Overkill – 40 anni di cammino

Il 27/04/2023, di .

Overkill – 40 anni di cammino

Esplosivo… il nuovo ‘Scorched’? No, Bobby Blitz. E’ la prima cosa che ti viene in mente sentendo la sua risata, ascoltando le sue frasi, parlando con lui. A quarant’anni dall’inizio della sua carriera ci troviamo davanti a un caso incredibile di persona che è cambiata incamerando tutti i colpi che la vita gli ha tirato nel corso degli anni, pur rimanendo in fondo in fondo sempre la stessa. Grazie alle imbeccate di Dario Cattaneo, ripercorriamo 40 anni di vita metallica partendo dal nuovo album per arrivare agli inizi di carriera degli Overkil…
Beh, Bobby… che dire, di solito inizio con altre domande, ma in questo caso partire dalla carriera è d’obbligo. Venti album! Ci sono band che hanno carriere anche più lunga della vostra, ma non vantano così tanti lavori in studio quanto voi. Qual è la molla che scatena una creatività così sconfinata?
“Direi che è una sorta di routine ormai, o quanto meno lo era fino a qualche anno fa… abbiamo cominciato a pubblicare album ogni due anni fin dal debutto ‘Feel The Fire’ e questa cosa ha sempre funzionato. Da giovani era necessità, ci buttavamo anima e corpo in questo, e mantenere la scansione ‘album-tour-promozione’ ci riusciva; dopo un po’ è diventata parte della vita in questa band e le cose sono andate avanti sempre seguendo questa scansione temporale. Non c’è segreto o premeditazione, man, è solo che è il modo in cui lavoriamo meglio! E’ sempre stato così.”
Però hai detto ‘quantomeno lo era fino a qualche anno fa…’, infatti ‘Scorched’ segue di quattro anni l’ultimo ‘Wings Of War’.
“Ecco, infatti. La pandemia, neh? Si ritorna sempre a quello con tanti altri gruppi immagino. Sui tempi di lavorazione di ‘Scorched’ certo ha influito. Abbiamo sempre lavorato trovandoci per qualche mese tutti assieme nella stessa stanza, a incidere… stavolta si è fatto nei modi che la situazione mondiale ci ha imposto. Purtroppo è così.”
Avete cambiato il modo di lavorare quindi?
“Come si poteva non farlo? Le restrizioni valevano per tutti. Però per noi è stato strano, come ti dicevo il fatto di pubblicare ogni due anni era diventato una routine, e la routine è anche il modo in cui lavori. Se qualcosa te lo cambia qualche impatto c’è… non dico che è stato impossibile, il disco nuovo ce l’hai e la tecnologia di adesso ha reso possibile qualcosa cui non avevamo mai pensato, ma il lavorare in remoto e con i files invece che confrontandoci di persona ha comportato un diverso modo di usare il tempo. E due anni sono diventati quattro.”

Eccome se ce l’ho il disco! E, visto che siamo qui per parlare principalmente proprio di ‘Scorched’ ti dico che l’ho trovato un album old school negli intenti ma moderno nel risultato. Tu che ne pensi?
“Penso che sia strettamente Overkill ma contenga alcune dinamiche diverse. O meglio, oltre a tutte le dinamiche che caratterizzano un nostro album, c’è qualcosa in più. C’è spazio un po’ per tutto, è un album ampio. E’ thrash metal ovviamente, ma ci sono molti input di metal classico, che è da dove provengo io. E’ c’è una sorta di vibe hard rock molto diretto che penso sia chiaramente udibile in diversi passaggi. C’è anche qualche novità tangibile… c’è anche un violoncello in giro, cosa atipica, no? Non dico che abbiamo sperimentato, non sarebbe vero, però abbiamo provato cose e visto che stavano bene. Questo è ‘Scorched’ secondo me.”
Mi piacerebbe fermarmi un attimo sulle liriche. Abbiamo parlato dell’evento Pandemia, e guardando a mondo attuale, vediamo in generale una situazione sempre più… pazza, se mi passi il termine. Non voglio essere pessimista e dire che tutto va a rotoli, ma certo il mondo è diverso da come era negli Anni ’80 o ’90 e non per forza in meglio. Pensi che questi input dall’esterno modifichino il tuo approccio ai testi?
“Beh si, certo. E’ tutto collegato. Rimaniamo sulla pandemia? E’ scoppiata nel 2020, quando eravamo in tour. Ho dovuto mollare tutto e andare… da qualche parte. Questa cosa non può non influenzare una persona o un artista. Ma anche sul dove andare… la casa, il posto dove sarei andato dopo il tour non andava bene, dovevo allontanarmi per trovare un posto dove sentirmi normale, perché niente più era normale. Ho scritto i testi in posti diversi, con stati d’animo diversi. Mi sentivo incazzato per il tempo perso, pieno di energia per non poterla spendere, depresso per non poter fare niente… e tutto lo trovi li, nel disco. Per questo ti dico che è vario.”
Mi piacerebbe rimanere un po’ sul discorso carriera, un aspetto decisamente importante per una band pioneristica come la vostra. Ecco, partiamo proprio da questo termine… vi sentite ‘pionieri’ per qualche verso? Vi sentite di aver creato un’identità non solo per voi ma per la scena musicale, a partire da ‘Feel The Fire’ in avanti?
“Boh, così dicono. Di sicuro abbiamo creato qualcosa. Siamo partiti da quello che andava in quel momento, nel 1981 quando ci siamo formati, e quindi siamo partiti da Judas Priest, AC/DC… ma non abbiamo fatto quello, no? Abbiamo tenuto l’energia, l’immediatezza che ci hanno sempre contraddistinto, ma abbiamo tentato di essere da subito più heavy, più veloci. Poi nel 1983 è arrivato ‘KIll ‘E All’. Ecco quello ha cambiato il volto della nostra scena musicale. Ha mostrato un ingresso che abbiamo varcato e che ci ha permesso di svilupparci appieno in una dimensione che era ancora libera, ai tempi poco battuta. Con ‘Feel The Fire’, nel 1985, abbiamo detto la nostra, in una scena che si stava ancora formando. E quindi si, abbiamo contribuito a formarla. Siamo arrivato quando era materia morbida e abbiamo lasciato un impronte.”

Abbiamo citato un po’ di volte ‘Feel the Fire’… lo trovi un album importante o diverso nella vostra discografia?
“Cazzo se è importante! E pure ‘Taking Over’. Quello che li differenza da tutti gli altri ma soprattutto da quelli del 2000 in poi è l’esperienza. E’ quello che prima non avevamo, ma che sopperivamo con la fame, l’energia, la voglia di spaccare tutto. Poi queste cose si trasformano, la scena si trasforma, ma l’esperienza ci permette di fare un album interessante, e di dare ai fan quello che vogliono senza essere artefatti, senza idee o scopiazzandoci. E quindi sono album fondamentali! Io ora ascolto ‘Scorched’ e ti dico che è un album migliore. Più completo. Ha pezzi dove scatenarsi, ci sono elementi interessanti, i testi sono meno banali e l’energia secondo me è la stessa, perché sappiamo come liberarla anche dopo quarant’anni. Ma quelli ci hanno permesso di dire quello che volevamo quando serviva dirlo, e quindi sono importantissimi. Hanno la magia. Quattro ragazzi che non si sapeva dove sarebbero andati… e che hanno fatto quello che hanno fatto. Ora la nostra storia la sappiamo, facciamo il meglio possibile, ma ai tempi… la magia era andare avanti e non sapere dove si sarebbe arrivati. Cazzo che cosa incredibile che è stata.”
Questa chiacchierata è fortissima, quindi vado avanti. Ci spostiamo di dieci anni. Sono i ’90, e c’è il grunge. Il thrash ha preso un brutto colpo, ma voi avete fatto ‘Horrorscope’, mica un album qualsiasi, un buon successo trai fan. Come avete vissuto le contraddizioni di quegli anni?
“Hey, la musica deve cambiare, no? Se no staremmo ascoltando ancora tutti la musica degli Anni ’50 o quella prima ancora! Voglio dire, i cambiamenti sono necessari alla musica. Però i cambiamenti servono anche per mantenere viva la parte di musica che non cambia, per mantenere alta la proposta. Il cambiamento degli Anni ’90 l’abbiamo sentito arrivare… e per noi puzzava di merda. Per noi intendo, a livello generale era giusto che succedesse, ma questo doveva far porre delle domande agli Overkill. Dove andiamo? Continuiamo con la nostra strada? Si va avanti? Ci sono state pressioni su questo, ai tempi avevamo la SPV/Steamhammer mi ricordo che ci sono state discussioni. Ma per fortuna, tutta sta bagarre non ci ha evitato di essere noi stessi. Anzi, ci ha fatto bene, ci ha fatto chiedere come potevamo essere noi stessi in una scena che stava cambiando. E così immagino che siano venuti fuori buoni dischi e che i fan ci abbiano continuato a seguire. E’ stato un periodo duro perché ci ha fatto interrogare, ma ne siamo venuti fuori con le risposte giuste.”
E ora? Come vanno le cose ora? Questa crisi musicale di cui parlano tutti?
“Ok, la crisi c’è, ma anche qui penso che abbiamo trovato la giusta risposta. Almeno, quella che va bene per noi. Le vendite sono calate e questo da fastidio, ma noi abbiamo deciso di continuare investendo su noi stessi. Cercando di ribattere a questo cercando di fare la miglior musica possibile per noi, e vedere se questo basta. Abbiamo ancora i nostri fans, quindi questo funziona. Forse meno soldi, ma non mi sembra che artisticamente o dal punto di vista della popolarità abbiamo perso qualcosa. E ti dico che… ora è più facile. Sappiamo cosa fare, che è appunto concentrarci sul fare buona musica, e gli impatti esterni ci colpiscono di meno. Di sicuro non ci influenzano, ecco, e questo ci dà tranquillità. L’ultimo periodo è forse quello più tranquillo! Ecco, forse adesso c’è più da occuparsi di packaging, immagine, presentazione… rendere il prodotto più appetibile ora passa da questo in maniera più decisa.”

Abbiamo percorso quarant’anni di carriera musicale in quattro domande! Parlando personalmente, quanto ti vedi cambiato in tutto questo tempo?
“Eh, sono cambiate tante cose… ma andando più indietro ancora, io mi rivedo ancora quando ero bambino, e mi raffronto con adesso. Sono la stessa persona. Sai, ho sempre voluto fare il musicista. Mia madre cantava, e io mi ricordo di lei quasi più quando cantava che quando parlava. Ma vale per tutta la famiglia! Siamo tantissimi in famiglia, e le mie sorelle… cazzo, cantano tutte! Per cui diciamo sono sempre stato supportato in questo cammino. Certo io non canto Johnny Cash, faccio rock’n’roll, ero forse l’unico che ascoltava il primo dei Sabbath in casa, ma nessuno mi ha mai detto niente, mi hanno lasciato fare il mio cammino. Quindi sono cambiato, gli eventi di una vita cambiano sempre le persone, ma in generale direi che nell’intimo sono sempre lo stesso. Ho sempre voluto fare quello che faccio.”
Gli eventi di una vita… e tu ne sai. Un infarto sul palco, un cancro al naso… sei sopravvissuto a tutto questo. Ti senti l’uomo più forte della terra o queste esperienze ti hanno fatto prendere cura di te nel corso degli anni?
“La vita è sempre imprevedibile, e non è che superare le difficoltà ti rende per forza più forte. O meno pauroso. Ti dirò… quando è arrivata la pandemia e la gente moriva, non è che ho pensato: ‘sono sopravvissuto al cancro e a un infarto, che sarà mai.’ Era più una roba del tipo: ‘please, don’t kill me!’ . Ahahah (risata colossale, ndR). Scherzi a parte, non mi penso come indistruttibile. Sono fortunato ad essere sopravvissuto, ma soprattutto lo sono stato ad avere avuto una nuova possibilità. Perché con quello che hai imparato dalla vecchia, puoi fare ancora meglio. Io di possibilità ne ho avute tante, e quindi penso di avere imparato molto pensando alla mia vita tutte le volte. E’ questa la fortuna. Avere la possibilità non di sopravvivere, ma di trarne una lezione.”
Ho un’ultima domanda. Abbiamo parlato di cambiamenti, e io la musica l’ho vista cambiare, come te. Da spettatore. E un tempo, quando ero giovane anche io, era più selvaggia. Si spaccavano televisioni, hotel, strumenti, la gente andava sul palco a malapena tenendosi in piedi, e tutto questo devo ammettere che mi ha avvicinato al metal, mi ha fatto avere i capelli lunghi, e alle volte dire vaffanculo alle cose che mi facevano arrivare. Ora la scena è meno selvaggia, e mi chiedo se le band stesse non stiano portando avanti la loro vita rock’n’roll… in modo meno rock, se capisci cosa voglio dire.
“Ehi, stai parlando di quella che è sempre stata la cosa più importante per chi faceva metal negli Anni ’80. ‘If you want to be metal, live it!’ (non tradotto, troppo bello così, ndR). L”heavy metal era stile di vita prima che musica, e quindi quelle cose le facevi perché era quello che eri. Era necessario cazzo, non un modo di comportarsi artefatto perché qualcun’altro lo faceva. Ma parliamo di stile di vita appunto, e la vita è cambiata. Per chi c’era, e per chi non c’era la vita ora ha caratteristiche nuove. Non tiro un giudizio, non me ne frega, è così punto e basta. Per noi vivere il sogno rock’n’roll era voler essere i nuovi Metallica, i nuovi Dio, e lo si faceva con i mezzi che avevi, lottando contro qualcosa che c’era ai tempi, e che magari ora non c’è più. Le band nuove sono delle fighette? Nah, non è vero manco questo. Hanno sfide diverse, in condizioni diverse, e trovano il loro modo di buttarsi contro le proprie barriere, e di affrontare le proprie sfide. Le magliette non sono nere, non portano gli stivali e non hanno le borchie? Non spaccano tutto? Pazienza, hanno le loro cose che li identifica, esperienze che creano una famiglia e permette loro di vivere la loro musica. Tatuati, slang… è altra musica, altro stile di vita; però gli obbiettivi magari sono uguali. Noi eravamo estremi e anche le nuove band, se vogliono vivere la loro musica lo possono essere, in modi diversi. L’importante è vivere a fondo quello che si fa. E gli eccessi, che sono quelli che ti temprano, poi ci sono ancora. Eccesso di droga, eccesso di alcol, eccesso di soldi. Chi passa attraverso questi vive le stesse esperienze che abbiamo vissuto noi. Ecco tutto.”

 

 

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