Metal Cinema (21) – Nosferatu (1979)

Il 23/03/2021, di .

In: .

Metal Cinema (21) – Nosferatu (1979)

Metà Ottocento. Jonathan Harker (un giovanissimo Bruno Ganz) lavora a Wismar come agente immobiliare. Un giorno riceve l’invito del conte Dracula (il mefistofelico Klaus Kinski) a raggiungerlo in Transilvania, sui monti Carpazi, per trattare su un alloggio. Nonostante sua moglie Lucy (Isabelle Adjani) lo esorti a restare, spinta da un cattivo presagio, Jonathan si avvierà verso il castello del conte dando il via a una tetra avventura.

Pellicola di punta del nuovo cinema tedesco – che fa da epico ponte con la vetta spettacolare precedentemente raggiunta da quello espressionista del passato – ‘Nosferatu: Phantom der Nacth’ potrebbe concepirsi come un vero e proprio trattato artistico-storico/filosofico, non soltanto per la rievocazione nostalgica e colta delle basi filmiche – e di quelle pittoriche avanguardistiche – del paese natio (il Nosferatu di Murnau), ma anche per la messa a punto sia della lezione gotica letteraria impartita da Stoker, sia di quella più folkloristica di stampo mitteleuropeo (chiaro è il rimando alla figura del Nachzehrer, il masticatore di sudari germanico portatore di peste).

Herzog dipinge col proprio occhio registico una sequela di dipinti circoscritti in un contesto di ambivalenza tra teatralità e paesaggistica, in cui dà prevalenza all’aspetto puramente estetico e al linguaggio visivo-cromatico.

Lungo un tratto impervio di desolato esistenzialismo, Herzog dipinge col proprio occhio registico una sequela di dipinti circoscritti in un contesto di ambivalenza tra teatralità e paesaggistica, in cui dà prevalenza all’aspetto puramente estetico e al linguaggio visivo-cromatico. Di conseguenza pone, così, in secondo piano la sceneggiatura, talvolta didascalica, talvolta con caratterizzazioni dei personaggi – e la loro interrelazione – soltanto accennate. Più che le parole, sono infatti le torbide immagini dal sapore poetico e icastico a comunicare, con tanto di esasperazioni di mimica facciale da parte di una gotica, stralunata ed esistenzialista Isabelle Adjani, che incarna l’oggetto del desiderio gastro-sessuale della creatura notturna – istinto animalesco culminante nel malioso segmento notturno in camera da letto.

Figurazioni flemmatiche, queste, che sopperiscono anche all’assenza dialogica, scalzata da un’algida schematicità; proprio come in un muto evocativo che si colloca tra Espressionismo e Kammerspiel – laddove la figura irreale di Nosferatu appartiene a una dimensione ultraterrena, in secondo piano ecco che emerge un realismo socio-ambientale post-bellico fatto di strade deserte e povertà di sensi collettivi –, e che non tralascia nemmeno l’opzione, seppur ben celata, di un’allegoria all’età contemporanea: Nosferatu, figura maschile “mostruosa” e potente, che porta/gemina nel Paese la peste, la sciagura, quello stesso flagello che Albert Camus anni prima aveva reso sinonimo della Seconda Guerra Mondiale: la morte.
Clamoroso Klaus Kinski.