai storia. Qual è il futuro del rock’n’roll e che ruolo giocheranno gli Amaranthe in esso, data la formula particolare che anima il vostro sound?
“Abbiamo svariate idee in merito, che riguardano i nostri spettacoli dal vivo e l’evoluzione degli stessi nel corso del tempo. Quello che però posso dire è che la musica verrà eseguita da esseri umani per altri esseri umani: una visione apparentemente tradizionalista, ma che se ci pensi va avanti da migliaia di anni. Per quanto riguarda i Kiss, potranno anche esserci degli avatar al posto loro ma se guardo al futuro la “nuova” musica continuerà ad essere composta e suonata da persone per altre persone. Anche perché, dal mio punto di vista, una cosa importante è la motivazione che spinge qualcuno a scrivere una determinata canzone, in parallelo alle emozioni provate da chi la ascolta, ecco tutto. Un processo che ha dunque bisogno di emozioni umane, ecco perché credo che nel prossimo futuro gli elementi fondamentali che conosciamo non saranno diversi.”
Bene, allora lo prendo come un messaggio di speranza! Grazie mille!
“Grazie mille e arrivederci [in italiano, ovviamente, NdR]!”

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