Death SS – Nel circo dell’assurdo

Il 06/10/2002, di .

Death SS – Nel circo dell’assurdo

Cosa è normale? Cosa è anormale? Chi sono i veri mostri? Questo si è chiesto Steve Sylvester, personaggio emblematico nel panorama musicale europeo, e dalle risposte/non risposte ha trovato stimoli e spunti per dare vita ad ‘Humanomalies’, il disco più feroce ed estremo concepito dai Death SS, un gigantesco carrozzone dei freak nel quale la diversità tematica si sposa con quella sonora sino a creare una creatura multiforme destinata a shockare e a disturbare il questo (ma non troppo) animo umano

E’ giunto in città il carrozzone dell’assurdo e del deviato, dell’improponibile e del diverso. E per una volta a guidare la carovana non è l’ultimo fenomeno da baraccone partorito dalla contorta società statunitense, bensì una persona che ha fatto della diversità, dell’ “essere freak” una vera e propria filosofia. Dopo tutto Steve Sylvester, sin dalla fondazione dei Death SS, è stato una sorta di gran cerimoniere in un circo di freak nato per shockare, e che oggi trova il suo compimento, dopo un lungo e elaborato percorso evolutivo musicale ma non solo, in un vero e proprio album. Difficile, coraggioso, disturbato deviato come può essere considerato ‘Humanomalies’, la raffigurazione in musica degli orrori della psiche umana, nel quale normalità ed anormalità vengono messe in contrapposizione, vengono trattate, vengono sviscerate sino a farne vacillare la reale identità delle due parti. Saranno forse in molti a storcere il naso davanti ai loop e ai campionatori che si insinuano tra le tracce di ‘Humanomalies’ sino a sfigurare il sound dei Death SS facendogli assumere le sembianze di un mastodontico “freak sonoro”, quello che è certo è che il “vecchio Steve” è riuscito ancora una volta a varcare quella linea che demarcava l’orizzonte dell’estremo ed a andare oltre, partorendo, o abortendo, se proprio vogliamo rimanere in tema, l’album più duro e crudo mai concepito dall’horror band tricolore, musicalmente ma soprattutto concettualmente, attraverso quelle tematiche perverse e “delicate” che Steve ha minuziosamente sviscerato nel corso della lunga intervista che segue.
Ancora una volta i Death SS si sono mossi sull’onda del cambiamento. Non solo stilistico e sonoro, quanto anche iconografico. Non nego che, la prima cosa pensata ricevendo ‘Humanomalies’, è stata quella di trovarmi di fronte al tuo disco solista, con quello “Steve Sylvester” sulla copertina a “prevaricare” il classico moniker Death SS…
“Tutto questo è nato da una doppia necessità: innanzitutto l’annoso problema della doppia “S” che continua a crearci enormi problemi in Germania dove puntualmente veniamo tacciati di nazismo. Questa è una cosa che va avanti da secoli e, nonostante i nostri messaggi chiarificatori e le nostre puntualizzazioni, siamo stati costretti a cambiare leggermente il moniker. Se ci fai caso, poi, già da ‘Panic’ avevamo iniziato a cambiare, a non utilizzare più un logo fisso ma variare di volta in volta in base anche all’iconografia del disco. In questo caso, la copertina prevede l’inserimento di un banner circense nel quale si incastona perfettamente la scritta ‘In Death Of Steve Sylvester – Death SS’…si tratta di una vera scelta artistica. Effettivamente ad un primo approccio può sembrare il disco solista di Steve Sylvester, poi però, se si fa attenzione, si vede che i Death SS non sono affatto scomparsi, ma sulla copertina questo nome ritorna un paio di volte”.
Rimanendo in tema copertina, è impossibile non pensare, in un certo senso, ad Alice Cooper, con quei forti richiami che inevitabilmente essa evoca. Un rimando che, in un secondo tempo, trovo ritorni anche da un punto di vista concettuale…
“Assolutamente, la citazione a ‘Welcome To My Nightmare’ è voluta. Ma di Alice Cooper nel disco puoi trovare qualcosa anche a livello musicale. ‘Humanomalies’ è un disco molto teatrale, quella teatralità che da sempre è marchio di fabbrica dei Death SS emerge prepotentemente all’interno del lavoro, mentre quello che cambia sono ovviamente i suoni, perché la nostra volontà è quella di sperimentare parecchio. In ‘Humanomalies’ ci sono dei suoni veramente strani, di tastiera, di chitarra, figli di un grosso lavoro fatto a Los Angeles con Shiffman e del nostro desiderio di fare qualcosa differente da quanto c’è oggigiorno in giro ma che non rinnegasse totalmente il passato”.
Un lato, quello ‘americano’, che personalmente reputo fondamentale per questo album. Trovo che ci siano dei brani che suonano maledettamente ‘americani’, sia come sound che come attitudine stessa…
“Sono perfettamente d’accordo. Però considera che ci sono anche dei pezzi che hanno quell’input, quel touch tipicamente europeo. Shiffman ha dichiarato che abbiamo inventato il ‘nu gothic’, dicendo che, secondo lui, siamo riusciti a riprendere il gothic anni Ottanta e rivederlo in una chiave di scrittura ritmica come fosse quasi un pezzo nu-metal. C’è stato quindi questo matrimonio quasi impossibile sulla carta tipo Sister Of Mercy-Coil, tanto per farti un’idea. Però senza mai copiare gli altri, cercando di differenziare maggiormente i suoni rispetto agli altri dischi, e questa è stata una cosa sulla quale abbiamo lavorato veramente molto”.
Vista sotto quest’ottica è impossibile non tirare in ballo il primo singolo ‘Pain’, uno dei pezzi più emblematici (e controversi) dell’intero lavoro…
“Sì, ‘Pain’ è senza dubbio uno di questi pezzi. E’ un brano nel quale le liriche sono molto crude, parlano della sofferenza e del dolore. Abbiamo puntato moltissimo sulle liriche, che in questo album ricoprono un ruolo importantissimo”.
‘Pain’ si va ad inserire in un mosaico estremamente complesso e disturbato, che ha alla base l’orrore, non solo visivo quanto anche mentale ed ideologico. Puoi tentare di introdurci nell’oscuro concept che si cela dietro ‘Humanomalies’?
“Questa volta ho voluto parlare dell’orrore, cosa che abbiamo fatto in tutti i dischi, però di quell’orrore che vediamo tutti i giorni, quello che ci viene tramandato dalle televisioni, dalle cronache, dai telegiornali, quell’orrore che tutti quanti abbiamo dentro. Prendendo spunto da tutto quello che comunemente viene definito come anormale, partendo dall’estetica e arrivando a qualsiasi cosa possa farci definire ‘fuori dalla norma’, ho cominciato a parlare di tutti quegli orrori estetici ma, soprattutto, quelli che abbiamo dentro la mente, gli orrori che ci portano a creare faide e guerre razziali, attentati, emarginazione. E’ un discorso estremamente ampio e complesso. In un brano come ‘Abnormal’, ad esempio, ho voluto inserire dei campionamenti di Orlan o di Franko B che sono i nuovi mentori della body art, persone che cercano e che riescono a fare arte semplicemente modificando il loro corpo e che quindi vengono considerati dei freak, degli anormali perché fanno cose mai fatte prima. Ci sono dei brani appunto dove, prendendo di forza l’iconografia di questi side show, ci si chiede realmente chi è il vero mostro e che cos’è la vera diversità. La diversità è un qualcosa di intrinseco che abbiamo tutti noi nella vita, ci siamo sempre sentiti diversi in un modo o nell’altro”.
Effettivamente l’impressione è che tu, con questo album, non abbia voluto trattare il già abusato (da Marylin Manson, Alice Cooper e gli stessi Kiss) tema del “circo dei mostri”, ma prendere questo come spunto per trattare un argomento più ampio. Dopo tutto il freak non è necessariamente il tizio con tre braccia o due teste, ma anche il distinto signore della porta accanto…
“Ma soprattutto! Il vero freak, alla fine, è quello che ha il mostro dentro di se, quindi tutti noi possiamo essere alla fine dei freak. ‘American Psycho’, ad esempio, parla anche del condizionamento della generazione che poi porta al ‘fenomeno’ dei serial killer. Ci sono delle velate correlazioni anche con l’omonimo libro di Easton Ellis, ma non solo…nei testi poi si dipana in argomenti più vari che ognuno può interpretare come meglio crede. Ci sono poi sempre riferimenti a cose occulte come già fatto in passato, legate alle dottrine telemiche anche se questa volta sono più a fondo, meno evidenti che in passato. Per questo penso che un’analisi dei testi sia particolarmente importante per seguire il corso di ‘Humanomalies’”.
E Steve Sylvester? Anche lui si reputa un freak?
“Sicuramente! Io sono sempre stato un freak. Freak è sempre una persona diversa dagli altri, ma diversa da quello che la comunità ha stabilito debba essere la norma. Io non mi sono mai voluto inglobare nella norma, in ciò che deve essere predefinito. Preferisco essere sempre me stesso, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questa cosa può avere, e sempre fregandomene da quello che possono pensare gli altri, e penso che, bene o male, tutti abbiano avuto un momento nella loro vita in cui si sono sentiti veramente dei freak”.
Il concetto di normalità e anormalità, oggi…
“La normalità non esiste, perché, ogni persona, come dice Aleister Crowley, brilla di luce propria, quindi per quanto tu possa essere inserito in un contesto organizzato che ti impone determinate scelte, sei comunque un uomo libero, sei l’unico artefice del tuo destino e di quello che hai in mente. Poi sta a te, con la tua forza di volontà, di venirne poi fuori per poter imporre la tua luce e far brillare la tua stella. Parlo proprio di questo concetto in ‘Weird World’, nel quale affermo che ‘tutti possono diventare una stella, in questo mondo bizzarro’, quel mondo profetizzato dai Death SS. E non mi riferisco ad una stella del cinema o della musica, ma come stella nel senso di realizzazione di se stessi”.
Tornando al disco. Il punto forte di ‘Humanomalies’ trovo sia l’essere riuscito a fondere il concetto di ‘diverso’, di ‘distorto’, con sonorità effettivamente ‘diverse’ e ‘distorte’. Un tutt’uno musica/concept particolarmente ben riuscito…
“Mi fa piacere che tu l’abbia notato, perché era uno di quegli obiettivi che ci eravamo posti al momento di entrare in studio. Penso che siamo riusciti a sposare perfettamente il concetto con il sound, una cosa assolutamente non semplice”.
Con ‘The Sleep Of Reason’, sforni una ballata mozzafiato, di grandissima intensità…o forse no?
“E’ un brano ingannevole, perché se ci fai caso non è la classica ballata d’amore ma rivela uno dei testi più crudi e cattivi del disco. Una cosa importante è che questo disco suona molto cattivo, molto violento, forse il più estremo registrato sino ad ora, e non mi riferisco soltanto alla musica ma soprattutto all’impatto che hanno certi argomenti trattati, certe tematiche ed a alcune sonorità lancinanti…è un disco che sotto molti aspetti è disturbante, non è assolutamente un lavoro facile. Se vogliamo misurare la durezza di un disco ‘Humanomalies’ è senza dubbio il più duro che abbiamo mai fatto pur non essendo il classico disco di heavy metal. Ci sono alcuni brani che dopo ripetuti ascolti ti comunicano un certo senso di disagio, di dolore, di alienazione, ed è una cosa assolutamente voluta”.
Da ‘Rabies Is A Killer’ a ‘Rim Of Hell’ passando per ‘Heaven On Their Minds’ e ‘Love Resurrection’, le cover non sono mai mancate nei tuoi ultimi lavori. In ‘Humanomalies’, però, avviene qualcosa di particolare…
“Già, questo caso la situazione è un po’ differente, perché per la prima volta abbiamo coverizzato un pezzo famoso, ‘Sympathy For The Devil’ dei Rolling Stones. La scelta è stata fatta quasi come un’ulteriore sfida, perché abbiamo pensato che fosse il brano che più di tutti si adattasse ad una rivisitazione in questo concept. Penso che comunque, tenuto conto anche dell’originale degli Stones, sia stata interpretata in una maniera molto personale. E’ una canzone dall’incidere tribale all’inizio, e anche a livello lirico, almeno per l’epoca, era un brano che si scagliava contro la morale comune dei cosiddetti ben pensanti, quindi professando la sua simpatia per il diavolo, Jagger passa per rivoluzionario, e quindi ci tenevamo a ribadire che, seppur fossero passati trent’anni dalla stesura di quella canzone, una song come ‘Sympathy For The Devil’ è sempre attuale”.
Visitando il vostro sito e approdando alla sezione ‘Press’, ho notato che hai inserito articoli su di voi apparsi su giornali di ogni parte del Globo, tranne che su quelli italiani. E’ forse perché hai avuto problemi con la stampa italiana in passato, e questa ‘esclusione’ deve essere vista quasi come qualcosa di ‘personale’?
“No, assolutamente non ho mai avuto di questi pensieri. Io sono una persona che può valutare da se le situazioni, soppeso le cose ma non porto in me simili rancori e ripicche. Cerco di essere principalmente in pace con me stesso, il resto ha importanza relativa. Questa della stampa estera è stata una cosa richiesta esplicitamente. Siccome i fan italiani sanno dove rivolgersi per poter sentire parlare dei Death SS, mentre all’estero siamo sempre stati bene o male una band piuttosto sconosciuta, abbiamo cercato di far vedere a chi si collegava dall’estero qualcosa nella loro lingua. Per ‘Humanomalies’, comunque, verrà inaugurata sul sito una sezione dedicata anche alle recensioni italiane”.
Direi di concludere con una “voce” tanto bizzarra quanto suggestiva. La classica “leggenda metropolitana” voleva i Death SS alle prese con un “disegno magico” che ne dettava i titoli dei dischi, la loro cadenza temporale e le loro tematiche. Confermi o smentisci?
“Mah, non trovo ci sia un disegno simile alla base dell’attività dei Death SS. Che io mi interessi a determinate cose è risaputo, che queste cose influenzino la mia musica, anche, soprattutto perché determinati studi mi consentono di dare maggiore profondità a ciò che scrivo. Non vedo però nulla che possa essere collegato materialmente ad un disco, anche perché noi siamo tutti principalmente musicisti! E poi se conoscessi la formula del patto che garantisce successo, fama, notorietà, soldi, l’avrei già utilizzata da un pezzo!”.

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