The Retailators (2021) di Bridget Smith e Samuel Gonzalez Jr

Il 20/09/2022, di .

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The Retailators (2021) di Bridget Smith e Samuel Gonzalez Jr
Ci sono diversi motivi per cui un film finisce sulle riviste musicali: o nel cast figurano musicisti più o meno celebri, per sequenze che vanno oltre la manciata di minuti dei soliti camei con Marylin Manson o Alice Cooper; o il film ha una colonna sonora da paura che, per linee generali, tende ad inquadrare una data scena musicale; oppure lo stile di regia puzza di videoclip con la maggior parte dei personaggi che ha un look e un’attitudine rock, o quantomeno hanno l’aria di aver passato il loro ultimo weekend a smaltire una festa a base di vodka e ketamina; o, ancora, il film narra le vicissitudini musicali di un musicista o una band (vedi Control di Corbin o Lords of Chaos di Akerlund)
The Retailators (2021) di Bridget Smith e Samuel Gonzalez Jr copre i primi tre punti su quattro. Per tutti coloro che non hanno smesso di ascoltare metal dopo l’uscita di Paul Di Anno dai Maiden sarà facile riconoscere, tra i personaggi del film, volti presi in prestito da gruppi come Five Fingers Death Punch, Papà Roach, Ice Nine Kills e Motley Crue. Come anticipato sopra non si tratta di camei perché la regia ha saputo sfruttare l’attitudine da palco per inglobare la loro presenza scenica nell’estetica complessiva della pellicola senza farli apparire troppo come delle sagome ritagliate dalle serate sadomaso del Torture Garden (non che gli attori “veri” siano proprio la crème dell’Actor Studio).
Se lo stile di regia risente della patina ipercinetica suppurata sotto il regime totalitario di MTV negli Anni ’90, in ottima misura aiutato dall’OST in odore di revival Nu Metal, la trama è in apparenza semplice: quando la figlia del reverendo protagonista, che sembra il figlio illegittimo di Dolph Lundgren e Alec degli Atari Teenage Riot, finisce uccisa per essere stata testimone accidentale di traffici loschi, l’uomo di chiesa si mette sulle tracce del killer, il gigante cattivo Joseph Gatt, passando per bande di motociclisti, assassini seriali, giustizieri ancora più psicopatici dei criminali cui danno la caccia, per chiudere, dulcis in fundo, con un’orda di cannibali regrediti fino al funzionamento cognitivo dei morti viventi di The Walking Dead.
In mezzo all’orgia di uccisioni, corredati da generose dosi di splatter, il povero prete trova il tempo di esternare alcune riflessioni sul concetto cristiano di perdono. Detta così può apparire peggio di come suona. In realtà la pellicola riesce a mantenere l’equilibrio durante i numerosi slittamenti repentini dall’action all’horror e dall’horror all’action. Il pregio centrale è la totale assenza di elementi sovrannaturali che, per ragioni ermetiche, s’incontrano sempre ogni volta che ci sono pezzi metal nell’OST (minimo una manciata di vampiri, se hanno i soldi per gli effetti speciali magari ci scappa un demone). Ritmo degno della colonna sonora a base di metallo, personaggi poco caratterizzati ma tutto sommato taglienti, tensione costante dall’inizio alla fine. Ciò che invece fallisce in miseria sono i goffi tentativi di mappare la discesa negli inferi del protagonista, che man mano scivola mondo sotterraneo ma parallelo degli aguzzini oggetto dei suoi piani di vendetta, un po’ come fece Paul Schrader in ‘Hardcore’ dove George C Scott, fervente uomo di fede, s’immerge nel sottobosco della pornografia estrema sulle tracce della figlia.
In sintesi The Retailators è come una bambola russa, con più gironi concentrici caratterizzati da tratti stilistici di generi affini ma distinti, i cui cambi di scenario in più occasioni salvano il film da fangosi momenti di stasi.