Bad Bones – The ones with the different way

Il 04/11/2016, di .

Bad Bones – The ones with the different way

Il gruppo piemontese, uno delle più belle realtà attive sulla scena hard rock italiana, si appresta a tagliare il traguardo delle dieci primavere, ed intanto si prepara ai grandi festeggiamenti sfornando un lavoro eccellente come “Demolition Derby”, disco in grado di aprire nuove porte alla band. Gruppo che si apre a Metal Hammer in una lunga intervista “a cuore aperto” tra aneddoti, ricordi e tanto rock’n’roll

I Bad Bones sono il volto genuino dell’hard rock tricolore, quello che guarda ancora alla musica con gli occhi del ragazzino entusiasta nonostante le “anta” primavere sulle spalle, quello per il quale ogni palco è quello del Monsters Of Rock e chissenefotte se stacchi il jack, scendi dal palco e ti ritrovi in un piccolo pub di paese, quello per il quale il “Bones fan” è quello da andare a prendere porta a porta, un traguardo da conquistare, una sfida da vincere. Quella dei Bad Bones è una storia fatta di cadute e di risalite, affrontate sempre con quell’incoscienza e quella determinazione che solo chi ama visceralmente ciò che sta facendo può comprendere, una storia lunga dieci anni e quattro album, quattro tappe di un percorso che non è mai stato semplice ma che oggi, finalmente, può portare il quartetto piemontese a guardare la scena con occhi nuovi e grande dignità. Il nuovo “Demolition Derby” è infatti passione pura, adrenalina dalla prima all’ultima nota, il cuore che si incontra con la pancia e che potrebbe davvero portare i Bad Bones alla definitiva consacrazione, il classico disco che cambia le carte in tavola e con una sola mossa può fare saltare il banco. Perchè oggi, finalmente, a parlare è unicamente la musica. Musica che sgorga sincera non solo tra le tracce di “Demolition Derby” ma, a modo suo, anche nella lunga intervista che vede intervenire la band al gran completo, pronta a “denudarsi” davanti a Metal Hammer e a mettere sul piatto con grande onestà le sue emozioni, le sue paure, i suoi sogni e le sue speranze.
L’impressione è che con questo disco i Bad Bones finalmente abbiano acquisito la dimensione di “band musicale”. Mi spiego meglio: in precedenza gli eventi avevano soverchiato l’attività musicale della band che è sempre stata eccellente. Si parlava dei Bad Bones come la band che ha mollato tutto ed è andata in America, che ha fatto la vita da barboni in mezzo alle gang di Los Angeles, che ha fatto la fame, che ha suonato nelle bettole e al Whisky A Go Go… oggi l’eco dell’America mi sembra passato e finalmente si parla di voi solamente per discorso puramente musicale. Vi sentite anche voi in qualche modo “alleggeriti” dal vostro passato?
“(Steve) In effetti negli anni si è creato un certo “folklore” attorno alla band, non che ci disturbi, anzi, credo che il nostro periodo “americano” ci abbia aiutati a trovare una dimensione nell’immaginario della gente oltre che a plasmare la band in maniera molto forte nei suoi primi anni. Tuttavia, quando un gruppo si avvicina all’uscita del quarto album e al traguardo del decimo anniversario, inevitabilmente si fanno bilanci ed è estremamente gratificante per noi poter lasciare spazio alla musica e alle nuove canzoni, vuol dire che si apre un nuovo capitolo della storia dei Bad Bones e che i riff di “Demolition Derby” hanno un volume più alto di quello del nostro “rumoroso” passato) esattamente quello che volevamo ottenere, non siamo gente che vive di nostalgia!”
“(Lele) Credo che in questo periodo si stia aprendo un nuovo capitolo per la band, e giustamente siamo rivolti verso il nostro futuro con le nostre aspirazioni e i nostri obbiettivi. Se fossimo ancora ancorati al nostro passato, penserei che ci sarebbe qualcosa di guasto nel nostro presente.
Non tolgo nulla a Steve, Lele e SerJoe, ma l’impressione avuta ascoltando la prima volta ‘Demolition Derby’ è che questo sia il “disco di Max”. Se i primi lavori erano caratterizzati da un certo “marciume” di fondo, e ‘Snakes And Bones’ risentiva del passato recente, ‘Demolition Derby’ vede Max portare il gruppo verso una nuova direzione, influenzandola enormemente con la sua influenza hard rock…
“(Max) Ho lavorato per poterci mettere del mio nella creazione e sviluppo di questo disco. Come stile di canto, arrivo da una “scuola” decisamente hard rock) ho quindi preso ispirazione dalle atmosfere, influenze e colori musicali che maggiormente mi coinvolgono e mi emozionano, per fare in modo che le melodie fossero le più spontanee e naturali possibili”.
“(Steve) Con Max è stupendo lavorare, tra di noi si è creata un’alchimia pazzesca, io tiro giù una linea melodica appena abbozzata e lui capisce perfettamente l’idea di base arricchendola e facendola sua. Negli anni abbiamo costruito una grande sintonia e lavoriamo davvero come una mente sola, io butto giù le parole e lui costruisce la melodia o viceversa, lui tira giù la melodia e io gli costruisco il testo, confrontandoci sempre liberamente e andando a cercare le soluzioni migliori fino al raggiungimento della situazione ideale”.
“(Lele) Verissimo Max in questi anni ha fatto un percorso di crescita musicale e di stile incredibile dà sempre il 200%”
Molto Max come detto in questo disco ma… quanto c’è di SerJoe nel nuovo sound dei Bad Bones? Personalmente ho trovato incredibile la naturalezza con la quale SerJoe si è integrato nella band…
“(SerJoe) L’ingresso nella band direi che è stato estremamente veloce…il tempo di un viaggio in furgone da Torino a Brescia! Conoscevo i ragazzi da tempo ma per la prima volta si suonava insieme…da subito ho sentito una bellissima energia è quel feeling che non si può costruire…o c’è o non c’è…Poi di base le influenze musicali e l’attitudine sono le stesse e questo ha reso tutto molto semplice”.
“(Steve) L’autunno del 2013 è stato difficile, la band era bloccata, mille scelte sbagliate sul piano manageriale e un’alchimia con Meku che si era incrinata, si sentiva l’aria della fine di un ciclo, eravamo fermi a crogiolarci tra mille dubbi, poi all’improvviso, prima di un concerto, il nostro chitarrista decide di staccare la spina e al volo chiamiamo SerJoe che si impara 10 pezzi durante il viaggio sul furgone e con una scioltezza assurda suona due date di seguito, come se avesse sempre fatto parte della band. SerJoe è un musicista ultra preparato e ha testa e palle da vendere, è uno alla vecchia, poche parole e pedalare. Ha riportato la musica al centro dei nostri pensieri, ridando alla band quel senso di stabilità e compattezza che fanno parte della nostra tradizione”.
Uno dei tratti salienti di questo disco è la costante ricerca della melodia, che se nei dischi precedenti non mancava mai ma pareva quasi un po’ “casuale”, in questo caso emerge limpida e anche dove potrebbe non starci…ci sta. Proprio sulla melodia trovo abbiate fatto un lavoro eccellente…
“(Max) Io sono un fan sfegatato della melodia, più vado avanti e più la reputo un aspetto indispensabile. Ovviamente non è una regola assoluta, mi limito a parlare del mio personale approccio alla musica. Partendo da questo punto di vista, la ricerca delle melodie nella prima fase di lavorazione è consistita nel “chiedere” ai pezzi del disco cosa ci si potesse cantare sopra; mi riferisco al fatto di chiudere gli occhi, ascoltare i riff e le idee che avevamo messo insieme, e chiedersi “quale sarebbe (per esempio) l’inciso che ti viene spontaneo cantare?”. E da qui, creare delle melodie che fossero il più possibile sentite, e non prettamente studiate o predefinite”.
“(Steve) Siamo estremamente contenti del lavoro fatto sul piano melodico, SerJoe e Max sono stati determinanti in questo processo di crescita e devo dire che anche Lele ha dato un contributo fondamentale andando a lavorare su un drumming più lineare e squadrato, senza dimenticare il lavoro di Roberto Tiranti e Simone Mularoni che ci hanno aiutato tantissimo dimostrando una sensibilità fuori dal comune nel limare e perfezionare alcune situazioni senza stravolgere il nostro sound. Sono due grandi musicisti e, in questo caso produttori, che stimiamo tantissimo e dai quali possiamo solo imparare, con loro due abbiamo davvero trovato la quadra del cerchio”.
Paradossalmente, se i dischi precedenti avevano subito l’influenza dell’esperienza americana da un punto di vista lirico, questo è il disco che più di tutti subisce l’influenza statunitense a livello di sound. Alcuni pezzi sembrano scritti appositamente per il mercato americano, un caso fortuito o…?
“(Max) Mi sento di poter dire che il risultato di questo disco è una questione di gusto e di sensazioni: io sono entrato a far parte dei Bad Bones quando il gruppo esisteva già ed aveva già una sua identità. Una delle prerogative che ho sempre apprezzato tanto della band è la voglia di suonare per il piacere di suonare, di divertirsi assieme e possibilmente di coinvolgere anche gli altri. Per i Bones è fondamentale che alla base di tutto ci sia il divertimento, inteso come soddisfazione a livello musicale e umano. Per questo credo che, anche se avessimo tentato di scrivere dei pezzi ai fini di una manovra commerciale, non credo ci saremmo riusciti e sicuramente non ci saremmo divertiti”.
“(Steve) A noi le logiche di mercato interessano davvero poco, abbiamo un nostro sound che è andato a definirsi lungo questi dieci anni e si è evoluto, sicuramente in questo disco ci sono brani più “larghi” sul piano melodico, ritornelli e bridge più ariosi ma quell’attitudine che trovavi nei nostri primi dischi è rimasta, non ci sono tastiere, eccezion fatta per il meraviglioso featuring di Alessandro Del Vecchio con il suo Hammond bollente su “Red Sun”, potrete ascoltare solo basso chitarra e batteria, nessun computer o sequencer, ne’ orchestre, tutto estremamente crudo e ridotto all’osso, in una concezione che ha poco a che fare con le mega produzioni americane, detto questo il “respiro” del deserto del Mojave soffia dentro le note di questa band dal 2008: la nostra anima “americana” è viva anche in “Demolition Derby””.
“(Lele) Quando io e Steve abbiamo iniziato a parlare della realizzazione del nuovo album, ci siamo posti alcune domande, in primo luogo “chi sono i Bad Bones” e cosa vorrebbero fare e in secondo luogo, quanto tempo ci occorre. Bene, ci siamo presi il tempo giusto e abbiamo fatto delle scelte a livello di composizione e di produzione mirate hai nostri obbiettivi mi sembra che le cose siano andate nel verso giusto”.
Addentriamoci nel disco. Primo singolo ‘Me Against Myself’ è prima bomba sganciata. Pezzo clamoroso e quel coro paraculo da fare paura. Poi il testo, che sembra quasi rispecchiare ciò che sono i Bad Bones con la costante lotta contro voi stessi e contro i vostri limiti. Ne parliamo?
“(Steve) Per molto tempo siamo stati in lotta con noi stessi e inconsciamente quando ho scritto il testo di questa canzone pensando alla Formula 1, ho toccato questo tema. La sfida solitaria del pilota chiuso nel suo abitacolo a vincere le sue paure per poter arrivare primo, quanto allenamento e quanta concentrazione per trovare la forza di superare il terrore di uno schianto a 300 km/h. Parliamo di autostima, self-confidence, quella che è mancata a noi dopo “Snakes and Bones” e che ora abbiamo ritrovato e ci ha portato a vincere il nostro “Demolition Derby””.
‘Endless Road’ ci fa compiere un bel balzo indietro nel tempo sino agli anni Ottanta e a quando l’hard rock girava a rotazione su MTV. Perchè tirare fuori un pezzo simile proprio oggi?
“(SerJoe) Credo che di quel periodo sia rimasto qualcosa in tutti noi, continuiamo a suonare quello che ci viene naturale e che ci emoziona al di la delle mode del momento sentendoci liberi di attingere dalle nostre radici musicali e da quello che ci ha segnato negli anni”.
“(Lele) Penso che ancora al giorno d’oggi sia importante portare avanti un certo tipo di discorso musicale, credo che ci sia ancora la voglia di divertirsi con un buon brano rock. “Endless Road” è uno di quei brani che arriva subito all’obbiettivo: immediato e senza fronzoli, semplice e funzionale, credo sia questo il richiamo agli ’80 che salta all’orecchio, questo modo di fare musica è innato nella band).”
“(Steve) Il testo parla della voglia di suonare, della musica che rotola su questi furgoni che viaggiano per strade infinite verso piccoli club di provincia, della gioia di trovare un palco sul quale potersi esprimere, di condividere emozioni. E’ stato il primo pezzo composto per “Demolition Derby” e ha tracciato la via. Ho riletto il testo mesi dopo quando, in un tragico incidente un’intera band delle nostre zone ha perso la vita; tra di loro Paolo Papini, chitarrista meraviglioso e persona splendida con la quale ho passato tante serate a parlare di musica. In quel momento di lutto devastante continuava a risuonare nella mia testa il ritornello di “Endless Road”: “…prendi i tuoi sogni e falli rotolare sulla strada infinita …” questo pezzo è dedicato a te Paolino, un pezzo allegro e pieno di vita, come eri tu fratello”.
‘Rambling Heart’ è un’altra delle sorprese del disco, una ballata che porta alla luce un gusto e una classe che quasi fa a pugni con un gruppo “ignorante” come i Bad Bones…
“(Steve) Forse è la prova che non siamo più un gruppo così “ignorante”, anche se devo ammettere che è una definizione che mi è sempre piaciuta, per il colore un po’ punk che dava alla band. Come giustamente diceva SerJoe prima, i pezzi vengono composti in maniera naturale, in particolare “Rambling Heart” è nata durante una jam ed era un po’ diversa, non era una ballad, nè un mid-time, era una via di mezzo che non convinceva, così l’abbiamo ripensata completamente, trasformandola
nel pezzo più epico e lungo del nostro repertorio”.
“(Lele) Effettivamente più di una volta mi sono chiesto se sta volta forse non avessimo esagerato poi riascoltandolo, mi sono detto…”va bene così, questo brano è un viaggio guai ad interromperlo””.
“(Max) “Rambling Heart” è un pezzo fortemente introspettivo: è il classico pezzo che ognuno può cantare fra se e se. Un momento dove ognuno guarda a se stesso. Forse anche per questo esula un po’ dal sound più facilmente attribuibile ai Bad Bones. Credo che possa avvalorare il fatto che la percentuale di istinto e “pancia” nella creazione dei brani di “Demoliton Derby” è davvero alta”.
Con ‘Shoot You Down (El Mariachi)’ , Steve ti ricordi che hai suonato anche heavy metal duro e puro nella tua carriera e qui sembra che tu voglia sottolineare questo aspetto non trascurabile…
“(Steve) Si! Amo il metal e non rinnego una virgola del mio passato! Con i Bones non ci eravamo mai cimentati con le cadenze terzinate ed era ora di farlo! Quando ho ascoltato la pre produzione mi son detto: cavolo! Gli ZZTop si sono scontrati con i Sabbath del periodo RJ Dio e gli Skid Row! Divertente da matti! sarà molto interessante da riproporre live!”
“(Lele) “Shoot you down” è un brano con una ritmica di basso che non avevamo mai sperimentato prima di oggi… ci siamo divertiti parecchio, c’era una bellissima energia mentre la provavamo. Come ha iniziato Steve a suonare il basso con questo ritmo in terzine sembrava che tutti sapessero perfettamente che tipo di svolta bisognava dare al brano…abbiamo scritto questo pezzo di getto senza neanche dirci una parola è venuto fuori spontaneo e potente”.
‘Red Sun’ spiazza. Non sembra neppure un pezzo dei Bad Bones e poi Roberto Tiranti gli dona una marcia in più…
“(Max) Riprendo in parte quanto detto anche per “Ramblig Heart”: l’istinto, le sensazioni, le circostanze che riguardano ogni membro della band ci hanno portato a scrivere anche un pezzo come “Red Sun”. Spesso diciamo che i pezzi dei Bones sono tali in base all’atmosfera e alle sensazioni che abbiamo modo di provare: i pezzi dei Bones sono legati a momenti, a circostanze, a atmosfere che vengono rappresentate attraverso i testi e le armonie fotografando un istante della nostra vita. Roberto ha seguito le registrazioni delle voci davvero in maniera magistrale: e quando, parlando, abbiamo abbozzato l’idea del duetto su “Red Sun”, io ero già emozionato. Ti lascio immaginare quando ho sentito l’anteprima del pezzo con la sua voce a intrecciarsi con la mia. Quasi non mi sembrava possibile, emozione pura!”
“(Steve) “Red Sun” è un pezzo con un testo che parla di un momento molto particolare della mia vita: ero con la mia compagna al tramonto nella Monument Valley, soli io e lei, innamorati e feriti. Un mese prima avevamo dovuto superare il dolore di un aborto spontaneo e in quel momento ho pregato quel sole rosso di aiutarci, la preghiera è stata esaudita, la mia piccola Margherita è stata concepita proprio in quel viaggio! Tornati a casa l’unica cosa che potevo fare per sdebitarmi con quel sole calante della Monument Valley era di trasformare quella preghiera in una canzone! Volevo venisse fuori larga e intensa e invece nella prima versione aveva questa base ritmica quasi tipo bossa nova, che la rendeva nervosa e scattante, non funzionava. Un paio di giorni prima di entrare in studio diciamo a Lele: tu vai e suonala come fosse un pezzo degli Aerosmith, poi vediamo cosa fare! E così è stato! Lele ha registrato una batteria completamente diversa e su quella abbiano creato quel bridge apertissimo che lega il ritornello e tiene vivo il pezzo, a Roberto è piaciuta talmente tanto che ci ha regalato questo meraviglioso featuring e per non farci mancare nulla abbiamo chiesto a Ale Del Vecchio di colorarla col suo Hammond. Per me è uno dei brani più intensi che abbiamo mai scritto e grazie a Roby e Ale è diventata quella canzone preziosa e splendente che volevamo!”
Ascolto finito, tempo di tirare le somme. Steve, Lele, se vi guardate indietro, cosa vi viene da pensare? Cosa erano i Bad Bones e cosa sono oggi i Bad Bones?
“(Steve) Dieci anni vissuti veloci come fossero un anno, a viso aperto, nel bene e nel male, senza guardarsi indietro, momenti in cui ci sentivamo invincibili, momenti in cui ci sentivamo persi, momenti in cui ci siamo amati e anche odiati, ma penso faccia parte delle regole del gioco, sono fiero dei Bad Bones quelli di oggi come quelli di ieri, siamo una band coerente, che è riuscita a fare quattro dischi e a crescere sotto tanti punti di vista, senza mai smettere di amare il rock’n’roll e la libertà di suonare la propria musica senza compromessi, che piaccia o no, noi siamo questi!”
“(Lele) Forse è un po’ presto per tirare le somme, comunque per ciò che riguarda il passato, vedo una band che non ha mai mollato e nel presente un disco che mi convince al 100%”.
Se poteste cambiare qualcosa nell’universo Bad Bones, di quanto accaduto in questi anni (e di cose ne sono accadute molte), cosa cambiereste?
“(Steve) Personalmente non cambierei nulla, anche le scelte più sbagliate son servite, anche i momenti più duri sono stati utili, abbiamo perso per strada Meku e questo è stato un grande dispiacere, ma allo stesso tempo abbiamo trovato SerJoe e senza di lui non sarebbe stato possibile trovare l’equilibrio e la freschezza che abbiamo ora, quindi anche questa separazione ha avuto un senso nella crescita della band. C’è una continuità nel fare le cose in un certo modo, c’è una mentalità nella band che è rimasta la stessa fin dal nostro primo album, vogliamo essere crudi e veri, siamo una live band e ognuno di noi ha ben chiaro chi siamo e dove andiamo e credetemi non è poco!”
“(Lele) E sì di cose ne sono successe tante, abbiamo commesso molti errori, e non nego che se potessi tornare in dietro ci metterei qualche pezza, comunque siamo sopravvissuti questo è ciò che più conta”.
Due di voi in questo lasso di tempo sono diventati papà e la paternità cambia la vita di un uomo. Pensate che abbia in qualche modo anche cambiato il vostro modo di fare ma soprattutto di vivere la musica?
“(Lele) Diventare genitore è una gioia, sicuramente è stato un passo importante e meraviglioso, non per questo è venuto meno l’approccio di sempre alla musica e al modo di lavorare… più che altro ora abbiamo un qualcosa in più che prima mancava, tutto ciò è molto bello e importante”.
“(Steve) Avere un figlio cambia molte prospettive, aggiunge un colore a tutto e anche alla musica, una sera Roberto Tiranti mi fa: “Ragazzi sto disco mi piace davvero tanto perché è un disco “happy” pieno di energia positiva!”, aveva perfettamente ragione! Diventare genitori al di là delle naturali ansie quotidiane è gioia allo stato puro e questo non può non riflettersi nella nostra dimensione artistica! Mia figlia mi sta insegnando nuovamente a giocare e così facendo, in qualche modo, mi sta insegnando anche a suonare e scrivere canzoni perché come dicono gli inglesi suonare e giocare sono la stessa cosa!”
I Bad Bones hanno un pregio riconosciuto: come si muovono, piacciono. Forse anche più di quanto farebbe una quotata band straniera. Mi ricordo i pullman dalla provincia di Cuneo per vedervi suonare 20 minuti all’Italian Gods Of Metal, mi ricordo concerti con 1000 persone al Nuvolari di Cuneo, so di concerti sold out a Roma, so di uno zoccolo duro di fan in Veneto… come vi spiegate tutto questo affetto e questo appeal che avete con il vostro pubblico?
“(Lele) Io non ho una spiegazione, credo che il lavoro fatto bene, comunque paghi sempre, e che ci siano ancora delle persone che per fortuna non si facciano influenzare dal mainstream ma che abbiano ancora la passione per cercare le band che gli piacciono nell’underground e che con la loro testa cerchino e scelgano ciò che gli piace, non prendendo per buono tutto quello che gli viene propinato dalle major. E’ fatastico! Amo questi nuovi ribelli”.
“(Steve) Credo che la gente sappia riconoscere se sul palco dai tutto e sei vero, non suoniamo per essere qualcuno, suoniamo perché siamo noi stessi e ci va bene così. Non vogliamo piacere a tutti i costi ma vogliamo piacere a noi stessi, lavorando duro, cercando di fare show al massimo delle nostre possibilità anche quando il locale è vuoto; lì sta la differenza, lì costruisci la base di fan: troppo facile salire sul palco del Gods of Metal e fare le star, vatti a prendere i fan uno ad uno nelle bettole dove quando ti va bene sono in 4/5 a sentirti, show dopo show i 4/5 diventano 10/15 poi 20/30 e via così se sei bravo. Se non ci riesci vuol dire che devi migliorare, non bisogna mai dare la colpa alla gente o piangersi addosso! Sento troppa gente mugugnare ultimamente: studiate, sbattetevi, migliorate, solo così è possibile creare un pubblico. La gente si affeziona se hai le palle e dai qualcosa, vede la band crescere e si riconosce nella strada fatta assieme! Questo non vuol dire che non bisogna promuoversi partecipando a grandi festival, ci mancherebbe, però lo zoccolo duro lo costruisci nei piccoli club e nei pub”.
In Italia la situazione è abbastanza chiara, ma all’estero? Come viene accolta una band come i Bad Bones fuori dall’Italia?
“(Steve) Suonare in posti nuovi è sempre una sfida, ti capita il locale vuoto la sera prima e la sera dopo sold-out, e bisogna sempre dare il massimo e rispettare il pubblico. Ogni Paese ha le sue caratteristiche, gli americani sono forti, ma a Hollywood se non ti conoscono o non sei della scena ti ignorano e per conquistarli devi fargli sanguinare le orecchie; hanno la cultura del volume laggiù! In Germania e Svizzera o nel nord Europa l’alcol aiuta molto e a livello di pubblico ci siamo sempre trovati bene!”
Concludete come meglio credete…
“(Steve) Volevamo ringraziare Metal Hammer che ha sempre seguito la band con grande attenzione fin dagli esordi, quando davvero nessuno ci conosceva. Ci avete dato la possibilità di farci conoscere attraverso le vostre pagine e avete sempre creduto in noi, seguendo le vicende della band davvero da vicino! Se peschiamo tra i numeri vecchi tutte le interviste e le recensioni avremmo praticamente una biografia della band già pronta!Siamo davvero orgogliosi di aver fatto questo pezzo di strada con voi e altri capitoli ci aspettano! Let the Hammer Strike on!”

Ed allora… “gotta take your chances to change your life, rock’n’roll music ain’t gonna die, take your dream, let it roll, on that endless road!” Buon viaggio ragazzi, con la certezza che questo è solo un entusiasmante nuovo inizio.

Foto ALICE FERRERO

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