Crimson Dawn – L’inverno del guerriero

Il 04/05/2020, di .

Crimson Dawn – L’inverno del guerriero

Abbiamo recentemente parlato di ‘Inverno’, il terzo capitolo dei Crimson Dawn, un bel disco pregno di passione e sentimento per un doom metal dalle venature epiche ed emozionali. Due dei protagonisti di questo risultato sono Dario (chitarra) e Luca (batteria) che ci raccontano meglio ulteriori aspetti del disco.

I Crimson Dawn nascono nel 2005 come uno “studio project” ma da tempo sono una vera e propria band a tutti gli effetti. Ci riassumi un po’ il vostro percorso in questi 15 anni? Se dovessi sintetizzare la musica e l’anima dei Crimson Dawn oggi in tre semplici parole, quali sarebbero?
Dario: Beh, finora è stato un viaggio stupendo. Quando creammo il nome e i primi brani con Emanuele dei Crown Of Autumn, fu soprattutto per il gusto di fare qualcosa insieme, dato che eravamo amici e apprezzavamo moltissimo la musica l’uno dell’altro. Il primo demo andò bene ma non ci procurò un contratto, e il progetto rimase per un po’ in naftalina. Alla fine, nel 2009, decisi di farlo rinascere come una vera band e dare una sterzata verso il doom, dato che inizialmente si trattava di un progetto legato all’heavy metal classico/epic. Anche se in questa seconda vita della band Emanuele non ha potuto partecipare come membro effettivo, ha di fatto contribuito a tutti e tre gli album, come coautore di alcuni brani nel primo, e come guest negli altri due. Nel frattempo, la line-up che mi ha affiancato nel costruire il nuovo corso, completatasi nel 2011 con l’arrivo di Marco alla seconda chitarra, non è mai cambiata, e questo ci ha permesso a mio parere di crescere in maniera esponenziale. Non è semplice condensare un intero mondo musicale in tre parole, ma se devo farlo, direi che le parole sono sicuramente: Amicizia, Melodia, Teatralità.

Il genere doom, in tutte le sue sfaccettature e declinazioni sonore, specialmente nella scena underground sta attraversando un periodo florido e sono numerose le nuove band che si cimentano con risultati più o meno interessanti, come valuti questo scenario?
Dario: Benissimo. Il doom, per sua stessa natura, non sarà mai un genere mainstream, secondo me, ma il fatto che si stia sempre di più ritagliando un suo spazio nel cuore degli appassionati lo ritengo molto positivo. Ho sempre trovato molto sciocco l’atteggiamento elitario di certi fan della musica underground. Per quanto mi riguarda, più fan ci sono, meglio è. Se facessi musica solo per me stesso, non mi prenderei la briga di pubblicarla e di portarla in giro sui palchi in Italia e in Europa. Tra l’altro, penso che questo proliferare di band dalle influenze più varie stia dando al genere una proposta varia e di qualità costante.

Un parere sulla scena italiana complessiva, spesso bistrattata a scapito, si dice, di una spiccata “esterofilia” da parte del pubblico. Interesse determinato dal fatto che mediamente la qualità compositiva, tecnica e la produzione, in rapporto al numero di band che si propongono, sia oggettivamente più alta rispetto che da noi. Quale è la tua opinione a riguardo? Cosa manca, se manca qualcosa, a colmare questo gap?
Luca: Il metallaro italiano è sempre stato esterofilo per quanto riguarda l’heavy metal. Da sempre. Questo ha penalizzato negli anni moltissime band e anche le produzioni non erano all’altezza della situazione. Ricordo degli album di fine anni ‘80 registrati quasi come fossero dei demotape. Poi, però, iniziarono ad arrivare band (Lacuna Coil e Labyrinth su tutte) capaci di trovare una formula che funziona all’estero, cambiando le cose. Ovviamente parlo di band che hanno avuto “successo” e non di band che nell’underground si erano già fatte conoscere in tutto il mondo (Paul Chain e Black Hole per esempio). Questo cambiamento che citavo sopra ha fatto sì che anche i metallari italiani vedessero le nostre band con un’ottica diversa. Ora, secondo me, non abbiamo nulla da invidiare a nessuna band al mondo, né musicalmente né tecnicamente, e i molti musicisti italiani impegnati in progetti importanti internazionali ne sono la dimostrazione. Noi di concerti all’estero ne abbiamo fatti, ti posso dire che il pubblico straniero ama le band italiane… ovviamente quelle che lavorano con certi criteri.

Dario: Personalmente, credo anche io che il gap di cui parli sia ormai quasi azzerato, dal momento che adesso anche in Italia abbiamo degli studi di registrazione con fonici/produttori di livello internazionale. Credo che basti citare Simone Mularoni e Alessandro Del Vecchio per dimostrare che anche in Italia c’è la possibilità di lavorare al massimo livello. Se manca ancora qualcosa, è solo il supporto di una parte del pubblico, che a volte ancora preferisce il nome straniero a quello italiano a parità di qualità, ma anche questa attitudine a mio modo di vedere sta scemando.

Parliamo del nuovo album uscito come il precedente tramite con Punishment 18 Records. Siete soddisfatti delle primissime reazioni di pubblico e di critica? Spesso il terzo disco rappresenta un passaggio fondamentale per una band. ‘Inverno’ mostra una “maturità compositiva” data sicuramente dall’esperienza ma forse anche da una maggior consapevolezza generale su cosa sono e a chi si rivolgono i Crimson Dawn, concordi?
Dario: Siamo molto soddisfatti, siamo finiti nei top album di diverse webzine e stiamo ottenendo un sacco di recensioni entusiastiche sia dall’estero che in Italia. Se devo essere sincero, non trovo che ci sia una differenza enorme a livello compositivo e di arrangiamenti tra questo disco e il precedente. L’aspetto in cui siamo migliorati di più penso sia la produzione, e di questo bisogna ringraziare soprattutto Mattia Stancioiu, il nostro sound engineer e producer di fiducia. Ci ha accompagnati in tutte le varie fasi della nostra storia, siamo cresciuti noi ma è cresciuto tanto anche lui, e secondo me qui abbiamo trovato veramente la quadra, insieme, per realizzare un album di livello internazionale anche dal punto di vista delle sonorità complessive.

Trovo ‘The House On The Lake’ la canzone più rappresentativo dell’album e in grado di sintetizzare in pieno l’anima dei Crimson Dawn. Ci racconti un po’ nel dettaglio come nasce e la scelta di inserirla come open track del disco, considerato anche il minutaggio di oltre dieci minuti una scelta insolita…
Dario: Ho sempre considerato la musica dei Crimson Dawn come una forma di storytelling: mi piace l’idea che i nostri brani raccontino delle storie, spesso epiche e macabre, trasportando chi ascolta in una dimensione differente. Questo aspetto è ulteriormente rafforzato dalla teatralità delle nostre esibizioni live, con costumi di scena e props atti a creare una certa atmosfera. Con ‘The House On The Lake’ abbiamo spinto questa cosa all’estremo, realizzando una specie di vero e proprio film musicale, che infatti si divide in tre “atti” come quasi tutte le storie. Riguardo alla scelta di porla in apertura, beh, come hai detto anche tu rappresenta a pieno la forza espressiva della band, e poi ha una sua intro che funziona perfettamente anche come intro dell’album. Sicuramente usare una suite come prima canzone non è molto comune, ma a mio parere, in questo caso, era l’unica scelta possibile.

La titletrack ‘Inverno’ è cantata in Italiano e rappresenta un altro dei passaggi più interessanti del nuovo album, piuttosto rischioso far coesistere la nostra lingua con il metal, a maggior ragione su sonorità doom…
Luca: Anni fa, parlando con il mio compaesano Enrico Nascimbeni (RIP), gli avevo proposto di mettere alcune sue poesie in musica. In pratica si trattava di farci dare alcuni testi da sviluppare in musica. Ne parlai con Dario e anche a lui la cosa non dispiaceva. Poi, Enrico si trasferì definitivamente a Milano e, complici alcune situazioni strane, alla fine non se ne fece più nulla. Quando abbiamo registrato ‘Chronicles Of An Undead Hunter’ c’era un inserto in ‘The Skeleton Key’ cantato in italiano, che i nostri fan, soprattutto stranieri, hanno accolto molto bene, a tal punto da richiederci di registrare un intero brano o più nella nostra lingua. Ed ecco Inverno. Un brano Crimson Dawn al 100%, perché all’interno ci siamo tutti noi e ci sono tutte le nostre emozioni.

Dario: Sicuramente scrivere il testo di ‘Inverno’ è stato una sfida per il sottoscritto. Inutile girarci intorno, l’italiano è una lingua molto più prolissa dell’inglese, e quindi molto più difficile da adattare alle sonorità di un brano heavy metal. Detto questo, se c’è un genere che si presta, secondo me è proprio il doom. I tempi dilatati e il cantato teatrale che lo caratterizzano mi hanno reso le cose un pochino più semplici. A livello contenutistico, né è venuto fuori un testo meno didascalico, più poetico, cosa che nella mia lingua madre sicuramente ha un altro sapore.

In ‘Condemned To Live’ invece trovano spazio anche delle parti growl. Dobbiamo considerare questo come un puro esperimento o c’è l’intenzione di rivolgervi in futuro anche a percorsi e soluzioni più estreme?
Dario: Lo avevamo già usato in un brano di ‘Chronicles…’. In quell’occasione, lo aveva eseguito Emanuele Rastelli (che qui invece ha partecipato con la sua voce pulita sulla titletrack). Qui, invece, il guest che se n’è occupato è Clode, frontman dei Tethra. Diciamo che si tratta di un elemento che non ci facciamo problemi a usare quando il brano lo richiede, ma sicuramente non diventerà una presenza costante nel nostro sound, che resta comunque basato su un cantato di scuola heavy metal tradizionale.

Chiudiamo con il tema live, tasto dolente visto la situazione generale. Ho avuto il piacere di assistere a un vostro concerto qualche mese fa a Milano nel minifestival che vedeva headliner i Candlemass. Avete altro in calendario di programmato o da riprogrammare?
Luca: L’attuale situazione non è che ci dia una gran mano. Sicuramente, appena si potrà, ci muoveremo, ma ora è troppo presto per dire come e in che modo. Confidiamo ed optiamo sempre per festival all’estero attinenti al nostro genere, ma siamo anche attenti ai nostri fan italiani che, fortunatamente, crescono di giorno in giorno. E proprio ai nostri supporter nazionali vanno i miei ringraziamenti, anche perché, con alcuni di loro, sono nate delle belle amicizie, valore che per me sta al primo posto di tutto.

Dario: Al momento risulta davvero difficile prevedere quando l’attività live potrà riprendere. Per noi è veramente una pugnalata al cuore, amiamo tantissimo suonare dal vivo e, come dicevo, è live che emerge del tutto la dimensione teatrale della nostra musica. Speriamo di poter tornare presto sul palco. Nel frattempo, probabilmente organizzeremo qualcosa sfruttando Patreon (www.patreon.com/darianmetal ), visto che abbiamo creato una pagina condivisa con la nostra band “gemella”, i Drakkar. Sicuramente cercheremo di fare qualcosa di speciale per gli abbonati che ci supportano mensilmente, nell’attesa di poter tornare on stage.

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