Sky Empire – The Shifting Tectonic Plates Of Power Part One

Il 31/01/2024, di .

Gruppo: Sky Empire

Titolo Album: The Shifting Tectonic Plates Of Power Part One

Genere:

Durata: 65 min.

Etichetta: Vici Solum Productions

71

Giungono al secondo album gli Sky Empire, e lo fanno in modo non certo tranquillo e turbolento. Dopo aver infatti perso tragicamente il cantante e compagno Yordan Ivanov nel 2019 a seguito di un incendio; la band decide infatti di proseguire portando avanti con fermezza il discorso musicale di puro progressive metal già iniziato ai tempi con l’esordio ‘The Dark Tower’, aggiungendo alla miscela la versatilità di un cantante di razza come Jeff Scott Soto e spingendo all’estremo il già intransigente impianto musicale. Il risultato finale eccolo qui: un nuovo lavoro dal titolo pomposo e interminabile, lungo ben 65 minuti e zeppo fino a scoppiare di tecnicismi e evoluzioni strumentali.

‘The Shifting Tectonic Plates Of Power Part One’ è in effetti proprio come l’abbiamo descritto: un monolito di progressive metal nell’accezione più theateriana del termine. Un disco che in tanti punti ricalca (e non vogliamo usare termini più negativi) lo spartito di lavori quali ‘Train of Thougths’ o ‘Paradise Lost’ dei Symphony X; e il tutto senza prevedere alcun spazio per contaminazioni con qualsivoglia genere diverso, se non forse qualche strizzata d’occhio al progressive rock di Kansas, Yes e Camel, cosa peraltro non estranea nemmeno alla band di Petrucci & Co.

Il disco dicevamo ricalca dunque il sound ipertrofico e pompato della metà della prima decade del nuovo millennio, e ‘Prolegomenon: The Enconium of Creation’  è l’intro perfetta per dimostrarcelo: quattordici minuti solo strumentali in cui assoluti protagonisti sono il funambolico axeman Lecutier e l’ancora più bravo Hobson, tecnicamente dotato come il compagno, ma più slegato a livello di sound dal proprio nume ispiratore. Se infatti il chitarrista si conferma un ottimo emulo (ma non molto di più) di Petrucci e Romeo; l’ottimo Hobson rimane in generale più personale e variegato, andando a ricordare spesso non solo Moore o Rudess, ma anche Sherinian, il Werno dei Vanden Plas e  il grande Mike Pinnella. I brani cantati, cinque su sette, sono in generale più corti e si affidano soprattutto all’ugola dorata di Soto per creare collante tra una fuga strumentale e l’altra. Le linee vocali sono infatti il pezzo forte per quanto riguarda la personalità dell’album: da quel punto di vista non si può non elogiare le capacità interpretative del frontman di Talisman, Axel Rudi Pell e Sons of Apollo… davvero spesso sembra in grado di trasformare in oro anche materia grezza come lo sono molti passaggi di questo album. Nel corso di 65 minuti, di materiale buono ne vediamo scorrere parecchio… se le evoluzioni della già citata opener ci hanno lasciato pienamente soddisfatti, più ancora lo fanno le buon intuizioni della bella ‘The Emissary’, le tonde melodie di ‘Into My father’s Eyes’ e l’afflato epico e trionfale della conclusiva ‘House of Cards’, il brano migliore del letto sicuramente.

Insomma, in tanti potranno anche sostenere che questi Sky Empire sono arrivati fuori tempo massimo, proponendo adesso un’interpretazione del progressive metal che oramai nemmeno più le band due madri fanno più; influenzate ora maggiormente da un certo barocchismo come i Symphony X o da derive djent e moderniste, come gli ultimi Dream Theater. Però c’è da dire che questo disco nel 2005 avrebbe spaccato, e che la qualità compositiva rimane tuttora, anche se magari un pelo meno smaltata. Il punto è capire cosa si sta ascoltando: se si cerca originalità o qualche nuova intuizione vi consigliamo i Temic o gli Haken; se invece il riscoprire il sound di una ventina di anni fa può farvi piacere, ecco che avete trovato pane per i vostri denti.

Tracklist

01. Prolegomenon: The Encomium of Creation
02. On the Shores of Hallowed Haven
03. The Emissary
04. Into My Father’s Eyes
05. Wayfarer
06. The Last Days of Planet Fantasy
07. House of Cards

Lineup

Drazic Lecutier : guitars
Tom Hobson : keyboards
Jon Delaines : bass
Remi Jalabert : drums