ProgSpective (2) – Fates Warning, Pain Of Salvation

Il 02/09/2016, di .

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ProgSpective (2) – Fates Warning, Pain Of Salvation

Nel numero scorso abbiamo trattato in maniera veloce e fugace la nascita di quel prog metal che ha fatto la fortuna di una band come i Dream Theater e avevamo accennato al fatto di come, “filosofeggiando” un po’ sull’argomento, gruppi come i Queensryche prima e Fates Warning poi, accesero la prima scintilla di questo movimento che riscosse pieno successo solamente con la band di Petrucci & Co. con la pubblicazione di “Images & Words”. Ed effettivamente i Fates Warning sono stati i loro “reali” padri putativi (tralasciando i Rush, vera e propria Musa ispiratrice), quelli che hanno loro spianato la strada e che ancora oggi continuano la loro magnifica carriera. Proprio l’uscita del loro nuovo album intitolato “Theories Of Flight” è l’occasione per parlare di una band seminale che ha saputo dare tantissimo alla scena e dalla quale in tanti hanno attinto a piene mani così come la ripubblicazione di “Remedy Lane” dei Pain of Salvation, entrambi su Inside Out, invece ci permette di mettere a confronto chi ha segnato la strada e chi invece è rimasto un pò un eterno incompiuto. Anno Domini: 1989. Esce un disco fondamentale che ha cambiato il corso della carriera della band di Matheos & Co.: Perfect Symmetry. Arriva dopo sei anni dal primo album edito su Metal Blade, quel “Night on Broken” che vedeva il quartetto fortemente influenzato dal sound NWOBHM degli Iron Maiden (nel frattempo vengono pubblicati altri 3 albums, “The Spectre Within”, “Awaken The Guardian” e “No Exit”). Grazie all’entrata in pianta stabile di Ray Alder dietro il microfono (già su No exit) e di un “certo” Mark Zonder alla batteria (già con gli epici Warlord), il sound vira decisamente verso un prog metal dalle forti tinte melodiche e maggiormente sperimentale come ben si denota dall’utilizzo di un quartetto d’archi in “Chasing Time”, esperimento assolutamente inedito per quegli anni. Come dimostrerà la successiva produzione le atmosfere si fanno più cerebrali e malinconiche grazie ad un tappeto di arrangiamenti complessi ed una sezione ritmica molto articolata, merito del drumming eclettico di Zonder. Accompagnati da testi che abbandonano le tematiche fantasy degli esordi e più ancorati alla realtà, le influenze prog rock vengono fuori in brani come “At Fates Hands” (con Kevin Moore alle tastiere come special guest) e “Through Different Eyes” che verrà scelto come singolo (e di cui girarono anche il relativo videoclip). E da qui in poi Jim Matheos e soci inanellano dischi magistrali fin dal successivo “Parallels” passando da “Inside Out” del 1994, dischi sublimamente prog metal ma con un’attenzione più marcata verso un songwriting più “semplice” e diretto nonostante in entrambi i dischi siano presenti brani articolati come “Monument”, “The Eleventh Hour” e “Life in Still Water”. Arriviamo quindi al 1997, un anno d’oro per gli amanti del genere: è la volta dei Vanden Plas con “The God Thing” e il loro possente prog metal intarsiato a grandi linee con il power/class metal di marca teutonica così come il seminale “The Divine Wings of Tragedy” dei Symphony X, prog metal “sporcato” da influenze classico-barocche. E in tutto questo panorama irrompono nel mercato discografico i Pain Of Salvation con il loro “Entropia”, un concept album (come tutti gli altri dischi da loro pubblicati d’altronde) che dimostra tutta la bravura e complessità compositiva/esecutiva del gruppo capitanato dal carismatico Daniel Gildenlow, autore di tutti testi e delle musiche. La band svedese, appena pubblicato il loro primo album, si trova tra le mani già il successore, quel “One Hour by the Concrete Lake” dove ritmiche serrate, arrangiamenti solari ed una musicalità dissonante riescono a produrre un autentico capolavoro coniando uno stile assolutamente unico ed inimitabile che li fece conoscere al grande pubblico. Cominciò così in punta di piedi la loro entrata nel gotha del panorama prog metal, mentre i Fates Warning non rimasero con le mani in mano pubblicando uno dei loro migliori prodotti: “A Pleasant Shade of Grey”, una traccia unica divisa in dodici parti prodotta sublimamente da Terry Brown. Summa della loro discografia, forse la gemma più pura di una stupenda trentennale carriera alla quale ha fatto seguito un tour da headliner che li portò anche in Europa e che li vide proporre il disco per intero. L’anno 2000 vede protagoniste entrambe le band: i Fates Warning con “Disconnected” che ha rappresentato un’altra sterzata stilistica contraddistinguendo tutta la successiva discografia fino ai giorni nostri: suoni più oscuri dove le chitarre di Jim Matheos risultano essere più taglienti che mai ma mantenendo sempre inalterato il loro classico trademark. Ed i Pain Of Salvation invece pubblicano “The Perfect Element Part I”, anch’essi mantenendo le ottime premesse del predecessore “One Hour….”: un giusto mix tra l’originalità di “Entropia” e la produzione di “One Hour…”. A questo disco, per i Pain Of Salvation, seguiranno produzioni un pò controverse quali l’oscuro “Remedy Lane”, il teatrale “Be” dove per la prima volta si intravedono influenze folk e classica per finire con “Scarsick” che vede una band allontanarsi prepotentemente dal prog metal per abbracciare stili come l’’hip hop, l’alternative rock, il crossover, il nu metal e addirittura la disco music (nel brano “Disco Queen”). Insomma, sembra di trovarsi di fronte ad un’altra band che, del tutto legittimamente, prosegue il proprio percorso stilistico allontanando al tempo stesso quella fetta di pubblico che li aveva conosciuti ed apprezzati per il loro innovativo prog metal degli inizi. Anche i Fates Warning dopo “Disconnected” diradano parecchio la loro produzione producendo nel corso dei successivi dieci anni solamente un album, quel “FWX” che è l’acronimo di “Fates Warning X”, decimo sigillo della loro carriera che proseguiva idealmente il percorso intrapreso dal suo predecessore e che ha rappresentato la dipartita di quel Mark Zonder che con il suo eclettico drumming aveva caratterizzato il sound della band. Per entrambi i gruppi gli anni successivi sono caratterizzati da concerti sporadici, malattie e problematiche di salute (Daniel Gildenlow) e cambi di formazione che ne hanno fortemente rallentato le carriere senza mai interromperle del tutto. Se paragoniamo queste due bands sotto il mero aspetto musicale possiamo notare parecchie differenze ma quello che li accomuna è la volontà di andare oltre gli schemi, il cercare di proporre sempre qualcosa di diverso, disco dopo disco rimanendo fedeli a se stessi invece che al mercato o a quello che i fans si potrebbero aspettare da loro. E facendo così continuano fino ad oggi a deliziare i nostri padiglioni auricolari, non sempre con risultati corrispondenti alle intenzioni, ma questo fa parte probabilmente delle aspettative che ognuno nutre legittimamente ad ogni uscita. I Fates Warning sono stati, e continuano indubbiamente a esserlo, una delle band che hanno saputo rappresentare al meglio il concetto di prog metal rimanendo quasi un gruppo elitario non raccogliendo grandi consensi di pubblico paragonati all’indubbia eccellenza della propria discografia. Almeno se pensiamo ai livelli di popolarità raggiunti dai Dream Theater. I Pain Of Salvation sono stati un po’ la nuova “big-thing” ma a causa di cambi di line-up e di una leadership abbastanza “ingombrante” di Daniel Gildenlow non hanno saputo mantenere le premesse (e promesse) iniziali alle quali forse gli appassionati del genere avevano riposto. Come potete leggere su queste pagine, per entrambe le band questo 2016 le vede protagoniste con un ritorno discografico che farà molto discutere ma che indubbiamente faranno rimanere alta l’attenzione su musicisti che non si tirano indietro, cercando di stupire senza dover per forza essere scontati e prevedibili. E questo è la migliore garanzia per ogni prog metal fan.

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