Iron Maiden – The Book Of Souls

Il 30/09/2015, di .

Gruppo: Iron Maiden

Titolo Album: The Book Of Souls

Genere:

Durata: 92 min.

Etichetta: EMI

Distributore: Warner

70

Il privilegio di ascoltare in anteprima il nuovo Iron Maiden è per noi qualcosa di importante… sia perché siamo fan della band da quasi vent’anni, sia perché, dal punto di vista giornalistico, Harris & Co. non fanno mai mancare spunti interessanti di discussione e confronto. In questo caso poi gli spunti sembrano essere pure più del solito, visto che con questo ‘The Book Of Souls’ parliamo di un opera mastodontica, un juggernaut di quasi due ore di heavy metal, diviso in due volumi che non mancheranno di far parlare di sé per almeno una buona metà della prossima stagione. Impazienti si preme il “play” sulla prima canzone… e le prime note di ‘If Eternity Should Fail’ riempiono i nostri padiglioni auricolari. Riconoscendo che l’opener ha sempre un ruolo importante in un disco, rimaniamo spiazzati da questi quasi nove minuti posti in apertura, che tutto fanno pensare salvo che a una song semplice e diretta come quelle che si trovavano su quasi tutti gli scorsi album. L’impressione dopo l’ascolto è quella di trovarci a metà strada tra un pezzo come ‘Different World’ e una track epica alla ‘Brighter Than A Thousand Suns’: il tiro e la fruibilità non sono certo sui massimi livelli, ma il risultato finale non è prolisso o tedioso come ci eravamo potuti aspettare. Niente tamburi ripetitivi come succedeva su ‘Satellite 55’ e niente arpeggi infiniti, ma un bell’anthem heavy metal dal buon ritornello e dal comparto strumentale fisico e presente.
Il brano che ci saremmo aspettati in apertura lo troviamo invece in seconda posizione, col titolo di ‘The Speed Of Light’. Durata contenuta, buona velocità, solidità dovuta all’esperienza e chitarre che suonano decisamente Iron Maiden. Che dire d’altro? Si tratta di una bella canzone, orecchiabile e con una forte impronta live utile ad arricchire le scalette del prossimo tour; ma sinceramente non ce la sentiamo di gridare al miracolo per un brano che resta del tutto simile ad altri presenti su altri dischi e che la produzione confusa di Kevin Shirley appiattisce un po’. Alla fine, le strofe qui non convincono come altre song, e in generale il tiro risulta inferiore a quello che ci saremmo aspettati.
‘The Great Unknown’ non abbandona la filosofia del brano precedente e ci propone ancora forti echi del classico sound Iron Maiden post-reunion, facendolo però in maniera migliore rispetto al brano precedente. Brano composto da Smith e Harris, anch’esso risulta tradizionalmente Iron Maiden rimanendo però più fresco. Costruita attorno a un arpeggio di basso che apre il sipario su un roccioso mid tempo dal riff piuttosto deciso, la canzone si evolve poi in un più aperto ritornello, sottolineato da ritmi più elevati. Si attraversano interessanti parti strumentali, che ci strappano più di un applauso, fino al concitato finale.
Purtroppo, su ‘The Red And The Black’, non troviamo la stessa orecchiabilità… secondo pezzo più lungo del lotto, ci ha lasciato più dubbi che sorrisi. E ci dispiace, anche perché è l’unico pezzo firmato solo da Harris, però questo polpettone di tredici minuti non sembra poter ambire alla posizione di brano di punta dell’album. Aperto da un intro con basso picchiato e da chitarre molto cupe, il brano evolve in seguito su di un riff inaspettato seppur interessante. Il cantato è dinamico e piacevole, ma solo prima che intervengano alcuni “ooooh oooooh” che forse non avremmo messo in quel punto. Il pezzo continua a cambiare volto, rimbalzando su soluzioni che prese singolarmente sono anche buone, ma che ascoltate una dopo l’altra ci creano un effetto “collage” forse un po’ spiacevole… da rivedere.
‘When River Runs Deep’ è invece decisamente più standard, pur nascondendo qualche sorpresa. La canzone parte con un riff che cambia subito, sostituito da un altro su ritmi un po’ differenti. Il tiro è sempre buono, ma la struttura rimane più progressive e nervosetta di quanto ci aspettassimo. La durata relativamente corta permette al brano di non sbordare e trasformarsi in un’accozzaglia di riff diversi, mantenendo quindi una propria identità che ci piace. Senza più sapere cosa aspettarci, ci dirigiamo alla chiusura del primo disco incontrando inaspettatamente una canzone interessante sotto diversi aspetti: è un intro vagamente “far west” quello che ci apre la title-track, ‘The Book Of Souls’; scelta questa che cattura subito l’attenzione. Il ricordo di una certa ‘To Tame A Land’ ci viene in mente, più che altro per la struttura e l’afflato epico, ma ci rendiamo presto conto che la fortuna di questo brano si reggerà non tanto sull’impatto o sull’orecchiabilità quanto sulle sue atmosfere, appunto. Si assiste ad un lento crescendo, con elementi che arricchiscono il suono fino al punto centrale, dove una brusca accelerazione introduce il brano alla sua lunga sezione solistica. La cavalcata che segue ci convince appieno, e il brano non perde l’attenzione dell’ascoltatore.
Il disco due si apre con uno dei brani più sparati e diretti, oseremmo dire nella miglior tradizione dei vecchi album degli Iron: ‘Death Or Glory’. La batteria di Nicko picchia di brutto, il basso è vorticoso e il vibe creato dalle chitarre conquista dal primo minuto, col risultato di vincere il nostro favore quasi immediatamente. L’attacco qui è solo frontale, senza cedimenti o cambi di ritmo e tonalità: una linearità questa che permette a Bruce di esprimersi su massimi livelli, con una prestazione degna dell’ugola d’oro che è stato per tutti questi anni. Un’opener perfetta.
L’ascolto continua con ‘Shadows Of The Valley’, e tutto sommato gradiamo anche questa cavalcata piuttosto classica che può ricordare ‘The Reincarnation Of Benjamin Breeg’. Riff piacevole con chitarre in prima linea, voce in crescendo e classico ritmo da cavalcata del periodo centrale: i classici Iron senza particolari novità, ma il pezzo appunto lo apprezziamo lo stesso, in virtù soprattutto del ritornello carino e della sezione solista interessante.
Per quanto riguarda ‘Tears Of A Clown’, dal titolo ci eravamo fatti un’idea diversa… invece dell’attesa ballad, il brano è un crudo anthem heavy con un riff piuttosto asimmetrico e una sinuosa linea di basso sicuramente apprezzabile. Le linee vocali, nonostante la spigolosità della parte strumentale, sono aperte e orecchiabili, con particolare attenzione al solito bel ritornello. Un brano decisamente inaspettato e che andrà sicuramente approfondito, ma che ci ha dato un’impressione di piuttosto distante dal classico sound maideniano.
Nonostante il titolo quasi scippato dal Bruce solista, ‘The Man Of Sorrows’ non viene firmata da Dickinson in nessuna parte, anche se come sonorità ci ricorda proprio il disco ‘Accident Of Birth’. Il brano evolve in fretta, staccandosi dopo due minuti dai cliché stabiliti da una canzone come ‘Coming Home’ e aggiungendo un po’ di pepe, fino a trasformarsi in una heavy song a tutti gli effetti.
La palma di pezzo più atteso va però alla suite finale, quella ‘Empire Of The Clouds’ di ben diciotto minuti. Una canzone in cui, oggettivamente, c’è di tutto. Basso iniziale, arpeggio di chitarra, ma anche un pianoforte e un synth molto presenti. La canzone è un crescendo piuttosto lento che segue le varie fasi della trama ivi narrata, e il ritmo narrativo verrà scandito con innegabile maestria fino alla fine. La prima sezione strumentale che incontriamo instrada il brano su coordinate proprie degli Iron dell’ultimo periodo, seguita poi da riff di pregevole fattura. La tensione cresce fino a crollare su se stessa, dando vita a una seconda sezione più epica ed eroica, dal sapore molto proggy, ma che non dimentica la sue radici heavy. Il pezzo diventa poi via via più esplosivo, con vocals sempre più urgenti e ardite, fino a che la storia trova la sua conclusione con la stessa strofa dell’inizio. Con grande stupore, ci troviamo ad approvare in toto questo rischioso esperimento: la classe e la maestria col pentagramma hanno vinto pienamente sull’eventuale fattore tedio, donandoci un brano che non ci aspettavamo e che proietta gli Iron Maiden verso dimensioni che non avevano, in effetti, mai toccato.

Tracklist

CD1
01. If Eternity Should Fail
02. Speed Of Light
03. The Great Unknown
04. The Red And The Black
05. When The River Runs Deep
06. The Book Of Souls
CD2
01. Death Or Glory
02. Shadows Of The Valley
03. Tears Of A Clown
04. The Man Of Sorrows
05. Empire Of The Clouds

Lineup

Bruce Dickinson: vocals
Dave Murray: guitars
Adrian Smith: guitars
Janick Gers: guitars
Steve Harris: bass
Nicko McBrain: drums