Helloween – Where The Pumpkins Grow

Il 07/06/2021, di .

Helloween – Where The Pumpkins Grow

Il nuovo, omonimo, album degli Helloween è tra le uscite più attese dell’anno (per molti la più attesa), e noi di Metal Hammer Italia non siamo certo rimasti con le mani in mano, raggiungendo Kai Hansen, rientrato nel progetto ormai cinque anni fa, per farci raccontare com’è stato il recente passato della band che ha portato alla creazione di questo disco, oltre a qualche curiosità. In più, ci siamo spinti oltre le zucche di Amburgo, arrivando a parlare anche di Gamma Ray e… di ferie!

Ciao Kai e grazie infinite per la tua disponibilità, è un onore poter parlare con te…
Grazie molte, sembra proprio che apprezzi ciò che sto facendo, dato che indossi una t-shirt dei Gamma Ray (ride, ndr.). L’onore è mio, grazie.

Eccitato per l’uscita del nuovo album?
Yeah! Per cominciare devo dire che quando l’album fu terminato, non fui più in grado di giudicare niente: credevo facesse tutto schifo! (ride, ndr.) Penso sia un qualcosa che accade a molti artisti: quando si è coinvolti per molto tempo al punto da limare ogni dettaglio, poi non si riesce ad ascoltare niente senza analizzarlo. E questo è spesso un problema, perché alla lunga mi ha portato a pensare, ad esempio, che una volta che il mix fu terminato, questo suonasse da schifo. Ma dopo un po’ di tempo, mi sono approcciato nuovamente all’ascolto dell’album e ora devo dire di amarlo. Abbiamo fatto qualcosa di veramente figo, qualcosa che sicuramente rispecchia il nome Helloween e tutte le aspettative che ciò comporta.

Com’è stato lavorare a un nuovo album degli Helloween a più di trent’anni di distanza da quello precedente?
Dunque, sotto certi aspetti è stato “familiare”. C’è da dire che la line-up è nuova, e andare in tour o scrivere l’album ci ha aiutato ad avvicinarci, a conoscerci e comprenderci meglio. Ci vuole tempo per tutto questo, per arrivare ad avere un linguaggio comune, diciamo. Sotto questo punto di vista siamo ancora agli inizi, sebbene siamo riusciti a fare parecchie cose insieme, ma credo ci voglia ancora un po’ per raggiungere il livello successivo. E questo mi fa sentire davvero bene, perché le cose si fanno passo per passo.

A tal proposito, è stato importante lo scorso ‘Pumpkins United Tour’ per consolidare le vostre relazioni?
Sì, assolutamente, è stato molto importante per “aprire le porte” e rendere tutto questo possibile. Senza quel tour, sarebbe stato semplicemente un mettere sette persone insieme in una sala e dire loro: “ok, fate un album.” Penso che quest’ultimo tour ci ha resi molto entusiasti e positivi, estrapolando l’unione e la forza per quel che concerne la chimica di questa band.

È stato facile o difficile combinare tutte le idee, i suggerimenti, le proposte dei sette membri della band?
È stato decisamente difficile, non l’avrei mai pensato. Alle volte è stato semplice, perché se qualche suggerimento piaceva si procedeva spediti. Per il resto, ci è voluto molto tempo, scambi di e-mail, discussioni, continui avanti e indietro, oltre al fatto che ci vuole tempo per includere sette persone in un processo decisionale assieme a due presenze cruciali come il songwriter e il produttore i quali, una volta deciso il prosieguo di una canzone, ottenendo il silenzio di tutti capiscono che la scelta è stata accettata. Penso, e credo lo si noti, che in questa band ci siano molti musicisti con esperienza, qualsiasi cosa abbiano fatto nel tempo, e alla fine ognuno di loro ha una propria opinione. E le opinioni sono come gli s*****i: ognuno ne ha una! (ride, ndr.) Quindi sì, non è stato facile: devi fare un passo indietro, e farlo fare anche ai tuoi pensieri o ambizioni personali, e credo sia normale: nell’avere a che fare con altre persone bisogna confrontarsi, e uscirne con buone sensazioni. E secondo me, ci siamo riusciti molto bene.

Com’è stato lavorare a questo album nonostante il Coronavirus?
Quando abbiamo iniziato a lavorare il virus ancora non c’era, e quando abbiamo realizzato buona parte del processo produttivo, era ancora in una fase embrionale. Quindi sotto questo punto di vista non ci ha ostacolato più di tanto. Tuttavia, quando mi guardo indietro e analizzo, ad esempio, il testo di ‘Skyfall’, mi rendo conto che esso parla di un totale cambiamento di situazioni, qualcosa che induce le persone a ritrovarsi, o reinventarsi, in un nuovo ambiente, e di conseguenza a ripensare e adattarsi a nuove circostanze. Ed è quanto ci troviamo ad affrontare qui, oggi. All’epoca nessuno avrebbe mai pensato che si sarebbe arrivati a questo punto, ma in maniera, diciamo, ironica, sebbene il testo rappresenti una storia fantascientifica, lo si può trasformare nella vita reale, a quelle che sono diventate le nuove regole e circostanze alle quali ci siamo dovuti adattare, per trovare un modo per superarle.

A proposito di ‘Skyfall’: dopo ‘Halloween’, ‘Keeper Of The Seven Keys’ e ‘The King For A 1000 Years’, quanto sono importanti le tracce di lunga durata per la band?
Beh, hanno sempre fatto parte della band, ma non sono una necessità. Non c’è nessun obbligo o pressione per crearne, e lo stesso è valso per ‘Skyfall’: quando ho avuto l’idea di base per quel brano, non ho certo pensato che sarebbe poi diventato così lungo, ma mentre ci lavoravo mi sono reso conto delle potenzialità che aveva come brano di lunga durata, e da lì la storia presente nel testo si è formata nella mia mente. Dal momento che nella band c’è questa tradizione di avere brani lunghi, non ho certo pensato di crearne un altro così: si è semplicemente sviluppato in quel modo. E quando, nel suo sviluppo, hai la netta sensazione e consapevolezza di essere arrivato al punto finale, alla fine della storia, lo senti. Quindi per rispondere alla tua domanda, mi piacerebbe affermare che: possono arrivarne, non è obbligatorio crearne, ma è bello averne. Per gli Helloween questa è una tradizione che è bello avere, e naturalmente per ‘Skyfall’ ho cercato di mantenere una certa “Keeper tradition”: spero e credo che per vari motivi sia un brano in grado di offrire qualcosa di nuovo ai fan, pur richiamando al periodo dei due ‘Keeper’.

Secondo te, come hanno lavorato Andi e Michael sulle parti vocali? Come si sono interfacciati?
La chimica tra Andi e Michael è sorprendente! L’abbiamo notato nello scorso tour; voglio dire, dal momento in cui nella band si sono insediati due cantanti d’alta classe, tutti noi avevamo dei dubbi all’inizio, perché naturalmente si teme che si creino delle competizioni o che possa nascere la preoccupazione che uno occupi il posto dell’altro ecc… Ed invece è stato incredibile e rassicurante vedere queste due persone sin dalla prima volta che si sono incontrate, ovvero dal meeting avuto per decidere di intraprendere il ‘Pumpkins United Tour’, trovarsi bene. Andi e Michael sono stati parecchio tempo insieme durante il tour, anzi a dire il vero tutt’ora spendono molto tempo insieme, anche solo per andare al bar a bere un caffè e mangiare una fetta di torta, sai come quelle vecchie coppie sposate… (questa volta a ridere sono io, ndr.) Ognuno di noi era davvero felice nel vedere questo, al punto che abbiamo persino pensato di scherzarci su questa cosa. Tuttavia questa loro chimica è stata uno dei fattori chiave per l’intera band, in quanto al contrario ci sarebbero potuti essere degli scontri. Invece non vi è alcun tipo di competizione: sul palco si sono divisi le parti, “ospitandosi” a vicenda, in una sorta di ping pong, e questo è stato incredibile ed ha ulteriormente aperto le porte per la realizzazione di questo disco. Questi due ragazzi sono cantanti eccellenti, nessun dubbio a riguardo: Michael è semplicemente Michael, tutti noi sappiamo cosa può fare con la sua voce. Andi, sotto certi aspetti, è più controverso in quanto lo è la sua voce, un po’ come la mia: ti può piacere o no. Questo con Kiske non accade: tutti amano Kiske (ride, ndr.), mentre per Andi, a essere onesto, io stesso avevo qualche dubbio a riguardo perché non sempre mi è piaciuto quello che ha cantato. Ma su questo album, quello che ha fatto è semplicemente straordinario: lui è fottutamente talentuoso, e riesce ad adattarsi a talmente tante varietà vocali riuscendo, al tempo stesso, ad emozionare. Quindi sono rimasto estremamente stupefatto nel constatare quanto è riuscito a fare, perché se già lo conoscevo, vedere fin dove può spingersi mi ha letteralmente stupito. All’epoca, quando Kiske entrò negli Helloween avevo i miei dubbi: non sapevo se il suo urlare e raggiungere vette altissime potesse andar bene, ma dopo poco tempo mi sono adattato e ricreduto; lo stesso è successo con Andi. È veramente bello vedere quanto vanno d’accordo loro due, e io li adoro.

…e riguardo la connessione tra te, Michael e Sascha alle chitarre?
Abbiamo semplicemente fatto la nostra parte. Con Michael ho una specie di “comprensione a lungo termine”, siamo come una vecchia coppia di innamorati: ci conosciamo, conosciamo il nostro modo di suonare, il nostro stile. Certo, alle volte ci sono state delle incomprensioni, delle dispute, ma non hanno mai riguardato il nostro stile: abbiamo sempre saputo (e su ciò siamo sempre stati d’accordo), che se avessimo unito le forze, si sarebbe formata una chimica davvero magica. Tutto il resto non ha mai riguardato le chitarre. Con Sascha, chiaramente, a differenza di Michael che lo conosce e ci lavora già da parecchio tempo, mi sono dovuto “trovare”, cercando di conoscerlo, di capire il modo in cui lavora, e lo stesso è stato per lui. Ora ci conosciamo meglio, e tra noi vi è l’assoluta volontà di lavorare insieme come team: conosciamo i benefici di ognuno, e quanto di buono ciascuno porta nel sound della band: siamo una straordinaria tripletta.

Data la bellissima copertina creata da Eliran Kantor, possiamo considerare ‘Helloween’ il quarto ‘Keeper Of The Seven Keys’?
Sto sempre molto attento su questa tematica, perché ciò significherebbe che gli Helloween debbano sempre essere relazionati soprattutto ai due ‘Keepers’. Al momento posso solo immaginare che ‘Helloween’ abbia le potenzialità per essere un album cult in dieci anni, più o meno. Non saprei a quale disco relazionarlo: sicuramente i due ‘Keepers’ hanno avuto un’influenza notevole sulla scena Metal, ma naturalmente la speranza è che quanto prodotto ora non venga misurato da chi si aspetta un altro album come quelli passati.

Guardando nuovamente al lavoro di Kantor, c’è qualcosa che i fan devono scoprire, un po’ come gli Iron Maiden fecero per la copertina di ‘Somewhere In Time’?
Naturalmente abbiamo pensato a una cover art: dato che inizialmente il titolo dell’album sarebbe dovuto essere ‘Skyfall’, abbiamo avuto delle idee. Quindi ci siamo mossi dando a vari artisti il testo, degli elementi, delle idee che ci sarebbero piaciute vedere sulla copertina dell’album. Molti di loro ci hanno consegnato delle illustrazioni che richiamavano molto ad uno stile operistico anni Ottanta, un qualcosa sicuramente di molto carino, ma che è caduto non appena abbiamo visto l’approccio differente di Eliran, perché la sua opera “grandeur”, come quelle che vedi in chiesa o nel tuo tempio personale (ride, ndr.), normalmente create a olio su tela, conteneva tutti gli elementi richiesti in uno stile futuristico, con richiami ad esempio alle navicelle spaziali e altro. Ci ha impressionati tutti. Da lì in avanti ci siamo sentiti, abbiamo scambiato idee e opinioni, che lui ha poi trasferito nell’opera in copertina. Voglio dire: questa è una nuova era per gli Helloween, quindi non volevamo certo creare un qualcosa che assomigliasse ai vecchi ‘Keepers’, o alla copertina di un album di una band tributo agli Helloween.

Ora eccoci a una domanda davvero interessante, secondo me: quale album che gli Helloween hanno pubblicato senza di te, è il tuo preferito? Il mio, ad esempio, è ‘The Dark Ride’.
Quello è un bell’album. Piace anche a me, sebbene sia un po’ controverso, e lo dimostrano le reazioni dei fan: c’è chi lo ama, c’è chi lo odia. Vorrei essere d’accordo con la tua scelta, ma il mio preferito da sempre è ‘Master Of The Rings’, soprattutto per la canzone ‘Where The Rain Grows’, davvero molto, molto bella. Ho sempre ascoltato quello che la band ha fatto senza di me, ed ovviamente ho trovato prodotti eccellenti ed altri meno (ride, ndr.). Ho trovato del materiale davvero interessante su ‘Pink Bubbles Go Ape’ come su ‘Chameleon’, un altro album davvero molto controverso; quando uscì pensai: “oh mio Dio, certo è ben fatto, c’è dell’ottima musica al suo interno, ma non è quello che avrei pensato per una band come gli Helloween.” Ma alla fine mi rendo conto che se a freddo, o per molti anni, ragioniamo con i paraocchi, non appena riusciamo ad aprirci mentalmente scopriamo cose che prima non avremmo affrontato, perchè sicuri che non ci sarebbero mai piaciute. Penso ad esempio alle critiche giunte a Rob Halford quando collaborò con Trent Reznor (il side project si chiamò 2wo, ndr.): io stesso ho ascoltato l’album e, pur ammettendo che non è il mio genere, devo constatare che contiene tre canzoni che mi fanno impazzire. Credo che sviluppando una mente sempre più aperta nel tempo ci faccia comprendere perchè un artista debba, ad un certo punto, rompere la sua routine, per reinventarsi rispetto a quanto ha prodotto precedentemente. Lo stesso ho fatto io con i Gamma Ray, se penso ad ‘Insanity And Genius’ o a ‘Sign No More’, gli Helloween, i Maiden, Bruce Dickinson, quasi tutti lo hanno fatto: siamo artisti, e ogni tanto dobbiamo uscire da questa specie di gabbia in cui qualcuno ci rinchiude perché non riesce a vederci in altri modi, ed esplorare nuovi orizzonti. E se non riusciamo ad esprimerci abbastanza bene, possiamo sempre tornare a fare ciò che ci riesce meglio (ride, ndr.).

Mi hai tolto le parole di bocca, in quanto stavo appunto per citare ‘Sign No More’ dei Gamma Ray, un album controverso ma, forse, giusto per quel periodo…
Quelli erano i tempi in cui Kurt Cobain con i suoi Nirvana spazzò via l’intera scena del Metal classico, al punto che ognuno decise che sarebbe stato opportuno salire su quel treno, in una felicità comune nel trovare l’alternativa all’alternativa, mentre nel frattempo il Metal, sia esso classico o Power o come lo si vuol chiamare, veniva semplicemente ritenuto sfigato. Naturalmente non si poteva evitare di rimanere influenzati dal Grunge, sebbene non avremmo mai voluto comporre quel genere di musica. Cioè, ho fatto quello che ho fatto con gli Helloween, dopodichè ho pubblicato ‘Heading For Tomorrow’, mentre per ‘Sign No More’ ho pensato: “ok, adesso facciamo qualcosa che vada oltre, oltre a quello che le persone si aspettano da me come ex componente degli Helloween, perché questi sono i Gamma Ray”, ed abbiamo unito le nostre forze. È sempre dura per un artista soddisfare le proprie esigenze ed al tempo stesso accontentare i fan. Finora, qualsiasi cosa sia accaduta, sono sopravvissuto (ride, ndr.), e ora con gli Helloween sono certo che abbiamo prodotto dell’ottimo materiale.

Al termine di ‘Skyfall’ possiamo sentirti cantare due volte “somewhere out in space”, credo in tributo ai Gamma Ray, ma forse mi sbaglio…
Oh, sì, assolutamente! Durante la lavorazione del demo stavo improvvisando vocalmente e, verso la fine, ho semplicemente tirato fuori quel “somewhere out in space” (lo pronuncia cantandolo, ndr.), decidendo poi di tenerlo semplicemente come piccolo tributo per tutto quello che ho fatto precedentemente con i Gamma Ray.

…Quindi hai notizie riguardanti questa band?
Di recente, come saprai, abbiamo tenuto uno spettacolo in streaming: è stato registrato e, al momento, è stato mixato, quindi uscirà in CD e DVD. Sarà una celebrazione per i trent’anni della band e, sebbene non si abbia avuto una vera e propria audience, abbiamo constatato le reazioni ed il casino che il pubblico ha fatto da casa, motivo per il quale credo che il prodotto che uscirà sia comunque interessante. Per il resto, nonostante io odi questa situazione causata dal COVID, devo dire che mi ha dato la possibilità per tenermi impegnato e, quindi, di comporre materiale per un album dei Gamma Ray. E dato che sino al prossimo anno non ci sarà alcuna attività dal vivo con gli Helloween, come tutti i membri dei Gamma Ray sono libero di lavorare a un nuovo album della band, cosa che stiamo facendo.

Hai collaborato e sei andato in tour con molti artisti e band: c’è ancora qualcuno, o una qualche band, con cui ti piacerebbe collaborare?
O mio Dio. Sicuramente qualcuno c’è. Includendo i miei eroi, dai Sex Pistols agli Sweet, Judas Priest, Iron Maiden, Ramones, Dio mio, ce ne sono davvero tanti, ed io sono aperto a tutto, ma al momento non sono interessato a collaborare, soprattutto con una nuova band che sia desiderosa di esporsi, di uscire dal guscio diciamo. Ho molte richieste, e non posso certo accontentare tutti. Ovviamente ciò che conta per me è se quella band o proposta in particolare mi piace: da lì sono pronto a collaborare, indipendentemente dal fatto che si tratti di un nome grosso o di qualcosa di underground. La gente continua a mandarmi del materiale, e quando troverò qualcosa che, per me, va oltre l’ordinario, se troverò il tempo mi metterò a disposizione. Ripeto: se troverò il tempo, perché come tutti pure il mio è limitato. Tuttavia generalmente adoro collaborare, perché aggiungere parti vocali o assoli su canzoni altrui è più semplice: hai già a disposizione lo scheletro dei brani e non sei molto coinvolto nel processo di fusione. Aggiungi solo la tua parte in base al feeling che ti arriva, e se a me arriva la giusta sensazione automaticamente mi arriva pure la giusta ispirazione. Ed è veramente un processo semplice da portare a termine.

Bene Kai, l’intervista è terminata: se vuoi aggiungere qualcosa ai lettori di Metal Hammer Italia, questo spazio è tutto tuo!
Grazie! Spero di vedere te e tutti quanti presto in Italia: arriverò appena possibile. L’ Italia è sempre stata un paese speciale per me, per due motivi: il primo sono ovviamente i concerti tenuti finora, durante i quali i fan si sono sempre dimostrati pazzi, selvaggi e calorosi. Il secondo è che il mio è un rapporto molto lungo con il tuo paese, dato che da quando ho compiuto un anno, con cadenza annuale, sono andato in vacanza con i miei genitori in Italia. Ho proseguito questa tradizione anche dopo, con i miei figli, e tutt’ora ho amici precisamente a Torre Pedrera, vicino Rimini, per cui adoro tornare spesso lì a godermi il Mare Adriatico e la dolce vita (ride, ndr.).

Beh, a proposito di vacanze, se vorrai venirmi a trovare, io lavoro nei pressi del Lago Di Garda.
Ah, Lago Di Garda (lo pronuncia in Italiano, ndr.)! Sono stato lì una volta in vacanza, facendo una sosta prima di ripartire verso Rimini, e devo ammettere che è veramente un bel posto, mi è piaciuto molto. Bellissimo.

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