5 curiosità che forse non sapete su… Bruce Dickinson

Il 07/08/2020, di .

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5 curiosità che forse non sapete su… Bruce Dickinson

Paul Bruce Dickinson, meglio conosciuto da tutti solamente come Bruce, è nato a Worksop nel Nottinghamshire, Inghilterra. Persona poliedrica, che sa passare dal microfono alla penna, fino alla cloche di un aereo, è noto a pressoché a tutti gli appassionati di musica per essere il cantante degli Iron Maiden sin da ‘Number Of The Beast’ (1982), eccetto che per una breve pausa in cui è stato sostituito da Blaze Bayley. Da non trascurare, però, sono anche la militanza nei Samson o la buona carriera solista. Eppure, non tutti sanno che…

Born in a mining Town…

“… in ‘58, when black and white TV was up to date”: impossibile non canticchiarla per chiunque conosca il disco di esordio della carriera solista di Dickinson, ‘Tattooed Millionaire’. Un pezzo quasi springsteeniano, zeppo di riferimenti all’infanzia trascorsa insieme ai nonni materni a Worksop, con nonno Austin che gli insegnava a fare a pugni per difendersi dai prepotenti, la TV in bianco e nero che attirava tutto il vicinato e in generale l’etica di un’Inghilterra semplice che svanisce pian piano alla fine dell’era thatcheriana. E pensare che quell’arpeggio introduttivo nello stile di Jimmy Page nacque per caso, mentre Gers suonicchiava davanti a una TV a volume spento. A colori, questa volta.

Smoke on the Water

Che Ian Gillan fosse il mito assoluto di gioventù del Nostro, lo si capisce sin dai primi ascolti di ‘The Number Of The Beast’ e ‘Hallowed Be Thy Name’. In più, all’epoca dell’università Bruce divenne responsabile degli eventi del Queen Mary College, riuscendo così a organizzare un concerto dell’allora ex Deep Purple direttamente nella sua facoltà. Chi avrebbe però potuto immaginare che anni dopo se lo sarebbe trovato davanti durante il missaggio di ‘Head On’ dei Samson? D’altronde, i Kingsway Studios erano di sua proprietà: durante l’ascolto Gillan chiese chi fosse il cantante, Dickinson rispose e l’altro si complimentò, asciutto. Non così per il povero Bruce che, stremato dalle pinte, da altre sostanze provate in gioventù e dall’emozione, finì di corsa in bagno a… vomitare, soccorso proprio dal sornione Ian, che non mancherà di ricordargli l’episodio negli anni a venire! I due, poi, hanno partecipato assieme al progetto Rock Aid Armenia, in aiuto al popolo armeno colpito dal terremoto del 1988, registrando proprio ‘Smoke On The Water’.

Flight to America

Approdato nei Maiden, Bruce consolidò sin da ‘Piece of Mind’ l’affiatata coppia compositiva con Adrian Smith (anche se Rod Smallwood affermò che la loro collaborazione risale già a ‘The Prisoner’, nei cui credits Dickinson non figura per ragioni contrattuali). Ecco dunque che ‘Flight Of Icarus’ dimostrò subito quell’appeal radiofonico che avrebbe agevolato il botto della Vergine di Ferro negli USA, e venne scelta come primo singolo del disco che vedeva il debutto di Nicko McBrain dietro le pelli, diventando subito uno dei pezzi più amati dai fan. Dai fan, ma non da Steve Harris, che non ne digerì mai l’incedere a suo dire troppo lento, tanto che il brano scomparve dalle scalette dei Maiden sin dalla seconda metà degli anni Ottanta, per poi riapparire solo durante il ‘Legacy Of The Beast World Tour’ del 2018. Ovvio che l’epica ‘Flight Of Icarus’ abbia invece fatto bella mostra di sé nelle setlist del Dickinson solista con Adrian Smith nella band, dal 1997 in poi…

Favole al telefono

Si dice che, all’inizio della carriera solista di Danzig, il chitarrista John Christ abbia intasato la segreteria telefonica del corpulento cantante con una serie di assoli di chitarra per ottenere il posto: un incontro tra titani che non è difficile da immaginare, e va da sé che il telefono fisso resti un mezzo di comunicazione particolarmente iconico, al pari della classica cassetta magari contenente un provino. E così fu anche in occasione della rinascita artistica di Bruce Dickinson, dopo il fallimento degli Skunkworks: raggiunto al telefono da Roy Z, ebbe occasione di ascoltare per la prima volta il riff di apertura del pezzo che sarebbe diventato il simbolo del ritorno di Bruce all’heavy metal, quella ‘Accident Of Birth’ che inaugura il viaggio di ritorno verso il “lato oscuro” che avrà come destinazione finale ‘Brave New World’, come profetizzano le parole “Welcome home, it’s been too long, we’ve missed you”. Un capolavoro annunciato di cui Dickinson scrisse di getto il testo e che divenne la title-track del suo nuovo album solista; la presenza di una nuova mascotte come Edison, l’artwork del redivivo Derek Riggs, l’apporto fondamentale dei Tribe of Gypsies e il ritorno di Adrian Smith faranno il resto…

Goodbye Yellow Brick Road

Tra le peculiarità caratteriali di Bruce Dickinson c’è una scarsa propensione a parlare dei colleghi della NWOBHM e dei predecessori, accompagnata a un costante intento provocatorio. Ne è esempio l’annoso confronto con Di’Anno che infiamma tuttora i discorsi da bar ma sul quale il Nostro ha sempre glissato, ma anche il sostanziale riserbo su personaggi coevi come Biff Byford e Joe Elliott. Stupisce dunque la simpatia dimostrata nei confronti del suo sostituto Blaze Bayley, specie quando quest’ultimo dichiarò, in un’intervista all’epoca della sua militanza negli Iron Maiden, che si sentiva “come Dorothy nel Mago di Oz, alla ricerca della via di casa”. Una sensazione di straniamento e ricerca continua di un difficile equilibrio tra il successo e i propri sentimenti che non poteva non suscitare empatia da parte di chi ne aveva fatto una bandiera di libertà artistica, da sempre. Ecco perché l’arguto Bruce, letta la dichiarazione del singer di ‘The X Factor’, non trovò di meglio che dipingere due mattoni di giallo e inviarglieli, in onore della strada lastricata di mattoni gialli percorsa da Dorothy nella fiaba di Frank Baum, ripresa anche nella quasi omonima canzone di Elton John. Certo, i versi “Maybe you’ll get a replacement, there’s plenty like me to be found” sembrano più autobiografici che di buon augurio, ma… per dirla con lui, “Road to hell is full of good intentions; say farewell, we may never meet again”.

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