Edge Of Forever – Il grande spirito dei nativi

Il 28/05/2020, di .

Edge Of Forever – Il grande spirito dei nativi

Troppo tempo è passato dall’ultima uscita degli Edge Of Forever (dieci anni), con il CD ancora nel lettore, in occasione della pubblicazione di ‘Native Soul’, ci apprestiamo a fare due chiacchiere con il principale compositore Alessandro Del Vecchio.

Primissima domanda: ma come fai a far tutto? Produzioni, collaborazioni e ora il nuovo lavoro Edge Of Forever.
Ciao Andrea, guarda non posso dire neanche che mi impegno. In realtà, è proprio un bisogno quello di buttare fuori tutto quello che ho dentro. Impazzisco quando non posso creare e penso sempre che abbia poco tempo per rendere reali tutte le musiche che vivono in me. Ma Edge Of Forever è la mia creatura, la mia vera band. Ho la fortuna di condividere questo viaggio con tre grandissimi musicisti di cui sono estremamente fiero. Nik Mazzucconi, con me da più di dieci anni, Marco Di Salvia, già con Hardline, e il grande Aldo Lonobile che non penso abbia bisogno di presentazioni essendo un caposaldo della scena metal con i suoi Secret Sphere.

Siete tornati dopo anni di pausa, questa lunga assenza è dipesa dai tanti impegni?
Tanti impegni e una grande voglia di rendere il quarto album un gioiello compositivo e produttivo hanno creato un mix letale di ritardi. Di mezzo poi ci si son messe le separazione con parte della vecchia line-up, un passo necessario per poter far crescere la band e portarla al livello attuale.

Parliamo del cambio di line-up, i nuovi membri – Aldo Lonobile e Marco Di Salvia – perché hai scelto proprio loro?
Marco è mio amico da anni e ho potuto provare cosa significa averlo in una band o su un disco in altre occasioni. Partendo da Issa a Kee Of Hearts e il disco solista di Gioeli, son finito a coinvolgerlo prima in Hardline e poi qui con Edge Of Forever. Vince a mani basse musicalmente essendo un musicista mostruoso, ma l’entusiasmo e quella sincera voglia di suonare lo rendono un tassello importante degli Edge Of Forever di oggi. Sempre carico di idee e voglia di fare. Aldo invece, conoscendoci da 20 anni quasi, è sempre stato uno di quei musicisti per cui mi dicevo “eh, sarebbe proprio bello poterci suonare”, ma ce lo siam sempre detti e non si è mai verificato nulla. Quando le strade con Walter Caliaro si son divise in realtà non avevo altro chitarrista nella lista dei desiderata. Speravo in suo sì diretto in modo che mi si realizzasse quel sound che avevo in mente, roccioso, pesante ma estremamente melodico. Poi ho ascoltato cosa ha fatto con i Kings Of Brodway e ho capito quanto fosse “lui” davvero il chitarrista dal suono che cercavo. Non ha esitato a dire di sì e salire a bordo come un treno. Persona meravigliosa, da cui si può solo imparare, è un grandissimo professionista. Siam finiti poi a scrivere tanto assieme anche al di fuori degli Edge Of Forever, segno del fatto che avremmo dovuto farlo già da prima, ma mai come in questo caso, non è mai troppo tardi.

Come sono nate le canzoni? Sono tutte tue oppure sono il frutto della collaborazione con gli altri membri della band?
Questo disco è il mio piccolo specchio sul mondo. Ho scritto tutto, ogni parola e ogni nota. Ma ha preso vita, per come lo volevo, solo con l’entrata di Marco e Aldo. Onestamente prima i brani avevano perso vita, insinuando il dubbio se fossero davvero quelli giusti. Come si dice “misery loves company”. La negatività aveva travolto anche la musica e reso vano il mio sforzo creativo. Invece, alla prima nota di batteria mi son ricreduto e come Aldo ha iniziato a suonare sui brani ho capito che avevamo sotto mano qualcosa di davvero forte.

Conosciamo il tuo amore per gli indiani\nativi americani che si rispecchia anche in questo album: come è nata questa passione?
Da che ho ricordo, son sempre stato dalla parte degli indiani. L’iconografia, il loro modo di vivere connessi con la Natura, il modo semplice con cui affrontavano la vita e la spiritualità mi ha sempre connesso a loro. Avendo questa passione ho poi approfondito, letto, studiato e mi son avvicinato sempre di più a loro fino ad arrivare a seguirne tanti valori. Non sarò mai un purosangue mativo, ma il mio spirito è quello e il modo in cui vedo il mondo è filtrato da quello che ho appreso grazie a loro.

La copertina è uno dei tuoi tatuaggi, come mai hai scelto questo disegno? Cosa rappresenta?
Rappresenta due animali totemici nello iconografia Haida, una delle Nazioni del Nord Ovest. L’idea originale del tatuaggio era stata mia e poi realizzata dalla grandissima Sonia Polidori. Invece la copertina, partendo proprio da quel tatuaggio, è stata realizzata da Stan W. Decker.

Qual è il messaggio che vuoi lanciare con questo album?
Voglio dare un messaggio estremamente positivo. Voglio ispirare gli ascoltatori a non arrendersi e lottare per chi si è realmente. Viviamo in un mondo dove l’avere inizia a contare più dell’essere e questo uccide la spiritualità. Smettiamo di chiederci chi siamo e cosa possiamo fare. Ci chiediamo cosa abbiamo e lottiamo per avere. Ci si chiede quanto si ha e non se si sia felici. Io ho riportato tutto all’essenzialità di chi siamo. Conosciamoci e non arrendiamoci a quello che gli altri vogliano da noi, ma rimaniamo fedeli alla nostra vera anima. Può essere nativa, o di qualsiasi natura, ma l’identità, la forza d’animo, la lotta per i nostri ideali, sta sparendo e un mondo senza tutto questo è un mondo peggiore.

Ci sono già in programma date live degli Edge Of Forever quarantena permettendo?
Purtroppo la quarantena ha messo in stand by un grande anno per noi. Con un mini tour in Belgio e Olanda, Isola Rock e un tour di supporto agli Harem Scarem avremmo in pochi mesi fatto una dozzina di date, cosa non da poco per una band come noi. Ma è tutto solo spostato e una volta che capiremo come si normalizzerà il tutto, ci muoveremo anche nella programmazione delle date che stavamo programmando per l’inverno. Peccato, ma recupereremo tutto.

Visto che ci siamo dentro da oltre un mese, come vivete la quarantena?
Se non fosse che son saltati tutti i live, io sto vivendo la quarantena da produttore, quindi come sempre, in studio. Ho voluto vincere lo scoraggiamento con il fare. Mi son messo a scrivere e produrre ancora di più perché se mi fossi lasciato andare sarei annegato nella tristezza visto che tra Edge Of Forever, Hardline e Jorn ho perso una quarantina di date. Ma la perdita peggiore non è quella monetaria: è quella emozionale. Il palco penso stia mancando ad ogni musicista. Quello scambio unico e genuino di energie difficilmente è replicabile in altro modo. Mi auguro passi tutto in fretta e che si possa tornare a fare quello che amavamo.

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