Black Sabbath – In Memory…, cinque pezzi mai eseguiti dal vivo

Il 26/07/2025, di .

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Black Sabbath – In Memory…, cinque pezzi mai eseguiti dal vivo

Qualche giorno fa, in un limbo sospeso tra lo spegnimento dei riflettori sulle celebrazioni del Back to the Beginning e a un soffio dalla tragedia che ci avrebbe per sempre privati dal Madman per eccellenza, del Principe delle Tenebre per antonomasia, non avevo potuto fare a meno di elaborare un pensiero. Se è vero – come ha osservato Brian May – che abbiamo per un pelo avuto la fortuna di assistere al coronamento della carriera di una band i cui componenti originari erano ancora tutti in vita, un caso più unico che raro e reso possibile da una macchina organizzativa e manageriale con i fiocchi, è anche vero che i Sabs, nelle loro tante incarnazioni sia passate che recenti, nonché nell’ultima apparizione all’Aston Villa Park, hanno soprattutto reso omaggio ai primi tre dischi della loro incredibile carriera quando si trattava di “mettere mano ai classici”. Un fatto confermato dalla tracklist del loro primo album dal vivo ufficiale ‘Live Evil’, tanto per citarne uno, con alcune importanti eccezioni: l’attitudine stradaiola di Gillan che portò in tour ‘Supernaut’ e ‘Rock’n’Roll Doctor’ e il coraggio di Martin che affontò a testa alta ‘Symptom of the Universe’ e ‘Sabbath Bloody Sabbath’ su ‘Cross Purposes – Live’. Il resto è stato tutto un fiorire di pezzi tratti da ‘Black Sabbath’ e ‘Paranoid’, con importanti incursioni su ‘Sweet Leaf’ e ‘Children of the Grave’, oltre a quelli estratti dall’album di turno da portare in tour. Questa affezione per i primi, seminali classici è del tutto giustificata dall’incalcolabile importanza di quegli album, ma ha come conseguenza l’aver condannato all’oblio dalle setlist di una serie di canzoni che avrebbero molto probabilmente meritato miglior fortuna. Eppure non è raro incontrare nel jet set musicale gente che professa la sua adorazione per ‘Sabotage’, per non parlare di ‘Heaven and Hell’. D’altronde, per chi ama sia la formazione originale che le diverse incarnazioni guidate anche dal solo Iommi, non è difficile individuare gemme più o meno nascoste in una discografia piuttosto generosa. Personalmente, ero addirittura convinto che nel novero dei “mai eseguiti” rientrassero ‘Back Street Kids’ e ‘Turn Up The Night’, per poi scoprire che la roboante opener di ‘Technical Ecstasy’ è stata suonata nel relativo tour, mentre la seconda, a tutti gli effetti il “gemello diverso” di ‘Neon Knights’, era stata suonata in una manciata di date a ridosso dell’uscita di ‘Mob Rules’, benché come pezzo di apertura il gruppo continuasse a preferire quello di ‘Heaven and Hell’. Se è dunque estremamente improbabile che vedremo esposto ancora lo stendardo dei Black Sabbath su un palco, vediamo cinque tra i pezzi che Iommi e soci non hanno mai eseguito dal vivo…

The Writ (tratto da ‘Sabotage’, 1975)
Il pezzo conclusivo di ‘Sabotage’, oltre a dispiegare una bellezza incommensurabile, ha svariate frecce al suo arco: innanzitutto, è costruito come una suite articolata senza scadere nelle tronfie esibizioni di certo prog, ricalcando il marchio di fabbrica dei Nostri che vede alcuni dei loro episodi migliori finire in un modo totalmente diverso da come erano cominciati. Passaggi ariosi dal sapore quasi zeppeliniano ma riff sempre granitici ne fanno una gemma preziosa, coronata da un testo scritto dallo stesso Ozzy – caso più unico che raro – e dedicato al vampirismo manageriale di Patrick Meehan, che basò la sua fortuna nello spremere la band proprio nel periodo d’oro summenzionato. Le urla lancinanti del Madman e la sua multiforme performance vocale ne sono la ciliegina sulla torta, costituendone probabilmente uno dei motivi di difficile riproducibilità in sede live.

Johnny Blade (tratto da ‘Never Say Die’, 1978)
Le recenti performance di Metallica e Guns N’ Roses al Back to the Beginning hanno riacceso i riflettori su un album che è da sempre considerato la Cenerentola dei Magnifici Otto sabbathiani degli anni ’70, a torto o a ragione. Soprattutto, la scelta dei Quattro Cavalieri di Frisco è caduta su ‘Johnny Blade’, secondo pezzo in tracklist dell’album e caratterizzato da un approccio “fumettoso” al testo che tanto ricorda il classico predecessore ‘Iron Man’ e che farà la fortuna degli Anthrax nel decennio successivo. Manco a dirlo, neanche ‘Johnny Blade’ è stata mai suonata dal vivo dai Black Sabbath, che nel tour di supporto all’album scelsero di inserire la title-track fissa e pochi altri pezzi a rotazione. Una scelta giustificata probabilmente dall’aria di instabilità che riguardava la genesi dell’album e l’esistenza stessa della band, di lì a poco minata dall’uscita definitiva (per i tempi) di Ozzy dalla line-up. Un peccato, dato che l’assolo di chitarra in crescendo – cui Hammett ha reso sufficientemente giustizia – resta uno dei più belli di Tony Iommi.

Wishing Well (tratto da ‘Heaven and Hell’, 1980)
Ora, va detto che questo pezzo è uno dei miei preferiti dell’era di Dio con i Sabbath: strofa perfetta, bridge altrettanto perfetto, assolo di Iommi pieno di quel pathos che solo il controcanto della voce di Ronnie James Dio sapeva donare, un po’ come su ‘Lonely is the Word’, collocata a concludere lo stesso disco. Però ho l’impressione che i Sabbath ne avessero decretato anzitempo il malfunzionamento dal vivo, un po’ come fecero con ‘Lady Evil’, iniziamente sperimentata nelle scalette e poi subito abbandonata. Lo sapremo mai? “Time is a neverending journey”

Trashed (tratto da ‘Born Again’, 1983)
Mi sento di azzardare che siamo dinanzi a una questione di censura, o autocensura, se preferite. Se anche scorriamo gli estratti della seconda parte dell’home video ‘The Black Sabbath Story Vol. 2’, la band non ha neanche incluso questo pezzo nel novero dei videoclip promozionali che invece apparivano in ogni capitolo della loro discografia lì trattato – i video realizzati per ‘Born Again’ erano infatti ‘Trashed’ e il misconosciuto ‘Zero the Hero’. Il tutto è dipeso dall’occhio vigile del PMRC sul pezzo, famigerato per essere la descrizione di una notte brava di Ian Gillan con conseguente distruzione della macchina di Bill Ward? Vero è che la band (Iommi, Butler e Gillan, con Bev Bevan alla batteria) preferì mettere in scaletta ‘Digital Bitch’ ma anche (incredibilmente) ‘Hot Line’, entrambe decisamente in linea con lo stile dell’allora ex singer dei Deep Purple. Una setlist composita, con classici, chicche varie, cover “illustri” e persino l’inclusione di ‘Neon Knights’ e ‘Heaven and Hell’, affontate con il classico piglio beffardo di Gillan.

In For The Kill (tratto da ‘Seventh Star’, 1986)
L’ipotetico ascoltatore che si approcciasse a ‘Seventh Star’ senza conoscere la storia dei Black Sabbath si troverebbe davanti un disco dalle soluzioni tipiche degli anni ’80 ma ben radicato nel decennio precedente per via dell’impostazione quasi bluesy dei due protagonisti principali, Tony Iommi e Glenn Hughes. ‘In For The Kill’ ne appare la perfetta opener, che sarebbe stata altrettanto perfetta in apertura dei concerti dell’insolita compagine, che vedeva i due supportati dalla band di Lita Ford, alcuni membri della quale destinati a grandi riflettori (Eric Singer, futuro Catman dei Kiss degli ultimi decenni). Eppure, al di là del fatto che Iommi aveva concepito ‘Seventh Star’ come un album solista, nella sua bio traspare come all’epoca i Sabbath non erano tanto interessati a dare dignità alle “cose nuove” quanto ad affrontare una sorta di “traversata del deserto” in vista di quel messianico ritorno di Ozzy che si sarebbe sporadicamente realizzato nel corso degli anni. Il tutto ha poi nel tempo assunto una luce diversa, come avevo evidenziato nell’articolo sul cofanetto ‘Anno Domini’, ma qui parliamo di un anno piuttosto turbolento per Tony Iommi: rimasto solo al comando del Sabba Nero e a leccarsi le ferite della mancata reunion paventata dalla partecipazione al Live Aid dell’anno prima, con quella dicitura “Black Sabbath featuring Tony Iommi” imposta a quello che doveva essere un suo disco solista e con la sostituzione di Hughes con il povero Ray Gillen a tour già iniziato che non facilitò il ripescaggio del brano in questione – anche qui, come nel disco precedente, gli venne preferito il primo pezzo del lato B, quella ‘Danger Zone’ che magari appare più diretta e in linea con lo spirito dei tempi. Curiosamente, il progetto Emerald Sabbath vedeva l’inclusione di una versione di ‘In For The Kill’ cantata (gulp!) da Tony Martin, che nella sua militanza con i Sabs affontò solo ‘Heart Like a Wheel’ da quest’album. Sognare non costa nulla e chissà, magari in un ipotetico futuro tour con date selezionate di Iommi e Hughes potremo ascoltare alcune di queste chicche più o meno coperte dalla polvere del tempo…

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