I 10 migliori album metal italiani dal 2010 secondo Metal Hammer Italia

Il 19/10/2017, di .

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I 10 migliori album metal italiani dal 2010 secondo Metal Hammer Italia

Il mondo oramai vive di classifiche, questo è un dato di fatto. Non potevamo dunque esimerci dal provare a dare qualche numero anche noi, quasi all’alba del trentesimo anniversario dalla nascita di Metal Hammer. Ci siamo quindi spremuti le meningi per scegliere il tema della nostra prima classifica e, com’è giusto, l’abbiamo dedicata al nostro Paese e a coloro che hanno dato di più, secondo noi, al metal italico. Come tutte le selezioni, anche questa è stata dura e impietosa. Ciascuno di noi è stato costretto a lasciar fuori dischi che ama o che l’hanno segnato in particolar modo. Ecco, infine, qual è stata la nostra decisione riguardo i Migliori 10 dischi metal italiani a partire dal 2010, ognuno con più giudizi da parte della redazione. Aspettiamo la vostra classifica e le vostre opinioni nei commenti in fondo alla pagina.

Sadist – ‘Season In Silence’ (2010)

Nel giro di due dischi i Sadist sono tornati a fare quello che sanno fare meglio. Con ’Sadist’ la ruggine è stata spazzata via, con ‘Season In Silence’ la macchia è tornata a funzionare alla perfezione. Il loro migliore album dai tempi di ‘Above The Light’ e ‘Tribe’. Se dovete copiare una band, copiate loro! [Giuseppe F. Cassatella]
La band ligure non si pone con ‘Season In Silence’ ad alfiere di un certo tipo di sonorità all’estero, ma di sicuro ne analizza bene le caratteristiche, interpretandole con una sensibilità nuova e vestendole con un concept oscuro e interessante. Di certo l’album più progressivo della band, mostra all’ascoltatore lati inaspettati della penna di Talamanca. [Dario Cattaneo]
Un disco potente e stupefacente, dopo il flop di ‘Lego’ e il ritorno al sound originale con l’omonimo album, i Sadist con ‘Season In Silence’ erano chiamati ad una prova certamente non facile. Ma singoli come ‘The Attic and the World of Emotions’, una grande prestazione tecnica e il solito carisma di Trevor resero l’album di altissimo livello. [Alberto Gandolfo]
Il sesto album targato Sadist si presenta come un lavoro oscuro, claustrofobico, per alcuni versi estremamente progressive, con quegli echi ambient, quei passaggi di batteria dal retrogusto jazzato, quel lavoro di chitarra sempre elegante ma estremamente intricato destinati a spiazzare l’ascoltatore proprio quando pareva finalmente aver trovato il filo conduttore del disco. Che ancora una volta fa emergere la dirompente classe di Tommy Talamanca e la creatività di Trevor, dalla cui malata fantasia nascono inquietanti racconti con l’inverno come comune denominatore e l’orrore come elemento imprescindibile. Un Mauro Corona in versione metal, abilissimo nel coniugare un fortissimo amore per l’ambiente e per la natura con una scrittura aspra, arcigna ma soprattutto estremamente sadica. [Fabio Magliano]
Esponenti di prim’ordine dell’oltranzismo metallico made in Italy, i Sadist capitanati da Trevor e Tommy Talamanca dissipano ombre e timori con un album del calibro di ‘Season In Silence’, imprinting death e una voglia di rivalsa che, semplicemente, stordisce. Vecchia guardia al comando.
[Alex Ventriglia]
Tecnicismi che si fondono magistralmente con atmosfere liriche. Riff trascinanti e violenti che si combinano con la teatralità delle parti strumentali. [Angela Volpe]

Arthemis – ‘We Fight’ (2012)

Partiti come power metal band, gli Arthemis mostrano di essere fatti di una pasta diversa. Grattati via i superflui strati superficiali di cui la band si vestiva, si intravvede infine il baluginare dell’acciaio inossidabile. ‘We Fight’ è un’anima fatta di metallo, che taglia come non mai. [Dario Cattaneo]
Gli Arthemis sono l’emblema della dedizione. Dalle prime scintille power fino all’attuale heavy (a sfumature thrash) hanno saputo rinnovarsi e osare, senza preoccuparsi di cosa avrebbero pensato fan o addetti ai lavori. ‘We Fight’ è fuor di dubbio il simbolo di uno dei gruppi più dinamici e meno scontati della scena italiana. [Stefano Giorgianni]
Sono anni che Martongelli e soci (vari) lavorano sodo per ritagliarsi uno spazio nel panorama metal italiano e con ‘We Fight’ direi che non solo ci sono riusciti, ma sono andati oltre alle aspettative. Per gli amanti delle sonorità pesanti, in stile Megadeth/Judas Priest, questo è un album che non potete non avere. [Andrea Lami]
Una band abituata forse a lavorare in “sordina”, ma capace di exploit qualitativi di grande spessore,
con il suo sound stretto debitore dei nomi più classici, ma con dalla sua una carica eversiva e uno spirito battagliero con pochi eguali nella scena tricolore. ‘We Fight’ è probabilmente il miglior biglietto da visita fin qui sfoderato dai veronesi.
[Alex Ventriglia]

Secret Sphere – ‘Portrait Of A Dying Heart’ (2012)

Appoggiato a una storia originale sviluppata per la band da una vera scrittrice, il settimo album della band alessandrina è di quelli che si fanno ricordare. Melodie indimenticabili, costruzioni ritmiche mai banali, arrangiamenti sontuosi e solismi di gran classe: praticamente niente è fuori posto in questo bellissimo lavoro. [Dario Cattaneo]
Un concept è per sua natura un puzzle, dove musica, parole, atmosfere cercano di completarsi a vicenda in uno scambio sinergico virtuoso. ‘Portrait Of A Dying Heart’ è a sua volta un gioco a incastri in cui generi differenti (power, hard rock e progressive) danno vita a una trama musicale elegante perfetta per raccontare una storia ben congegnata. I Secret Sphere firmano un’opera maiuscola che intrattiene mente e cuore. [Marco Giono]
È inutile negarlo, l’ingresso di Luppi ha fatto fare alla band il salto di qualità. ‘Portrait’ è un concept album che vi catturerà sin dal primo ascolto (non ve ne libererete neanche a distanza di anni). Pensavo fosse impossibile fare qualcosa di meglio, niente di più sbagliato, provate ad ascoltare anche ‘The Nature Of Time’. [Andrea Lami]

Trick Or Treat – ‘Rabbit’s Hill’ (2012/2016)

Si è trattato di estrarre il classico coniglio dal cilindro… due album diversi nello stile, ma che ugualmente ci raccontano una storia con una immediatezza e una spontaneità degni delle migliori opere. ‘La collina dei Conigli’ di Richard Adams diventa nella messa in scena dei Trick or Treat, una corsa virtuosa tra raffinato hard rock e power metal declinato nelle sue molteplici sfumature . ‘Rabbit Hill’ è un gioco di prestigio in grado di stupirci anche dopo l’ennesimo…ascolto [Marco Giono]
Trasporre in musica una qualsivoglia opera è un’impresa titanica, molto spesso ne esce un fallimento o qualcosa di approssimativo. Questo non riguarda i Trick Or Treat e il loro (doppio) album ‘Rabbit’s Hill’, una delle migliori storie della letteratura moderna, ‘La Collina dei Conigli’ di Adams, rinarrata con maestria e sapienza musicale da una delle più solide band nostrane. [Stefano Giorgianni]
Siamo di fronte alla migliore produzione di una delle band di punta del power metal italiano. Hanno sempre giocato sull’ilarità e sulla voglia di scherzare, qualità che vengono messe da parte per la realizzazione di un (doppio) album esagerato sotto ogni profilo. [Andrea Lami]

Fleshgod Apocalypse – ‘Labyrinth'(2013)

Nel 2013, il volto del metal estramo italiano all’estero era rappresentato da questi cinque ragazzi di Perugia. Più sinfonico, più bombastico, ancora più spinto del precedente ‘Agony’, questo disco rappresenta l’ideale equilibrio tra scena estrema e influenza sinfonica. Un disco che non si ferma all’ombra dei vari Wintersun o Septic Flesh, ma li guarda dritto negli occhi. [Dario Cattaneo]
Con questo concept la band di Perugia, ha ricevuto la consacrazione a livello mondiale. Ricordo ancora il primo ascolto di questo disco, la brutalità e la complessità del disco mi lasciarono senza parole sin dal primo ascolto, impressionante la prestazione di Francesco Paoli dietro la batteria, e come in ogni lavoro della band, una menzione va fatta a Ferrini per il notevole lavoro di composizione negli arrangiamenti orchestrali.[Alberto Gandolfo]
Per la furia e l’originalità e complessità delle proprie composizioni, gli umbri Fleshgod Apocalypse si ergono al comando del nuovo che avanza, forti di una leadership al momento con pochi rivali nel mondo. E il concept-album ‘Labyrinth’ è una violentissima e sconvolgente “lectio magistralis” di come si suona musica (estrema) d’avanguardia, senza mai smarrire la bussola alla ricerca di chissà quale improbabile verita. [Alex Ventriglia]

Dark Lunacy – ‘The Day Of Victory’

Il ritorno alle tematiche russe di ‘The Diarist’ segna un parallel ritorno alle sonorità più death della band. Un album diretto e feroce, che accantona lo spirito malinconico della band per soffermarsi sul dolore e la crudeltà di un periodo storico trai più intensi della storia dell’umanità. [Dario Cattaneo]
‘The Day Of Victory’ è la rivoluzione, ti travolge, soggioga, esalta e porta all’assuefazione. Rappresenta il compimento di un percorso iniziato con ‘The Diarist’, portando alla vittoria la band parmense. Amore, passione, dedizione e trionfo. [Stefano Giorgianni]
L’ennesimo gioiello di una band che raramente ha girato a vuoto nel corso della sua carriera. “Day Of Victory” vede Mike Lunacy e compagni riappropriarsi di quella identità che ne aveva caratterizzato i primi lavori, riproponendoci in pompa magna quel death metal clamorosamente elegante, infarcito da influenze russe, dal fascino della musica sinfonica, della potenza del metal, magistralmente amalgamati in un contesto che lascia emergere limpidamente tutta la classe compositiva dei “nostri”, che con questo disco ripartono dal loro passato per riprendere un percorso che li porterà a toccare vette incredibili. [Fabio Magliano]
I Dark Lunacy sono una band di categoria superiore, una di quelle che, febbrilmente, ci invidiano anche all’estero. Grazie a un sound feroce ed energico, comandato da una sezione ritmica al fulmicotone e dalla voce ringhiante di Mike Lunacy, vero e proprio tratto distintivo, il quale trova il suo ideale, robusto crogiuolo in ‘The Day Of Victory’, l’album senz’altro più importante per i parmensi, quello che ha definitivamente spostato gli equilibri, ridisegnandone trame musicali e lucide ambizioni. [Alex Ventriglia]

Bad Bones – ‘Demolition Derby’ (2016)

Al quarto disco i cuneesi Bad Bones hanno fatto centro con un disco potente e ben prodotto. Nonostante i ribaltoni nella formazione (l'arrivo di Max alla voce, l’abbandono di Meku sostituito da Sergio Acheris) i “fratelli Bones” sono riusciti a rinnovare il sound, migliorando nel songwriting. Un ottimo disco, tra le più belle cpse nel panorama hard & heavy italiano. Il disco di Max Malmerenda, una delle voci italiane più brillanti e interessanti. Il duetto con Roberto Tiranti su Red Sun, vale l’acquisto del disco. [Alberto Gandolfo]
Sono partiti come terzetto molto vicino a sonorità crude, attualmente, sono un quartetto con l’arrivo di Max e Sergio, che ha spostato decisamente il tiro, raffinandolo, per così dire, e raggiungendo una maturità artistica davvero importante. Quando torneranno dal tour in l’America e passeranno dalle vostre parti, non perdeteveli. [Andrea Lami]
Sopiti quegli echi americani che per anni avevano predominato con il loro fascino l’universo Bones facendo passare quasi in secondo piano l’aspetto musicale, inglobati alla perfezione Max Bone e SerJoe, la band si lancia sul mercato con un disco coinvolgente, incredibilmente ruffiano quando entra in modalità “cazzeggio” ma ugualmente in grado di toccare le corde dell’anima quando l’atmosfera si fa seria ed i temi profondi. L’influenza americana qui si fa sentire a livello di sound, con una serie di brani che paiono nati sul Sunset Strip nell’epoca dorata dell’hard rock, mentre Max Bone, ora davvero a suo agio sia dietro il microfono che con la penna in mano, dà sfogo ad un amore mai negato per il rock radiofonico tessendo melodie clamorose destinate a fare presa sin dal primo ascolto. [Fabio Magliano]
Alla vigilia della loro imminente mini-tournée negli States, lo ribadiamo, i Bad Bones sono una band unica nella nostra scena, e ‘Demolition Derby’, quarto, incredibile album dei piemontesi, è la summa completa, in tutto e per tutto, dei vizi e delle virtù dei fratellini Bones. Più trasversali stilisticamente parlando, i quattro scavezzacolli in questione conquisteranno, ancora una volta, il Sunset Boulevard… [Alex Ventriglia]

DGM – ‘The Passage’ (2016)

‘The Passage’ cristallizza in un unico lavoro il livello altissimo cui è arrivata la scena power/prog italiana. Raccogliendo anni di sforzi delle band appartenenti al movimento, Mularoni e soci dipingono un quadro cangiante che ne rappresenta un sunto perfetto, dando una nuova identità ad un sound da anni in via di definizione. [Dario Cattaneo]
L’album della definitiva consacrazione. Non che ci fosse bisogno di conferme, ma ‘The Passage’ è un disco praticamente perfetto. i DGM raggiungono quelle vette compositive al livello dei maestri Dream Theater, regalandoci un masterpiece. [Andrea Lami]
I DGM hanno trovato con ‘The Passage’ un giusto equilibrio tra le loro influenze più melodic rock ed il prog metal dei Symphony X, un nuovo entusiasmante capitolo di una carriera più luminosa che mai che ha saputo ritagliarsi un posto importante nel panorama prog metal internazionale. [Andrea Schwarz]
Qui è il prog-metal più d’autore a farla da padrone, sonorità solenni e magniloquenti ma al tempo stesso ficcanti ed immediate, intarsiate da un gusto melodico che arricchisce ancor più un album che ha elevato alla massima potenza la formazione guidata da Simone Mularoni. Il blasone, glorioso, è pienamente rispettato. [Alex Ventriglia]

Novembre – ‘Ursa’ (2016)

9 anni d’attesa dopo The Blu, sono tanti. Ma la band romana è riuscita a sfoderare uno dei dischi più belli della propria carriera. Ciò che più colpisce del disco e la freschezza delle composizioni, e la prestazione vocale di Carmelo Orlando. Bellissima come chicca il cameo di Anders ‘Blakkheim’ Nystrom dei Katatonia. [Alberto Gandolfo]
Un ritorno maestoso dopo nove anni di silenzio, un disco complesso e ispirato. I Novembre nella loro forma migliore, non sempre facili da comprendere, con quei tocchi doom e melodie vocali rarefatte che li rendono apprezzabili da un pubblico di nicchia.[Angela Volpe]
Pareva che ottobre non dovesse più finire, e invece i Novembre sono tornati dopo un silenzio durato quasi dieci anni. Ancora una volta con un suono originale e riconoscibilissimo, perché nel possente muro di tristezza messo su da Orlando, c’è sempre un filo di speranza. [Giuseppe F. Cassatella]
Nove gli anni di attesa per la rentrée discografica della band capitolina, anni che quasi sembra non esser trascorsi affatto se ascoltiamo la fresca magniloquenza generata da ‘Ursa’, un album sospeso tra le classiche suggestioni romantiche e una trance agonistica che rivela tanto, dei primordiali istinti dei Novembre. Tra i loro capolavori assoluti, con il frontman Carmelo Orlando che, una volta di più, centra il bersaglio con una prova d’altri tempi. [Alex Ventriglia]

Labyrinth – ‘Architecture Of A God'(2017)

Il secondo album dal ritorno di Thorsen nella band è quello della conferma. Velocità e melodia, assoli e arrangiamenti: ‘Architecture Of A God’ è il modo perfetto di guardare al passato della band senza far sentire il peso degli anni che passati. Un album moderno e personale, eppure già un grande classico. [Dario Cattaneo]
La mancanza dei Labyrinth sul mercato non solo italiano si è fatta sentire. Il ritorno era con tutta probabilità uno dei più attesi di tutti i tempi e i timori, quei pochi che c’erano, si sono dissipati dopo solo qualche nota dall’inizio del primo brano. Fino a ora il miglior disco metal (versante classico) del 2017. Poesia allo stato puro. [Stefano Giorgianni]
Un ritorno che in tanti si aspettavano e che non delude nessuno. Line-up rivoluzionata intorno al trio Thorsen/Cantarelli/Tiranti, ma che conferma, a distanza di troppi anni di assenza, le qualità di una band che, con ‘Return To Heaven Denied’ ha fatto la storia del power metal italiano. [Andrea Lami]
Il disco che segna il ritorno sulle scene di una band che dopo tentativi più o meno riusciti è finalmente riuscita a ritrovare se stessa, ritornando alle origini senza perdersi in pericolose scopiazzature. ‘Architecture Of A God’ va a pescare dai primi lavori della band, dall’imprescindibile ‘Return’ al controverso ‘Sons Of Thunder’, rileggendo perà il tutto con una maturità e un’esperienza elevata all’ennesima potenza. [Fabio Magliano]
Con il nuovissimo ‘Architecture Of A God’, Olaf Thorsen e compari l’hanno combinata davvero grossa, consegnando alla storia non soltanto l’assoluto capolavoro griffato Labyrinth, in grado di distanziare anche il monumentale e ormai leggendario ‘Return To Heaven Denied’, ma a colpire è il modo con cui, con grandissima maturità e spiccata naturalezza, la storica band rielabora e fa respirare a pieni polmoni il proprio stile musicale. Tra i top five del 2017. [Alex Ventriglia]

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