Tygers Of Pan Tang – Il rituale della tigre

Il 10/04/2020, di .

Tygers Of Pan Tang – Il rituale della tigre

Forti del nuovo disco ‘Ritual’, i Tygers Of Pan Tang consacrano lo splendido stato di forma di una band in grado di unire la tradizione a rinnovate qualità compositive e freschezza di idee. Parte del merito va attribuito all’energia del vocalist Jacopo ‘Jack’ Meille, con cui abbiamo avuto modo scambiare quattro chiacchiere.

Ciao Jack, grazie per la disponibilità, è un vero piacere averti ospite in Metal Hammer Italia!
Sono ormai più di 10 anni che sei il vocalist dei Tygers, a cosa pensi se ti guardi indietro e sopratutto a cosa se guardi avanti? Hai mai pensato a un progetto solista?

Sono entrato nella band il 4 novembre del 2004, e mi sembra ieri! Con loro e grazie a loro sono riuscito a prendere coscienza di quello che volevo ottenere dalla mia voce. Il futuro non può che essere ricco di sorprese e soddisfazioni anche perché sono una persona che non riesce a stare senza cantare e comporre. A gennaio è uscito il nuovo disco dei General Stratocuster and The Marshals, che si intitola ‘Get A Lawyer’ in cui sfogo tutto il mio amore per il classic rock; ho appena finito di registrare il secondo disco dei Damn Freaks e sto approfittando di questo momento di “clausura civile” per registrare alcune canzoni in solitudine chitarra acustica e voce. Chissà che questa volta non mi venga voglia di registrare un disco solista!

Quando ci si riferisce ai Tygers of Pan Tang, in molti pensano ai primi album, ma la nuova energia e creatività della band oggi non fa rimpiangere nulla e per certi versi è anche migliore, quanto ti senti protagonista di questo?
Quello che l’attuale formazione dei Tygers è riuscita a creare è frutto di un duro lavoro di squadra. Sarà difficile superarsi. Molti, tra fan e giornalisti, pensano che sia merito mio… io li ringrazio e mi prendo questo complimento sapendo che sicuramente ho dato il massimo in questi ultimi anni. Ma una band, una band vera, è sempre il prodotto di più persone; o almeno è quello che ho sempre pensato da quando ho iniziato a cantare nel lontano 1984. Da allora sono sempre stato in una o più band, penso che sia ormai una necessità per la mia tranquillità.

È in corso una sorta di riscoperta delle sonorità ‘classiche’ che rimandano agli anni 80, come commenti questa ‘tendenza’?
Credo di averlo già detto in un’altra intervista: la NWOBHM è stato un fenomeno molto vario, con band ognuna diversa. Pensa a Saxon, Def Leppard e Angel Witch? Ognuno aveva la sua personalità, il suo sound, e si identificavano in un movimento musicale più per il tipo di pubblico e per l’abbigliamento che non la musica. Adesso io sento più un tentativo a volte goffo di ricreare suoni volutamente retro senza però l’ispirazione, senza l’anima. E aggiungo anche che se i Saxon avessero potuto registrare il loro debutto con la tecnologia di oggi, l’avrebbero sfruttata di sicuro!

L’ultimo album ‘Ritual’ è stato per alcuni una positiva sorpresa, ma per la stragrande maggioranza è stata la conferma dell’invidiabile stato di forma di tutta la band. Come è il processo creativo dei Tygers of Pan Tang? Segue una sorta di processo professionalmente ben pianificato o è più una questione istintiva e improvvisa? Ci racconti meglio la genesi di ‘Ritual’?
E’ stato un disco “difficile”, perché sentivamo la responsabilità di produrre un album all’altezza del suo predecessore. Abbiamo posticipato ben due volte le registrazioni creando non pochi problemi alla casa discografica. Ma non eravamo convinti al 100% dei brani da registrare. Abbiamo fatto bene, perché altrimenti canzoni come ‘Destiny’ o ‘Damn You!’ non sarebbero state incluse. Abbiamo lavorato duro: loro in sala prove a registrare le basi in Inghilterra, io a registrare le mie parti. La tecnologia è stata fondamentale per la condivisione delle idee.

Trovo che il nuovo album ‘Ritual’ richiami i primi lavori dei Tygers, ma che allo stesso tempo sappia proporre un’energia in grado di rendere il tutto molto attuale, pur rimanendo ben ancorato al genere di riferimento. Come siete riusciti a bilanciare così bene questi aspetti?
Volevamo un disco più ‘hard’ del precedente. Volevamo che i riff di Robb e l’incredibile talento di Micky si amalgamassero ancor di più. Ed è stato così. È stato Micky a scrivere il riff di ‘Raise Some Hell’, mentre ‘White Lines’ è partita da una demo di Robb su cui Craig, il batterista e coautore di molte delle melodie e dei testi del disco, ha lavorato ostinatamente, coinvolgendo anche Micky che ha elaborato il riff iniziale… come vedi è proprio un costante lavoro di squadra!

Parlaci un po’ anche della fase di registrazione. A mio parere, i suoni e i volumi nel loro complesso donano a questo disco un’ulteriore e positiva marcia in più. La tecnologia aiuta, se non snatura una band, ma sa valorizzarla. E’ forse questo un tipico caso?
Sia Fred Purser, ex Tygers del periodo ‘The Cage’ che Soren Anderson, che ha mixato il disco così come il precedente, sono stati insostituibili. Hanno sposato la nostra stessa visione, ossia di mantenere il legame con il passato senza aver paura di essere contemporanei e sopratutto, voler affermare che i Tygers of Pan Tang del 2020 non hanno niente da invidiare con quelli storici degli anni ’80. Registrazioni, mixaggio e masterizzazione (ad opera di Harry Hess, cantante degli Harem Scarem) sono tutti stati momenti ‘creativi’, volti alla creazione del sound che noi tutti avevamo in mente. Sapere poi che sia Jon Deverill e Rocky, che ci è venuto a vedere dal vivo a Londra qualche anno fa, ci hanno dato la loro benedizione, è davvero ripagante.

In ‘Ritual’ troviamo dei pezzi diretti e immediati tipo, ‘Raise Some Hell’ o ‘Damn you!, altri più riflessivi quali ‘Spoils of War’ o la ballad ‘World Cut Like Knives’. Ci racconti un po’ le sensazioni e il feeling che hai mentre interpreti questi brani cosi diversi?
Il bello è che io non sento tutta questa diversità… perché quando li riascolto riconosco la mia voce. Ma ti dirò questo: non avrei mai pensato di registrare a 50 anni compiuti un pezzo epico come ‘Sail On’! Per quella canzone sia Micky che il sottoscritto abbiamo dato il meglio di noi. All’inizio il resto della band non era così entusiasta della canzone, ma noi due avevamo avuto la stessa visione. Fin dalla prima volta che ho ascoltato il riff, ho pensato all’oceano, alla vita dei marinai in balia del vento e delle onde, al loro desiderio di tornare a casa per poi rimettersi in mare… Tutte le volte che la riascolto, continuo a provare la stessa emozione di quando ho iniziato a scriverla.

Inevitabile chiederti anche qualcosa sulle date live, tasto dolente visto il difficile periodo. Come vi state organizzando in proposito? C’è qualche previsione?
Purtroppo, subito dopo le date dei primo weekend di marzo – il 7 marzo a Dusseldorf abbiamo suonato con Saxon, Doro e Diamond Head – la situazione mondiale è precipitata. La salute e la sicurezza ovviamente vanno preservate, ma c’è il rammarico che questi mesi sarebbero stati tra i più intensi della carriera dei Tygers con date in Europa, Italia e persino Messico. Confidiamo di riuscire a recuperarne un po’ in autunno sempre che la situazione generale si stabilizzi. Al momento non ci resta che vivere giorno per giorno e… almeno nel mio caso, “catturare” e registrare quante più canzoni possibile!

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