Metallica – Un riflettore sulla rabbia

Il 05/05/2003, di .

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Metallica – Un riflettore sulla rabbia

E’ finalmente venuto il momento di ‘St. Anger’. A sei anni di distanza dal loro ultimo studio album, i Metallica sono tornati con un album destinato ancora una volta a spiazzare pubblico e critica. Se la melodia commerciale è ormai solo uno sbiadito ricordo, è un estenuante caos, ora, a farla da padrone. Un arma a doppio taglio, questo almeno è quanto emerso dall’ascolto in anteprima della nuova fatica dei ‘Four Horsemen’.

La lettura di queste due pagine richiederebbe, per essere realmente completa, una musica ipnotica in sottofondo e luci soffuse ma pulsanti tutto attorno, un’atmosfera da “Il Milionario”, tanto per intenderci, carica di pathos e di tensione, ideale per introdurre alla “rivelazione”. Perché, alla fine, quello che state leggendo ha la pomposa natura proprio dell’assoluta rivelazione. Dopo un tourbillon di voci che hanno invaso la rete già mesi addietro, dopo l’estenuante passaparola dei “Si dice che…” e dei “Sembra…”, dopo i mozziconi di MP3 che i più audaci sono riusciti a strappare dalle gelose grinfie di “mamma Mercury”, è infatti giunto il momento atteso da sei, lunghi anni: quello del nuovo studio album dei Metallica.

Invitato in un bunker nel cuore di Milano, Metal Hammer ha potuto ascoltare in anteprima l’acclamato ‘St.Anger’, l’ottavo studio album in vent’anni di carriera per i ‘Four Horsemen’ (se si escludono le raccolte di cover e il disco con l’orchestra), il primo con l’ex Infectious Grooves/Suicidal Tendencies/Ozzy Osbourne Rob Trujillo al basso, a sostituire il defezionario Jason Newsted. Un disco attesissimo dai fans di tutto il mondo che, comprando i loro dischi (85 milioni in totale!) hanno issato i Metallica sul trono del metal mondiale (anche se, con molta malinconia, nelle presentazioni della band di Frisco il termine “metal” è andato via via lasciando il posto a “rock”, quasi a volersi ripulire da una definizione scomoda per il mondo discografico mainstream), da coloro che, spinti da MTV, hanno consacrato album almeno controversi come ‘Load’ e ‘Re-Load’ e da chi, allergico al termine “commerciale”, confida in un ritorno in grande stile alle sonorità serrate di ‘Ride The Lightning’.

Bene, iniziamo subito a dire (e in questo momento, con l’avvicinarsi della “rivelazione” la musica in sottofondo dovrebbe farsi più pulsante e la luce sempre più intensa), che chi si aspettava quelle cavalcate rock travestite da metal song che hanno fatto la felicità degli ultimi due dischi dei Metallica resterà sicuramente deluso dall’ascolto di ‘St.Anger’. Dimenticatevi quindi la nenia da hit parade di ‘The Memory Remains’, la stucchevole ‘The Unforgiven II’, la spacca-classifica ‘Until It Sleeps’ o la vacillante ‘Hero Of Day’: come annunciato con tanto di rullo di tamburi, la nuova fatica di Hetfield e soci suona maledettamente arrabbiata e violenta, una furia incontrollata che poco spazio lascia alla melodia e alle facili soluzioni da classifica. Una vera svolta per i Metallica che, a quanto pare, hanno voluto dare un taglio drastico con il passato, magari confortati da una sicurezza e da una solidità economica e di immagine costruita proprio sugli ultimi, contestati dal popolo metallico, dischi. Attenzione però, perché se è vero che non è tutto oro quel che luccica, a maggior ragione possiamo dire che il risultato finale potrebbe non essere quello che tutti si aspettano. Giudicare un disco dopo un solo ascolto è un’impresa difficile e lo è ancor di più per un disco cruciale come ‘St.Anger’, eppure sono tanti i punti interrogativi che ci rimangano dopo il nostro primo viaggio nel nuovo universo dei Metallica. Innanzitutto la durata dell’album: 75 minuti di musica senza respiro, un’apnea nel caos che potrebbe alla lunga sfiancare l’ascoltatore, stordito da canzoni della durata sempre superiore ai cinque minuti, prive di una spiccata linea melodica (occhio: melodica, non commerciale. ‘Seek & Destroy’ è una fucilata eppure rimane in testa sin dal primo ascolto, dote questa assente negli undici brani di ‘St. Anger’), di un minimo assolo a spezzarne la tensione e di una parvenza di accessibilità. James Hetfield quando non ringhia rabbioso, scivola su un cantato lamentoso dagli echi seattleiani, chitarre e basso si fondono a creare un mastodontico muro sonoro attraverso il quale la luce quasi mai filtra, mentre la batteria, forse la più penalizzata da una produzione ruvida all’eccesso, pare dover esplodere da un momento all’altro, il tutto a dare vita ad un caos incontrollato, una centrifuga impazzita che frulla assieme senza ordine logico il thrash vecchia maniera ed il punk, Tool e System Of A Down, Alice In Chains e southern rock, blues e Rage Against The Machine, versando poi lo schizoide risultato in undici, estenuanti, caotici brani. Anche troppo…

ST. ANGER

Frantic’ (5.50): Il brano posto in apertura del disco è un buon biglietto da visita per presentarci ciò a cui andiamo incontro. La song si apre con un intro furioso di classica scuola thrash, veloce all’eccesso, un discorso raggelante destinato a venire spezzato solamente da un break dalle venature punk che ben si incastona nel muro sonoro costruito da chitarra, basso e batteria, a tratti un’unica entità sulla quale si arrampica l’allucinato cantato di Hetfield.

St. Anger’ (7.21): Il primo singolo estratto fa ben intendere a che grado di follia sia giunta la band di San Francisco. Se questo dovrebbe essere il brano più accessibile, non c’è di che stare tranquilli. Su uno scheletro thrash Hetfield si tramuta in Dr. Kekyll e Mr. Hyde, alternando un cantato quasi soffuso con esplosioni rabbiose ben incarnate nello schizzato doppio canto. A mano a mano che il brano procede la velocità si alza, la melodia filtra solo a tratti dalle parti vocali, mentre l’atmosfera si fa sempre più ossessiva ed allucinata con Lars a picchiare come un ossesso sulle sue pelli e basso e chitarra a togliere il fiato all’ascoltatore con riff oscuri destinati ad esplodere in un finale massacrante.

Some Kind Of Monster’ (8.26): Una canzone dall’incidere decisamente groovy, a tratti ipnotica, con uno sviluppo cadenzato che spesso va a scontarsi con le scariche violente delle chitarre che, con sadico cinismo, intervengono a rompere un soffuso idillio. Un’anima quasi crossover non riesce però a spezzare una struttura monolitica, compatta, massiccia, destinata a concedere sprazzi di melodia solo in prossimità del refrain, ma subito pronta a tornare in un batter d’occhio all’oscura rabbia iniziale. Una song dalla durata, però, un po’ eccessiva, almeno non giustificata da una struttura multiforme. E questo, alla lunga, può portare a risultati facilmente intuibili…

Dirty Window (5.25): Per la prima volta all’interno di questo disco, i Metallica danno sfogo senza remore a quell’attitudine punk che, soprattutto nei primi lavori, ne aveva marchiato a fuoco il sound. Un’attitudine che, in questo caso, va a fare coppia con atmosfere più moderne, con echi soprattutto agli ultimi Tool. ‘Dirty Window’ è una traccia sporca, ricca di alti e bassi con galoppate veloci ed incazzate ad alternarsi con momenti più controllati e frenati.

Invisible Kid’ (8.31): Il primo, mezzo passo falso della band giunge in prossimità della quinta traccia e, paradossalmente, con la song più melodica del lotto. Ad un attacco che tanto sa di korniano, risponde un Hetfield che, per la prima volta mantiene a bada la sua rabbia muovendosi su toni moderati, controllando la sua voce ma, così facendo, andando a togliere intensità al brano. L’incidere è decisamente moderno ma ben poco convincente, così come convincono poco alcuni break trascinati, a tratti lamentosi, insopportabili se riportati ad una lunghezza ancora una volta eccessiva.

My World’ (5.46): In questo brano fanno capolino parti di scuola grunge, iniezioni di melodia in una traccia dalla spiccata attitudine thrash soprattutto nel massiccio inizio, con un sound possente a crescere nota dopo nota. I break vocali più melodici arrivano solo ad attenuare momentaneamente la ‘sofferenza’, perché le chitarre sono nuovamente in agguato, pronte a costruire riff solidi ed arrabbiati, idealmente a cavallo tra la velocità delle produzioni passate e l’azzardo del moderno.

Shoot Me Again’ (7.140): La song si apre con un intro incalzante che subito aggredisce l’ascoltatore, in contrapposizione con la voce di Hetfield che, nata soft, si lancia in improvvisi raid rabbiosi ben assecondati dalla sezione strumentale, in un continuo alternarsi di malcelata melodia e stacchi modernamente rabbiosi. Una venatura di scuola RATM nel finale potrebbe far storcere ai più il naso, ma quando la song giunge al suo compimento tutto viene cancellato e sepolto sotto una spessa coltre di riff ossessivi, esasperati, realmente annichilenti.

Sweet Amber’ (5.27): Torna a farsi sentire prepotentemente l’influenza grunge sulla vena compositiva dei Metallica. L’attacco, però, è all’insegna del southern rock grezzo, destinato a diluirsi in soluzioni a tratti grunge, a tratti tipicamente nu-metal. Nel refrain, affiora una melodia figlia dei migliori Alice In Chains, intervallata da break ancora una volta rabbiosi destinati a risucchiare il tutto nel caos.

Unnamed Feeling’ (7.07): Un altro dei passi falsi della band in questo ‘St. Anger’. Così come in alcuni passaggi dei brani che l’ hanno preceduta, questa song avverte in modo preoccupante l’assenza di assoli che ne rompano la monotonia. Il brano si apre con chitarre incisive che, però, si sciolgono in uno sviluppo trascinato, lamentato, spezzato da un break acustico che potrebbe richiamare alla mente alcune atmosfere del passato, destinato a sua volta a perdersi in un ritorno di discorsi più moderni ed elaborati. Una condizione che, trascinata per oltre sette minuti, non fa il bene della canzone.

Purify’ (5.14): Prepotente ritorno a galla dei Metallica che, con ‘Purify’, danno alla luce una song piacevole, diretta ed incazzata come tutti potrebbero aspettarsi. Tra echi ai SOAD e rabbiose sfuriate punk, la traccia si presenta in tutta la sua dirompente bellezza soprattutto nel chorus centrale dove, da un vulcanico caos, erutta un refrain finalmente immediato.

All Within My Hand’ (8.47): Una canzone di quasi nove minuti a conclusione di un album già di per sé estenuante, francamente, i Metallica ce la potevano risparmiare. Se in più si pensa che la canzone in questione, salvo sporadici innalzamenti di tono, si snoda lungo una struttura abbastanza piatta, priva del giusto appeal e di quelle sfuriate rabbiose che avevano condito i brani precedenti, si capisce facilmente perché si sarebbe potuto tranquillamente destinarla a qualche B-side.

Un disco, in definitiva, da ascoltare più volte prima di essere compreso a pieno, nel quale il caos, a tratti filo conduttore dell’album, può risultare un’arma a doppio taglio per i Metallica. Se da un lato segna inequivocabilmente il rinnego delle trovate commerciali che avevano decretato il successo del gruppo americano, dall’altro finisce per privare l’ascoltatore delle giuste coordinate, spiazzandolo all’inverosimile e lasciandolo, stordito, alla ricerca della via maestra. L’assenza, poi, di una song memorabile, diretta ed immediata a favore di tracce dalla lunghezza a tratti eccessiva e di quegli assoli impazziti che avevano marchiato a fuoco i grandi capolavori dei ‘Four Horsemen’, non facilita l’assimilazione di uno dei dischi più coraggiosi mai partoriti dai Metallica.

ALCUNE NOTE:

St. Anger’ è stato registrato agli H.Q Studios, gli studi di proprietà dei Metallica ed è stato prodotto da Bob Rock, il produttore storico della band, autore per l’occasione anche delle parti di basso. L’uscita del disco è fissata per il 6 giugno e per la prima tiratura l’album avrà quattro copertine con lo stesso artwork e contenuto ma con sfondi in quattro diversi colori (rimarrà disponibile in seguito solo la colorazione rossa). Il formato sarà in doppio digipak con 80 minuti di riprese in studio inserite in un DVD in allegato. Il primo singolo estratto è la title track, per la quale è stato realizzato anche un video registrato nel corso dell’esibizione della band nel carcere di San Quentin.

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