Michael Schenker Fest – La ricerca di se stessi

Il 14/11/2019, di .

Michael Schenker Fest – La ricerca di se stessi

È sempre bello quando in un disco, nella sua musica, nelle sue liriche, nella sua copertina, è possibile trovare riassunti il pensiero e la vita dell’artista che lo ha composto… questo è proprio il caso del secondo disco dei Michael Schenker Fest, ‘Revelation’ un album che – a detta del biondo guitar god – è una vera parabola del suo viaggio di… “andata e ritorno” nel mondo del rock’n’roll. Questo è quanto ci ha raccontato un loquacissimo Michael ai microfoni di Dario Cattaneo…

Vorrei partire per una volta da una frase interessante che ho letto nelle note promozionali allegate al link di ascolto… c’era scritto che questo album avrebbe potuto intitolarsi in un altro modo: ‘Purity And Passion… Versus Greed And Corruption’…
“Esatto”.

Ci dici come mai questo era un working title, e se alla fine a livello di significato hai mantenuto un paralellismo con il ben più corto ma incisivo: ‘Revelation’?
“Già, è un titolo più corto, ma diciamo che hai ragione: l’origine è la stessa. C’è una catena, un flusso di pensieri che risale addirittura a qualche anno fa e che lega insieme il titolo attuale, quella frase sulla passione contrapposta all’avidità e la copertina del disco, su cui tanti mi hanno fatto domande. Il significato della frase comunque è chiaro anche senza stare a spiegarlo… si tratta di una contrapposizione, una lotta tra due modi di vivere la musica e la carriera. Quella frase voleva esplicitare appunto la contrapposizione tra il lottare per i soldi, per conquistare qualcosa di materiale e di esterno, e invece il lottare per conquistare se stessi. È a questo concetto che volevo arrivare con questa frase, e anche una parola come ‘Revelation’ può descrivere quel concetto. Il punto è che ho fatto un percorso, ed è stato un percorso lungo. Nel mio percorso ho trovato tanta gente pronta a darmi contro, a crocifiggermi.  Gente che non capiva. Io ho cominciato un percorso da molto giovane, con delle idee ma senza troppi obbiettivi, con un’approccio che era soprattutto esplorativo, possiamo dire. Poi mi sono ritrovato con gente che sosteneva che ero un grande. Che dovevo fare le cose in un altro modo, anzi che dovevo farle nello stesso modo, senza più cercare la mia auto-realizzazione, perché così andava fatto. Le pressioni arrivavano da ovunque, erano tutti arrabbiati con me. Erano arrabbiati gli Scorpions, era arrabbiato mio fratello, erano arrabbiati i manager… erano tutti contro. È solo negli ultimi anni che mi sono liberato del peso del passato, delle cicatrici che queste arrabbiature lasciavano su di me, e sono riuscito a staccarmi dalla croce su cui mi avevano messo. Certo, il parallelismo con Gesù come vedi è alla base del concetto dell’intero disco… e così copertina, concetto e titolo finale sono tutti collegati, come avevi pensato.”

Certo, dopo questa spiegazione il legame è chiaro… Però – sembra quasi un caso – ti sei ancora una volta “imbarcato” in un paralellismo religioso, anche dopo l’album scorso che tra l’altro si intitolava ‘Resurrection’.  Ma davvero i due titoli e i due artwork sono slegati tra loro? (la copertina dell’album precedente era sviluppata sulla falsariga de’ ‘L’Ultima Cena’ di Leonardo da Vinci, con ancora il chitarrista nel posto di Gesù…)
“L’altra copertina è nata più per caso… l’idea era di rappresentare una festa, un ritrovo di rocker così come era nata l’idea per questo progetto; e infatti c’era un tavolo imbandito, con un po’ di rockettari tutt’intorno a me, che sono al centro del festeggiamento… tutto molto rock’n’roll, ma non c’entrava con il tema religioso. Poi ci sembrava divertente e il tutto a preso quel connotato dell’Ultima Cena, ma diciamo che non c’era tutto il parallismo che invece ho cercato con ‘Revelation’. È stato proprio un caso.”

Il progetto (che adesso è una band) come hai detto tu è cominciato un po‘ come un gruppo di musicisti per una serie di concerti, un occasione per la quale ti potevi ritrovare con alcuni dei cantanti che ti accompagnarono in diverse fasi della carriera… ma come si è arrivati da questa idea ad avere ben due album marchiati Michael Schenker Fest in così breve tempo?
“Sugli album non so dirti, c’era l’ispirazione e ho scritto tante canzoni! Per quanto riguarda il ritrovarsi con vecchi compagni per dei concerti, questa cosa risale a qualche anno prima, ma è andata proprio così come me l’hai domandata tu. Forse gli anni precedenti, quelli che chiamo gli anni centrali della mia carriera, mi avevano preparato a questa immagine tridimensionale di me, a suonare questi concerti e a comporre questa musica. Nel 2008 semplicemente mi dissi: “Voglio tornare sul palco”, e seppi che era il tempo giusto. Gli anni che erano appena trascorsi mi avevano resto pronto a prendere quella decisione. Negli anni precedenti avevo rifiutato i lavori che mi erano stati offerti da Ozzy, da Ian Hunter, da Lemmy… li avevo rifiutati, ma per rimanere sulla mia visione, sulle cose che trovavo importanti per me. Ho seguito queste decisioni che sentivo mie, anche se molti non le comprendevano, e così sono andato avanti, raggiungendo l’immagine che sapevo di volere di me. E sai… è la stessa di quando iniziai. Sono ancora un rocker di quegli anni. E così, con vecchi amici, vecchi conoscenti e un nuovo me sono potuto risalire su un palco. Ed è stato grandioso. I dischi diciamo che hanno seguito…”.

In effetti la tua idea di processo creativo è nota agli addetti ai lavori, e anche a chi ti segue da un po’… l’hai definita come il bisogno di “auto-esprimerti”, “self-expression” in inglese. La tua musica viene da dentro, però come fai a produrre sempre risultati diversi se la provenienza diciamo è unica? Sei una persona diversa ad ogni album che incidi? Vedi bene un percorso di maturazione, quando guardi al tuo passato?
“Che cosa difficile… e dire che per come la vedo ora è tanto facile invece. Come dici tu, la musica è il mo modo di auto-esprimermi. L’ho sempre fatto. Lo facevo quando ho iniziato, ho sempre suonato per divertirmi, per avere una valvola da cui uscisse quello che ero io, senza filtri, senza maschere. Questo era per me. Non mi aspettavo niente, non volevo competere con nessuno, non cercavo riconoscimento o soldi, era solo suonare. Non avevo idea di ciò che avevo creato. Ma quando uscì ‘Strangers In The Night’, la gente mi diceva: ‘Schenker è un Dio’. E io: ‘Cosa?’. Mi chiavano dall’America e mi dicevano che tutti lì suonavano come me. E io: ‘Cosa?’. È andata così, mi dicevano questo, ma io volevo solo suonare la chitarra. Ecco perché chiusi tutti fuori in quella parte della mia vita. Ora senti questa musica nuova… te l’ho detto prima, è un po‘ come quella che suonavo agli esordi. Ecco! Sono questo io! Ho cercato quello che volevo invece di quello che volevano gli altri, e ho trovato me stesso giovane. Questo posso dirti sulla mia musica e sul mio modo di auto-realizzarmi.”

Il risultato è comunque sempre una grande importanza data alle chitarre… è chiaro che parti a comporre sempre da lì, no?
“Già, puoi dirlo. Ecco, questa è facile (ride, ndr.). Sì, vedila così: fai conto che io sia l’architetto, che da un impronta, un progetto a ogni canzone. Scrivo tutto sulla chitarra, le linee vocali addirittura prima di diventare tali sono come delle parti soliste, niente di più, niente di meno. Una volta che ho messo giù questo progetto, arricchisco il brano con una linea di basso e di batteria essenziale, giusto per dare l’idea di dove sta puntando la canzone, e poi lasico che il mio partner Michael Voss (produttore, ndr.) faccia si che tutto si metta al posto giusto! Anche con i quattro cantanti, chi canta cosa non è per niente parte della fase compositiva… una volta che erano pronti i pezzi, Doogie si è preso i primi due, Robin quello dopo, Graham un altro ancora, e così via. Poi ognuno di loro ha potuto metterci del proprio nei testi e nella realizzazione.”

Vorrei passare ancora un attimo sulla formazione che ha inciso sul disco ‘Revelation’… Tutti ex compagni, ma con Ronnie Romero però non ci avevi mai lavorato in passato… è stata una tua scelta precisa di avercelo su questo disco?
“Sia, secondo me i pezzi migliori sui due album di Michale Schenker Fest sono quelli con tutti e quattro i cantanti… avevo intenzione di avere quattro brani con tutti i cantanti per quest’album, ma ne abbiamo fatti così solo tre. Il quarto era un pezzo veloce, un po’ più rock, e non ci sembrava adatto ai quattro cantanti. Non sapendo scegliere quindi a chi farlo fare, ecco che Michael (Voss, ndr.) mi ha proposto Romero. Non lo conoscevo, ma mi ha detto che è stato o era cantante di Ritchie Blackmore, nei Rainbow… che devi dire davanti a ciò? Beh, è stato un grande comunque, quello che serviva per quella canzone così veloce!”.

Già che parliamo di line-up, dedichiamo un’ultima domanda alla memoria di Ted McKenna. La sua scomparsa era del tutto inaspettata… ci puoi dire se ha registrato qualcosa su questo disco o se non ha fatto a tempo?
“Quello che è stato davvero molto triste. Uno shock. Se ne è andato su un operazione semplice… dove qualcosa è andato storto, e si è dissanguato. Terribile. Ovviamente la sua dipartita, oltre all’impatto che ti puoi immaginare dal punto di vista emotivo, ha avuto un contraccolpo grosso anche sulla band e le sue schedule. All’improvviso ci serviva qualcuno per gli ultimi mesi del tour americano e per l’album nuovo. Simon Phillips non era disponibile per il tour e quindi si è occupato del lavoro in studio per dieci delle tredici canzoni finali, mentre Bodo Schoft ha registrato le altre tre e ha fatto il tour. Si sono dati entrambi molto da fare… devo tanto a loro, per aver portato avanti il lavoro di quel grande batterista che era Ted!”.

Visto il taglio molto personale che abbiamo dato all’intervista, vorrei chiudere con una nota che non c’entra con la musica… Hai due tatuaggi sulla schiena: ‘Born To Overcome’ e ‘Born To Be Free’. Tutto questo si lega con il tuo modo di comporre e vivere la musica?
“Cosa devo dirti… guarda quanto ci siamo detti fino ad adesso! Quelle due frasi mi descrivono alla perfezione. Libero di seguire la mia visione, pur andando contro a difficoltà. Questo sono io.”

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