A mighty wreck that once was proud – I vent’anni di ‘The World Needs A Hero’

Il 15/05/2021, di .

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A mighty wreck that once was proud – I vent’anni di ‘The World Needs A Hero’

“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, diceva Bertolt Brecht. Eppure, secondo Dave Mustaine, nel 2001 c’era proprio bisogno di un eroe. Per di più, non per una singola nazione: proprio per il mondo intero. In quel mondo pre-11 settembre che tanto sorrideva alla prospettiva decennale di un Nuovo Ordine nonostante le solite scaramucce successive all’elezione presidenziale americana che sanciva l’inizio dell’era di Bush figlio; si scrive mondo, si legge Stati Uniti, con particolare riferimento a quella scena HM che reclamava a gran voce il ritorno del suo figliol prodigo più riottoso, dopo la pietra dello scandalo costituita da ‘Risk’. Non a caso, in un’intervista di qualche anno prima, un sorridente David Ellefson aveva dichiarato a un noto magazine specializzato che “siamo perfettamente coscienti che il 90% del pubblico italiano vorrebbe un ritorno dei Megadeth al thrash metal tout court”, seppure un taglio di capelli che sembrava frutto delle stesse session fotografiche di ‘Load’ tradisse un certo sarcasmo nelle parole del sempreverde Junior. Eppure, gli eventi sembravano compiersi: fuori Marty Friedman (che se ne andò sbattendo la porta per un assolo barbaramente tagliato nel missaggio finale di ‘Risk’), dentro Al Pitrelli dei Savatage dietro raccomandazione di Jimmy DeGrasso (che aveva condiviso con lui il palco di Alice Cooper); inoltre, fuori la band dalla Capitol Records, che tanto aveva contribuito alla sua visibilità negli anni decisivi della formazione più amata. In particolare, la label americana vedeva ora assolti gli obblighi contrattuali con la compilation ‘Capitol Punishment’ che conteneva già quella ‘Dread And The Fugitive Mind’ dal tiro più orientato se non altro verso ‘Countdown to Extinction’. Insomma, con ‘The World Needs A Hero’ il tanto sbandierato “ritorno al thrash metal” sembrava dietro l’angolo, ma il gusto di Mustaine e soci per la melodia agrodolce era tutt’altro che svanito, anzi. Consci del fatto che vi fossero componenti irrinunciabili nel sound, i Megadeth combinano le loro due nature nel corso di tutto il disco, strizzando persino l’occhio al metal classico in un’opener tutt’altro che efficace come ‘Disconnect’, che di per sé mostra che l’effetto ‘Risk’ è ancora lì, proprio dove i fan speravano di non trovarlo più. Collocato in una successione di eventi in cui i cambi di formazione seguivano ancora un qualche nesso logico, l’album beneficia sicuramente di alcuni momenti interessanti, dal richiamo al rifferama dell’eterno rivale Hetfield di ‘1000 Times Goodbye’ ai fasti melodici del decennio passato che riemergono sul refrain di ‘Burning Bridges’, fino a quella ‘Return To Hangar’ che è a tutti gli effetti la continuazione della blasonata ‘Hangar 18’, con la sua istantanea sulle macerie della segretissima base dell’Area 51 dopo la ribellione degli alieni ben sottolineata dal mood orientaleggiante ripescato per l’occasione e qui combinato a decise sferzate che vengono dalla scuola dei Mercyful Fate. Non è un caso che la band suonerà entrambe le celebrazioni dell’Hangar più famoso del deserto americano su ben due dischi dal vivo, ‘Rude Awakening’ e ‘That One Night’. Ascoltate però ‘Silent Scorn’ e capirete quella fissa per i fiati che ha rovinato tutte le copie di ‘Into The Lungs Of Hell’ attualmente disponibili sul mercato, massacrate da un missaggio che era di lì a compiersi; per non parlare dell’incedere ruffiano di ‘Moto Psycho’, che sembra anticipare il disastro di ‘Super Collider’, o di episodi del tutto trascurabili come ‘Recipe For Hate… Warhorse’. Se non altro, la delicata ‘Promises’ getta la maschera e si presenta come un’autentica e sofferta elegia del suo tempo, strettamente connessa alle sonorità mai veramente abbandonate dei Nineties, forte anche della collaborazione di Pitrelli alla scrittura e degli arrangiamenti di archi. Il disco è così, interlocutorio e “di passaggio”, immediatamente precedente allo iato degli anni successivi e alla vera rinascita che sarà rappresentata da ‘The System Has Failed’; eppure, il fan dei Megadeth troverà sempre la sua soddisfazione, tra l’autoironia della title track con la sua (inconsapevole?) citazione di ‘I Thought I Knew It All’ e la lunga, eccessivamente lunga coda rappresentata da ‘When’, che però ha il merito di tributare due colossi in un sol colpo: le sonorità di ‘When Hell Freezes Over’ / ‘The Call Of Ktulu’ poi riversate su ‘Hangar 18’ e le linee vocali di ‘Am I Evil?’ dei sempre osannati Diamond Head.

Hammer Fact:

– Al Pitrelli è stato il primo chitarrista ad assumere l’ingombrante ruolo che fu di Marty Friedman, per di più con la piena benedizione e collaborazione del futuro idolo delle folle del Sol Levante: pare infatti che Friedman si sia messo a completa disposizione del suo sostituto (come è evidente dagli eccellenti risultati di ‘Rude Awakening’), mostrandogli alcuni dei passaggi più intricati di quegli assoli la cui riproduzione Mustaine avrebbe sempre preteso fedele e rigorosa. Se non è un golden standard quello…

– Pur non essendo un vero e proprio ritorno al thrash metal della band, ‘The World Needs A Hero’ segna se non altro il ritorno di Vic Rattlehead sulle copertine dei Megadeth, come non accadeva dai tempi di ‘Rust In Peace’ (già su ‘Countdown to Extinction’ l’amabile Vic era stato relegato al macabro pallottoliere sul retro). Certo, l’affiorare di Rattlehead dalla pancia di quello che sembra essere Dave Mustaine non è esattamente il massimo del buon gusto, ma al fulvo leader l’idea deve essere sembrata divertente…

Line-Up:
Dave Mustaine: lead guitar, rhythm guitar, lead vocals
David Ellefson: bass, backing vocals
Jimmy DeGrasso: drums
Al Pitrelli: lead guitar, rhythm guitar, backing vocals

Tracklist:
01. Disconnect
02. The World Needs A Hero
03. Moto Psycho
04. 1000 Times Goodbye
05. Burning Bridges
06. Promises
07. Recipe For Hate… Warhorse
08. Losing My Senses
09. Dread And The Fugitive Mind
10. Silent Scorn
11. Return To Hangar
12. When

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