Bruce Dickinson – i primi 20 anni di ‘Tyranny of Souls’

Il 23/05/2025, di .

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Bruce Dickinson – i primi 20 anni di ‘Tyranny of Souls’

Nel 2005 il buon Bruce diede alle stampe la sua sesta fatica da solista ‘Tyranny of Souls’: sono passati già 20 anni, eppure sembra ieri! Dickinson, classe ’58 e mai avvezzo a schemi predefiniti, non pago degli Iron Maiden ha sfornato sette album a suo nome (l’ultimo nel 2024 ‘The Mandrake Project’) percorrendo una strada non priva di peripezie. Ma dalla sua ha sempre avuto l’attitudine, la perseveranza, la tenacia di chi ha un determinato obiettivo e vuole centrarlo. ‘Tyranny of Souls’ arriva dopo l’apprezzatissimo (da fan e critica) ‘The Chemical Wedding’ con un salto temporale di sette anni e sotto la label Sanctuary Records; anche per questo lavoro Bruce sceglie Roy Z come produttore e compositore, qui anche come chitarrista e bassista. In formazione poi troviamo – orgoglio italiano – il nostro Maestro Mistheria alle tastiere (facente parte anche della line up dell’ultima fatica del singer inglese).
E poi, c’è una copertina inquietante ad aspettarci, dai colori cupi e di stampo medioevistico (da buon storico) per non farci dimenticare che i suoi testi pescano a piene mani dai temi oscuri, dalla scienza… Testi e melodie non banali ma diretti, ricercati, potenti ed epici – Dickinson si erge in un periodo in cui sa iniziando a prendere piede YouTube (che nasceva proprio in quell’anno, NdR) e bisogna stare sul pezzo, iniziare anche un lavoro per i nuovi adepti ancora scevri da conoscenze approfondite. ‘Tyranny of Souls’ può essere il giusto compendio dei lavori precedenti e la chiave di volta per comprendere l’essenza del Nostro: la voce è sempre ispirata, giusta per dei testi in cui scienza e alchimia si intersecano e le melodie sono permeate dai riff, gli assoli e gli accordi visionari di Roy Z.
‘Mars Within’ introduce un trittico “da paura”: la sorprendente e tiratissima ‘Abduction’, il metal corposo della doppia cassa di David Moreno in ‘Soul Intruders’ e ‘Kill Devil Hill’ in cui la voce di Bruce si staglia come uno strumento che tocca tutte le corde dell’anima, le stesse dell’arpeggio acustico che fa parte del pezzo; riascoltiamo la poetica semi acustica ‘Navigate The Seas Of The Sun’ e ‘River Of No Return’ dal passo più potente, molto heavy e in cui il nostro Maestro Mistheria impreziosisce il tutto con le sue tastiere; ma ecco il momento dell’iconica ‘Power Of The Sun’ dove il metal, quello più trascinante e dai riff ben congegnati, ci trasporta con lui; l’assolo magnifico di Roy Z in ‘Devil On A Hog’ (hard rock all’ennesima potenza!) e ‘Believil’ in cui si sprofonda nelle sonorità più tenebrose, sino ad arrivare all’epica ‘Tyranny Of Souls’: un capolavoro! La titletrack è possente, geniale, intessuta di melodia, strumenti e voce strepitose: ecco a voi, la teatralità è servita!
Un lavoro coeso, solido, poco incline a spazi predefiniti (non che non fosse una caratteristica peculiare dei precedenti album!) ma esso stesso cassa di risonanza di quella melodia e testo ricercati ma semplici, diretti ma che scavano nella riflessione e negli intenti. Questa la mia lettura a distanza di 20 anni di questo capolavoro.
Album come ‘Tyranny Of Souls’ dovrebbero far parte della cultura musicale odierna, entrarci di diritto anche come dimostrazione ed esempio che ci si può affrancare dall’ovvio.
Bruce Dickinson e i suoi fedeli compagni sono la concretezza, il punto fermo in uno scenario musicale a volte effimero e dove la nostalgia tira le fila di un mondo che ormai è distante da noi (vecchi dinosauri brontoloni) ma che grazie a questi testi e melodie possiamo rivivere. (Monica Atzei)

Hammer Fact:
L’italianissimo Maestro Mistheria è stato reclutato direttamente ed espressamente dal produttore Roy Z, dato che con quest’ultimo aveva già collaborato nei dischi di Rob Rock, ‘Eyes of Eternity’ e ‘Holy Hell’. Riferisce il tastierista in una intervista di alcuni anni fa: “Roy Z mi ha contattato la prima volta nel gennaio 2004 chiedendomi la disponibilità per la realizzazione di un album… Dopo l’ok da parte di Bruce, nel mese di luglio Roy mi telefona e mi chiede se sono pronto per registrare il nuovo album di Bruce Dickinson!… Ho iniziato immediatamente le registrazioni: sono durate tre mesi. Ho avuto carta bianca per quanto riguarda le registrazioni ma mi sono state date delle indicazioni generali per l’album intero, sempre da Roy“. (Che si sappia: lo scriviamo con una punta, ma grandissima, d’orgoglio italico!)

Anno Domini 2005: in Italia l’etere musicale che conta è dominata da Rock TV, che ci propone un po’ dei primi timidi approcci al retro rock che sarà, con Wolfmother e Coheed and Cambria. Intanto, il 23 aprile dello stesso anno il caricamento dei diciannove secondi di ‘Me at the zoo’ sul neonato social network YouTube apre un ventaglio di possibilità fino ad allora inimmaginabili per tutta una serie di “nuove proposte”, con tutti gli annessi e (soprattutto) i connessi del caso. Fuori dalla contingenza e dai trend emergenti, gli Iron Maiden sono in piena fase ascensiva, trainati da quell’incredibile evento propulsivo che fu il ritorno del figliol prodigo Bruce assieme al suo sodale Adrian. Due dischi alle spalle come sestetto, altrettanti live album e un terzo album in studio post reunion in arrivo, con relativa scommessa in serbo: portarlo in concerto in versione integrale, una mossa che renderà il futuro ‘A Matter of Life And Death’ l’unico album della Vergine di Ferro (assieme al debut omonimo) i cui brani sono stati tutti eseguiti dal vivo.
E la carriera solista di Dickinson, nella percezione dell’epoca? Sicuramente veniva ricordata come un passaggio fondamentale, seppure in un dipanarsi di eventi che viene percepito come funzionale all’inevitabile reunion. Un po’ come quella ragazza con cui sei stato per un periodo, prima di conoscere quella attuale: senza l’una, l’altra non esisterebbe, o qualcosa di simile. Vero è che già allora serpeggiava una frangia di estimatori a prescindere che già negli anni ’90 avevano sottolineato il confronto schiacciante tra il Dickinson solista e i Maiden con Bayley, ma che ora si spingevano a dire che ‘The Chemical Wedding’ restava un picco insuperato che Harris e soci tuttora si sognavano di raggiungere.
Un’occasione mancata, in pratica. Eh sì, perché possiamo senz’altro dividere gli intenti da solista della Air Raid Siren fino ad allora in due parti distinte: quella scanzonata e un po’ arruffona che vedeva i dischi col suo nome in copertina come necessario divertissement di fuga dalle strette maglie del DO RE MI, e quella in cui si fa sul serio perché quella è rimasta l’unica nave da governare, uno strumento di rivalsa laddove prima c’era stato lo humour duro e puro, il raggiungimento di livelli artistici universalmente riconosciuti e impensabili fino a qualche anno prima, quando si prendeva in giro la vita del Milionario Tatuato losangelino di sangue italico. Forse non è un caso che gli anni ’90 erano iniziati appunto con le sei corde sbilenche di Gers che marchiavano a fuoco ‘Son of a Gun’, non mancando di citare nell’arpeggio di ‘No Lies’ il “furto” di ‘Bring Your Daughter…’ a opera del suo nuovo datore di lavoro, e si chiudevano con il rinnovato sodalizio con Smith inaugurato con i versi fatali “Welcome home, it’s been too long, we’ve missed you”. Nel mezzo, Roy Z e la sua Tribe of Gypsies, fino ad Alex Dickson con le sue digressioni acustiche, i live in studio e lo smarcamento mai davvero voluto rispetto a un passato ingombrante ma importantissimo.
In definitiva, c’erano stati mille e più motivi per seguire da vicino il Dickinson solista, che magari non avrà raggiunto il sogno proibito di diventare rilevante come l’Ozzy solista della decade precedente, ma che sicuramente avrà superato il mentore Gillan nell’indice di gradimento e interesse per la propria carriera personale dimostrato da fan vecchi e nuovi. Tanti di quei motivi erano ora inghiottiti dalla persistente luna di miele tra il pubblico e la band madre, ed è in questo scenario che usciva ‘Tyranny of Souls’. Spenti i riflettori sia sulle digressioni di genere che sulla traversata nel deserto, al Nostro restava ciò che aveva più a cuore: la libertà artistica.
E poi, se il blemmio in copertina mi fa pensare ai viaggiatori galattici di Gea, è perché erano esattamente gli anni in cui la pubblicazione di Luca Enoch usciva in edicola. Un caso? Ovviamente sì, ma mutuato dalla comune passione del fumettista per professione e del romanziere per vocazione per il bestiario medievale.
‘Tyranny of Souls’ è tutto ciò che avete sentito nominare dal buon Bruce nelle interviste in cui diceva che aveva in mente un album acustico e un po’ jethrotulliano dopo il World Slavery Tour, ipotesi fortunatamente cassata da Harris e seppellita da Smith per quel capolavoro intoccabile che è stato ‘Somewhere in Time’. Ovviamente, di jethrotulliano qui non c’è nulla, mentre i momenti acustici sono al servizio dei pezzi, come succede sull’inattesa variazione di ‘Kill Devil Hill’, peraltro uno degli episodi più duri della sua discografia. Tuttavia, è su ‘Navigate The Seas Of The Sun’ (un titolo che ti strega appena lo leggi la prima volta!) che quel percorso appare chiaro, senza che chi lo intraprende debba più renderne davvero conto, tanto da potersi lanciare altrettanto convintamente nell’intento anthemico di ‘River of No Return’ o di ‘Soul Intruder’ includendo persino qualche passaggio ardito di epoca ‘Skunkworks’ nelle scelte armoniche di quest’ultima. E già che parliamo di momenti heavy, non facciamoci mancare l’allora singolo ‘Abduction’, che indulge piacevolmente in quella stagione di rinascita della seconda metà degli anni ’90 – forse non è un caso che il logo richiami quello di ‘Accident of Birth’: manca solo Edison, ma la scelta così futurista di Riggs sarebbe stata fuori contesto nell’afflato shakesperiano della Tirannia delle Anime. Insomma, questo ventennale è l’occasione per riascoltare un tassello importante della carriera solista del Nostro: magari non quello più riuscito né quello più amato (filler ce ne sono, ed è fisiologico), ma con una spensieratezza artistica che può farlo apprezzare ancor più a cuor leggero di quanto avevamo fatto per ‘Balls to Picasso’, sotto l’occhio vigile di Joey DeMaio che presentava Headbangers Ball al momento del lancio di ‘Tears of the Dragon’ e che ci richiamava all’ortodossia metallica anche solo con le bardature d’ordinanza (nel buio della cabina d’ascolto… Harris ti guarda, Dickinson no, avrebbe detto Fernandel). Purtroppo per lui, la Storia non gli diede ragione: è proprio vero, è difficile essere un Manowar(Francesco Faniello)

Line up:
Bruce Dickinson: voce
Roy Z: chitarra, basso in ‘Power of the Sun’, ‘BeliEvil’ e nella traccia Bonus giapponese ‘Eternal’
Ray “Geezer” Burke: basso in ‘Mars Within’, ‘Kill Devil Hill’, ‘Navigate the Seas of the Sun’, ‘River of No Return’, ‘Devil on a Hog’ e ‘A Tyranny of Souls’
Juan Perez: basso in ‘Abduction’ e ‘Soul Intruders’
David Moreno: batteria
Maestro Mistheria: tastiere

Tracklist:
01. Mars Within
02. Abduction
03. Soul Intruders
04. Kill Devil Hill
05. Navigate the Seas of the Sun
06. River of No Return
07. Power of the Sun
08. Devil On a Hog
09. Believil
10. A Tyranny of Souls
11. Eternal (bonus track nell’edizione giapponese)

 

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