The Dead Daisies – Rock And Roll Is Here!

Il 23/04/2018, di .

The Dead Daisies – Rock And Roll Is Here!

’Make Some Noise’ è stato un gran nel disco che ha ricevuto notevoli consensi da parte della critica e, soprattutto, dal pubblico, che ha tributato alla band ovunque abbia suonato lo scorso anno un livello di gradimento altissimo. Quando il predecessore riscuote così tanti apprezzamenti diventa difficile potersi ripetere sugli stessi livelli ma la band di Doug Aldrich &Co. è riuscita a bissare con ‘Burn It Down’, un disco ruvido e passionale. Abbiamo incontrato per voi John Corabi, sempre pronto a rispondere alle nostre domande con grande disponibilità e onestà intellettuale. Ma di questo non avevamo dubbi, a voi il resoconto della chiacchierata avvenuta alcune settimane prima dell’uscita del disco.

Ciao John, per me è un piacere enorme poter avere l’opportunità di farti delle domande in occasione della release di ‘Burn It Down’. Quando ci siamo visti a Milano lo scorso anno per ‘Live & Louder’ mi avevi accennato che entro la fine dell’anno sareste tornati in studio…e così è stato. Normalmente ogni musicista pensa che l’ultimo disco appena realizzato sia il meglio che si sia potuto realizzare, cosa pensi di ‘Burn It Down’? Sei pienamente soddisfatto?
“Ogni volta che ho inciso un disco ne sono sempre stato orgoglioso, è sempre stato un qualcosa di importante. Ogni singolo disco, credimi. Questa volta posso confermarti di essere estremamente soddisfatto perchè credo che sia la migliore fotografia di tutti noi cinque in questo momento della nostra carriera. Il disco uscirà tra un mesetto circa e stiamo facendo le interviste di rito, devo confessarti di essere rimasto sorpreso ed allo stesso tempo meravigliosamente contento di sapere che il materiale stia piacendo molto, sta entusiasmando la critica e non vedo l’ora di sentire cosa ne possano pensare i nostri fan. Lo adoro, penso che sia un grande passo in avanti per la band.”

Però quanto è difficile considerare un nuovo lavoro in maniera obiettiva e distaccata?
“Beh, sicuramente è un compito difficile, non vi è alcun dubbio. Noi come The Dead Daisies cerchiamo, ogni qual volta che ci apprestiamo ad entrare in studio, di non pianificare nulla, di non pensare a come il disco dovrebbe suonare ma lasciamo che sia il momento a guidarci in questa o quella direzione. Prediligiamo la spontaneità che fino ad oggi ci ha portato moltissime soddisfazioni, è inevitabile che non si riesca ad accontentare tutti nella stessa misura, troveremo sempre qualcuno contento o qualcuno scontento che ti dice candidamente che amava il tuo precedente disco. È qualcosa di inevitabile che non possiamo controllare, fortunatamente. Non ci resta quindi che suonare quello che ci viene naturale fare puntando a essere veri con noi stessi per poterci sedere e riascoltare quanto prodotto e dire, come ci è successo con ‘Burn It Down’….’caspita, abbiamo prodotto un album davvero fenomenale’. Lo adoriamo, sul serio, e non vediamo l’ora di proporlo live anche se a qualcuno non piacerà. Speriamo siano pochi!”

Personalmente credo che questo album sia un esempio lampante di cosa siano oggi i The Dead Daisies, a mio modesto parere è un disco dove l’anima più blues viene fuori prepotentemente pur essendoci brani grezzi, rock…a volte delicato, a volte passionale, a volte rude come il rock blues dovrebbe sempre essere….sei d’accordo?
“Io penso che sotto certi aspetti ‘Burn It Down’ sia il disco più heavy che abbiamo mai pubblicato nella nostra carriera, prendi ad esempio i riff di chitarra di ‘Resurrected’ o ‘What Goes Around’…in quest’ultimo caso mi sembra quasi di sentire l’influenza dei Black Sabbath. Stesso discorso per ‘Rise Up’…certo, ci sono parti dove la nostra anima blues viene fuori ma io mi sono sempre sentito molto a mio agio con quelle sonorità. Prendi anche ‘Set Me Free’, una ballad che a qualcuno forse farà storcere il naso oppure qualcun altro dirà che non abbiamo mai fatto cose simili in carriera…ma non è vero poiché se prendi il primo album ‘Revolucion’ trovi una canzone come ‘Something I Said’. In generale la sensazione che potrebbe esserci è che forse in ‘Make Some Noise’ non siamo stati in grado come oggi di avere brani così diversi, avevamo messo il jack nell’amplificatore e siamo partiti in quarta con brani diretti e senza fronzoli, oggi invece siamo stati capaci di avere canzoni con sfumature diverse come ‘Set Me Free’ o ‘Judgement Day’ con il suo inizio di chitarra acustica, ‘Burn It Down’ è heavy e bluesy nel ritornello. Quindi penso che ci sono più sfumature oggi ed in ‘Revolucion’ piuttosto che in ‘Make Some Noise’, probabilmente è questa la grande differenza che contraddistingue la nostra produzione.”

L’ultima volta che ci siamo visti mi avevi raccontato che ti eri stabilito a Nashville, non è che il background musicale di questa città ti e vi abbia in qualche modo ‘guidati’ nella stesura del disco?
“Assolutamente no, purtroppo attorno a Nashville ci sono un sacco di pregiudizi perché la maggior parte della gente pensa che sia un posto dove il country e il blues la facciano da padrone ma non è così, credimi. C’è molta attenzione verso il rock, da non crederci eh? (risate, ndr) A essere completamente onesto la title track non l’abbiamo scritta a Nashville, bensì a New York! E così è stato per il resto delle tracce, ci siamo trasferiti una settimana a New York con Marti Frederiksen, con il quale abbiamo scritto i brani, registrato le demo version e solo successivamente siamo volati a Nashville per poter incidere il lavoro fatto lontano da casa mia. La cosa curiosa, se vai a vedere, è che abbiamo scritto e registrato ‘Make Some Noise’ interamente a Nashville, come vedi non è stato importante il background o la città nella quale ci trovavamo quanto il nostro istinto, la nostra ispirazione del momento che è stato il leitmotiv che ci ha guidato tutte le volte che ci siamo messi al lavoro, ieri come oggi. Io, come gli altri ragazzi della band, siamo nati musicalmente con Humble Pie, Led Zeppelin, Aerosmith e tutte queste grandi Muse ispiratrici, non importa dove componi quanto il tuo background. Potremmo scrivere su una spiaggia alle Hawaii ma il nostro sound sarebbe sempre lo stesso.”

Per la prima volta avete lavorato con Deen Castronovo, un drummer che non ha bisogno di presentazioni ma con caratteristiche diverse rispetto a Brian Tichy, il suo drumming è potente e molto rock…come vi siete trovati a lavorare insieme?
“Puoi immaginare che non ci sono stati problemi di nessun genere con un musicista della sua caratura, penso che ogni bravo batterista o chitarrista o pianista se vuole essere considerato tale…suona quanto sia di più giusto per quel determinato brano cambiando il proprio stile adattandosi al mood del momento e non come un monolite suonando generi diversi alla stessa maniera. Questo accadeva con Brian ed è accaduto con Deen. Ti faccio un esempio: quando ci siamo messi al lavoro per il brano ‘Rise Up’, la nostra idea era quella di avere un mood quasi sabbathiano…si è seduto dietro la batteria ed ha acceso il motore capendo passo passo quello di cui il brano necessitava. Marti (Frederiksen) adora lavorare con Deen, con lui abbiamo anche condiviso una parte del songwriting ma fondamentalmente posso dirti che sapeva cosa cercavamo e sapeva esattamente come raggiungere gli obiettivi che ci eravamo prefissati.”

John, pensando alla carriera come The Dead Daisies mi piace fare questa similitudine: ‘Revolucion’ ha rappresentato i Daisies come fossero dei bimbi, ‘Make Some Noise’ invece come dei teenager mentre ‘Burn It Down’ ne è la versione adulta perchè il vostro sound è maturo come non mai. Sei d’accordo?
“Io penso che ogni disco che sia stato fatto abbia rappresentato un passo in avanti ed è l’auspicio che tutti noi nutriamo ogni qual volta ci si accinge a un nuovo disco. Mi auguro che la nostra creatività possa migliorare sempre, costantemente, in maniera quasi naturale. Sono d’accordo con te, mi piace l’analogia che hai rappresentato. Quando entrammo in studio per la realizzazione di ‘Revolucion’ ero nella band da un paio di settimane, avevo fatto solamente uno show a Cuba e via…a registrare! Ero ancora un po’ confuso, la situazione non era chiarissima anche perché stavo cercando di capire chi tra i miei compagni di avventura fosse colui che avesse per così dire ‘le redini del gioco’ ma partendo in tour e condividendo il tempo insieme abbiamo fatto maggiormente quadrato e tutto si è chiarito meglio. E si chiarisce sempre meglio, ognuno di noi ha il proprio ruolo e la confidenza tra di noi è diventata più intensa, ad esempio io sono colui che si deve occupare dei testi. Oggi siamo arrivati al terzo disco che io, Doug (Aldrich), Dave (Lowy) e Marco (Mendoza) facciamo insieme, ci stiamo affinando sempre di più e sappiamo quasi in anticipo cosa andrà a fare Doug o Marco e così via.”

Pensando proprio ai testi che hai citato poco fa, scorrendo i titoli dei brani troviamo ‘Rise Up’ e ‘Resurrected’, nella title track parli di dolore e di catene….dopo brani come ‘We All Fall Down’ in ‘Make Some Noise’, possiamo considerare ‘Burn It Down’ come un album che in qualche modo parli di riscatto, di rinascita?
“Onestamente non avevo pensato a tutto questo (con tono pensieroso, ndr). Se prendi ad esempio ‘Resurrected’, troverai uno sfondo molto autobiografico che riguarda il mio periodo nei Motley Crue. In quei momenti tutti mi regalavano tutto, dalla strumentazione alle scarpe passando per i vestiti, tutti facevano a gara ma appena tornò Vince Neil…in un batter d’occhio fui visto e trattato come un lebbroso. Non ero più parte dell’ingranaggio, ero quasi sbeffeggiato con discorsi del tipo ‘ha avuto la sua occasione ma non l’ha saputa sfruttare al meglio’ e cose di questo genere. Ma subito dopo quell’avventura la mia vita personale e artistica è andata avanti, ho suonato con gli Union, inciso due dischi da solista e suonato e scritto per moltissimi altri artisti. Sono andato alle stelle, mi hanno buttato bruscamente giù da quel treno in corsa ma sono ancora qui: questo è per me ‘Resurrected’. Il significato di successo è soggettivo, credimi. Io sono ancora qui a scrivere e a parlare di musica e ne sono tremendamente felice, questo è il mio successo. Qualcuno potrà dire che non avrò il conto in banca di uno Steven Tyler o di un Nikki Sixx ma a me non importa proprio per niente, sono felice di fare quello che faccio ed è lì che misuro il mio successo. Ho una stupenda famiglia che mi aspetta a casa, riesco a badare ad essa grazie al mio lavoro, a Nashville vivo benissimo….cos’altro devo desiderare? È una questione di prospettive, per me questo è il successo. Punto. Ogni giorno abbiamo la possibilità di voltar pagina, di scoprire cose nuove, ogni giorno è un nuovo giorno. Aggiungo solo che affrontare momenti di difficoltà è naturale, l’unica differenza la fanno le motivazioni che hai per passarci attraverso, trovami una persona che non abbia mai attraversato questi momenti. Non ci sono, credimi. O per lo meno il mondo te lo fa credere ma non è così, solo attraverso le difficoltà e mettendosi in gioco puoi pensare di crescere, di maturare. Lo dico spesso ai miei figli che se non fanno errori, se non sbattono per bene il naso…non impareranno mai e soprattutto non avranno la possibilità di crescere. Un uomo non lo misuri nei momenti felici ma in quelli difficili. Sono positivo, sono felice!”

Il tour ormai è alle porte, cosa possiamo aspettarci?
“Posso dirti che presto ci troveremo per la prima volta per provare la nuova scaletta che abbiamo scelto di portare in tour, abbiamo intenzione di proporre uno show energetico ed il più rumoroso possibile! Come mi hai detto te prima di registrare tutto, suoneremo in Italia l’ultima data del tour europeo e il solo fatto di suonare in un locale molto più grande rispetto a quello nel quale abbiamo suonato un anno fa mi fa pensare e sperare che le aspettative e l’attesa dei fans sia cresciuta enormemente, cosa che non può far altro che far piacere. E anche tanto. Cercheremo di ripagare tanta fiducia con uno spettacolo degno di tale nome, non ci risparmieremo sicuramente dando il massimo ogni singolo secondo. Dobbiamo ringraziare tutti i nostri fans nel mondo per il loro affetto e dedizione, per il loro duro lavoro nel provare a far ‘girare’ il nome dei The Dead Daisies…grazie infinite, non meritiamo tutto questo amore che cerchiamo di ricambiare in ogni momento, in ogni cosa che facciamo.”

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