Dish-Is-Nein – Occidente (A Funeral Party)
Il 12/04/2025, di Giovanni Rossi.
Gruppo: Dish-Is-Nein
Titolo Album: Occidente (A Funeral Party)
Genere: Alternative Rock, Elettronica, Industrial Metal
Durata: 37:02 min.
Etichetta: OverDubRecordings
Onore a chi prova a fissare lo sguardo su questa società senza più un’apparente identità, incapace di restituire un senso alla realtà, persa tra l’American Cathedral che sta violentando l’orbe, il calembour di accelerazionisti impasticcati e i deliri di nevrotici oligarchi da reality. Dish-Is-Nein ci ha provato, ugualmente. Ha provato a sfidare il Weltuntergangsuhr che ogni minuto aggiorna il delirio prenucleare del mondo morente, lo sguardo di chi per troppo tempo ha detto, urlato e sputato sull’asfalto senza mai avere attenzione. Quando ascolterete ‘Occidente (A Funeral Party)’, capirete tutto, lo troverete non al passo, dissonante, crudo, disallineato e coraggiosamente non coperto al threnos che noncuranti ci ostiniamo a suonare mentre Roma brucia. E non dite che non vi avevano avvertito. Non dite che non ve ne eravate accorti. Quando i silos riverseranno nella troposfera il loro carico di scorie tecnosofiche, non dite che non lo sapevate. Perché, se avete ascoltato questo album, siete stati avvisati. Non c’è bisogno di sapere che Dish-Is-Nein è cambiato, ha mutato pelle, non è più quello dell’esordio, della post rinascita, dopo che Ciò che Era Prima (merito al Solitario di Providence che ci ha insegnato a non nominare i Grandi Antichi) ci mostrò alla fine del secolo oscuro come non essere mai simili a se stessi neppure per un istante, neppure quando appena nato era già stanco di pazientare, e invece no, non bastava, e siamo ancora qui, perché non abbiamo capito niente. Non c’è a salvarci il nuovo umanesimo di cui ci riempiamo la bocca ignorandone l’origine di devastante fragilità, impotenza, smarrimento, la Crisi di Valori da cui è nato, e che invece Dish-Is-Nein conosce molto bene prendendone giustamente le distanze. Altro che trionfo dell’uomo, altro che trionfo dell’anima, ecco cos’è realmente quell’umanesimo che come badge col vostro nome e cognome ai convegni esibite tronfi di orgoglio. Quell’umanesimo che avete in testa non c’è mai stato, men che meno oggi, e il requiem di Dish-Is-Nein è qui a colmare di spietate schegge di reale il vacuum animae popolano. In questa pioggia acida di ‘Occidente (A Funeral Party)’, i tempi sono forsennati, martellanti, ossessivi, i panorami elettronici hanno preso il posto della Chitarra, non poteva essere diversamente, inutile che ci diciamo perché, le Maiuscole e il Dolore ci bastino. È una musica che scava nel cervello, glitch e pulsazioni dall’electro harsh novanta come ‘Le Voci del Silenzio’ che non è silenzio, ma cupa ammonizione. Prestate attenzione a “l’avvenire che ci svuota è privo di speranza” in ‘Dove il Buio si Muove’, impreziosita dalla ritmica magistrale, scarnificata e secca, di chi ha percosso le pelli degli angeli del fango Skinny Puppy, una cadenza che richiama la vorticante dissoluzione che tocchiamo intorno a noi, veloce, è tardi, chi è fuori dai ranghi è un bastardo traditore. Le linee di basso sono secche, piene, pressofrequenze inscalfibili come in ‘Asylum’, dove ogni cosa è al passo, dando vita a quel tutto che avanza senza troppo chiedere, perché “nel nostro mondo civile è di moda ubbidire”, una forgia di calore devastante che atomizza ogni ideale e dubbio. Il rinnovato asse Genova – Bologna passa anche per parte dei testi scritti dall’augure oscuro dei caruggi, grazia per tutti, almeno nel nero, almeno nel dire ciò che non si può con la strafottenza di chi non teme di essere reietto e sventurante, non gliene è mai fregato niente, ed è una benedizione. L’entanglement di angeli dannati si compie in ‘Stato di Massima Allerta’, dove la proiezione quantica dei Technogod fa tremare gli aedi sotto le sferzate di synth che sudano la migliore electro del vecchio millennio, il vostro dio vi dica male, maestri del punk samplificato, per averci abbandonati così presto! Nel buio si rischiara il cielo, a volte succede, solo per poco, come nella (di)struggente ‘Lucy In The Sky With Diamonds’ che ci porta lassù in alto, con le voci del membro ad honorem Coro Monte Calisio a riportarci all’esistenza di quella componente di umano, questo sì il vero umanesimo!, asportata e cauterizzata dal cadavere morente di un oggi già decomposto sotto la spinta di un futuro tremante di paura. ‘Occidente (A Funeral Party)’ è il pugno sbattuto sul tavolo da un delirio visionario di Nick Land, la constatazione proditoriamente ineluttabile della fine che già conoscevamo, della morte del demonegazionismo, dell’ascesa e seguente macellazione del politicamente corretto, della sublimazione del capitalismo occidentale in un social-nazionalismo di assolutismo estremo. Ce lo aveva detto Ciò che Era Prima, l’occidente, ammesso esista ancora, sta finendo, defunto, corrotto, degenerato, ignorato dai suoi stessi fautori, mentre le pedane sono piene di scemi che si muovono. Lo aveva ripetuto in quel delirante geniale Crisi, trenta revolutiones solis fa, quando la Rivoluzione quella terrena sarebbe servita, e ora siamo qui a guardare la Singolarità annulla tutto mentre ridiamo ebeti. Inutile riassumere lo smarrimento che ci circonda, Dish-Is-Nein lo sa bene, tutti lo sappiamo, tutti lo vediamo. Come è inutile schierarsi e indignarsi. Con chi? Per chi? In nome di cosa? Dish-Is-Nein si arroga il diritto di astenersi dall’esistenza, di non prendere posizione in un mondo di posizioni, di non inneggiare a valori che accelerano con delirante e inconsapevole frivolezza verso l’orizzonte degli eventi. Lo può fare perché per troppo tempo ha urlato tra la vostra indifferenza, e adesso non lamentatevi se non continua a fare il vostro lavoro, sciagurati accidiosi! Dish-Is-Nein è la Grenzwissenschaft estrema di questa macilenta e grottesca farsa pseudoscientifica, la pillola nera che Baudrillard ci ha invano supplicato di inghiottire, la voce di uno che grida nel deserto facendosi compatire perché non è pro e non è contro, non è anti e non è no-, non è con i giusti e non è buono, perché il solo giusto e buono è stato lui, finito sulla croce duemila anni fa e nessuno ha voglia di ricordarsene, fuori moda, non ne abbiamo bisogno, ci sono le crypto e i reel. Quelle che prima erano visioni, premonizioni, veggenza, oggi sono state elevate alla nefasta potenza di una plasticità fenotipica indotta dal folle incedere del tecnoprocene che non vediamo, non scorgiamo, gustandoci indisturbati il sopraggiungere del Grande Strappo finale, mentre anestetizzati ingurgitiamo i Pervitin-feed che ci hanno assuefatti ad autosomministrarci dosi giornaliere di socialmediali deiezioni. Dish-Is-Nein è tornato per ricordarci che il crepuscolo schiaccia le speranze, parole sue, e che il canone europeo è fallito, parole sue. C’era bisogno di qualcuno che ce lo dicesse? Evidentemente sì, se siamo qui a curarci le ferite col sale avvelenato della nostra indifferenza. Se Dish-Is-Nein fosse nato libro e non musica, sarebbe un dispaccio nero emerso dalle mani di Hanns Heinz Ewers prima tra Nachtmahr e Ameisen, o un Vangelo apocrifo scritto da un transumanista intossicato di psilocibina, o le invettive di post realismo che Mark Fisher non ha avuto il tempo di scrivere. Ma no, non è così. Dish-Is-Nein è musica che indossa ancora gli anfibi dai chiodi arrugginiti, è punk maleodorante di metallo industriale, è un’assemblea ermetica di artisti che scrivono pezzi come pochi sanno fare. E Dish-Is-Nein è tornato per consegnarci non l’ennesimo pamphlet di decadente postmodernismo, non la ballata triste del cthulhucene harawayano, non la sarabanda geopolitica di prima mattina con inviato da Gerusalemme in Polo Ralph Laurent di rigorosa e costante ordinanza, ma un bel trattamento sanitario obbligatorio di musica elettronico-industriale come sappiamo bene avrebbe sempre saputo fare, come ha sempre avuto nel suo patrimonio genetico fin da quando ne aveva già abbastanza di pazientare. Quell’elettronica sporca di folk che odora di Berlino, Bristol, Boccadasse e Bentivoglio, ora necessariamente orfana della Chitarra e quindi assurta a unica comprimaria, un ossimoro apparente, ma costitutivo, che oggi è l’essenza di Dish-Is-Nein. Suoni che galleggiano sospesi nei molti mondi di Everett, con malinconici echi della wave che fu e futuristici strali di sintetiche alchimie. È giusto che ‘Occidente (A Funeral Party)’ sia una festa funebre, perché è così che deve essere, dopo che per anni ce l’avevano fatto capire, ce l’avevano messo sotto gli occhi, ci avevano ammonito, e adesso lo spettacolo depravato è lì davanti a tutti. Bravi! Forti questi! Loro sì che sono dei provocatori! Non avevate capito niente allora, non avete capito niente adesso. Li capirete dopo. E ora che è tutto qui, la fissione innescata, non chiedete a Dish-Is-Nein di guardarvi le spalle in una marcia con cui coprirvi e allinearvi. Non c’è copertura. Non ci sono party radical-chic di nostalgici cinquantenni con selfie sempre in canna che si annegano in bollicine e tartine burro e salmone. Niente invito esclusivo e borsa personalizzata. Lasciate perdere la plastica e gli hashtag, che sono spariti anche quelli. Per una volta, ascoltate cos’ha da dire Dish-Is-Nein, ascoltate questi otto pezzi di feroce crudezza, rifatevi le orecchie con chi sa come si costruisce un suono degno di questo nome, cesellato nel marmo nero dell’umanissima imperfezione carnale. E non dite che non vi aveva avvertito.
Tracklist
- Occidente
- Dove Il Buio Si Muove
- Le Voci Del Silenzio
- Asylum (Ausonia)
- Stato Di Massima Allerta
- Lucy In The Sky With Diamonds
- Superfluo
- A Funeral Party (SuDario)
Lineup
Cristiano Santini
Roberta Vicinelli
Justin Bennett
Martha Freidank: voce in “Occidente”
Coro Monte Calisio: voci in “L.S.D.”
Federico Bologna: synth modulari in “Stato Di Massima Allerta”
Sergio Messina: dobro guitar in “Supefluo”