The Library (8) – Intervista a Marky Ramone per Punk Rock Blitzkrieg

Il 02/09/2016, di .

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The Library (8) – Intervista a Marky Ramone per Punk Rock Blitzkrieg

1462284429Marky Ramone si è salvato perché il fato gli ha voluto molto bene ma anche perché, a differenza degli altri Ramones, lui stesso sostiene di non aver mai fatto uso di droghe pesanti. E’ stato alcolista. Finché un giorno è entrato con l’automobile nella vetrina di un negozio e ha quasi ucciso delle persone. Allora ha capito che era arrivato il momento di ripulirsi e di cambiare vita. Così Marc Bell (questo è il suo vero nome) sì è preso del tempo e si è rimesso in sesto. Ha abbandonato lo stile di vita rock n’roll e anche il gruppo che l’aveva reso celebre ma con il quale era praticamente impossibile condurre una vita senza eccessi. E pensare che nel 1983 furono proprio Johnny e Dee Dee a chiedergli di lasciare la band per i suoi gravi problemi con la bottiglia e forse, inconsciamente, gli salvarono la vita. Loro non ce l’hanno fatta e come sopravvissuto ora Marky sente di avere una missione: quella di dire la verità circa i Ramones e la scena punk newyorkese dei tardi anni settanta che ruotava intorno al CBCG’s. Mr. Bell prima di cambiare il suo nome in Marky Ramone aveva suonato nei seminali Dust e aveva fatto parte degli altrettanti seminali Richard Hell & The Voidoids, padrini della poi cosiddetta ‘blank generation’ (dall’ononimo album del 1977), dunque non era un neofita e per questo fu fortemente voluto da Tommy in persona. A vederlo pare un reperto ben conservato: sessantaquattro anni, capelli corvini con frangione da copione, magrezza, chiodo e pelle diafana. Parla con calma, cercando di sgretolare gli stereotipi e di fornire la sua verità su una scena che è stata uno spartiacque nella storia della musica. “Mi ci sono voluti cinque anni per completare il libro. Dovevo trovare uno scrittore in grado di aiutarmi che rispettasse la mia identità e alla fine ho scelto Rich Herschlag, ma poi si trattava di mettersi fisicamente al lavoro, raccogliere le foto, occuparsi delle licenze, etc. E’ stato molto stancante ed infatti credo che non scriverò mai più un altro libro in vita mia”. Forse la realtà è che ci si stanca a rileggere la propria vita alla moviola, rivisitando memorie non sempre piacevoli, riportando alla luce ricordi anche dolorosi che si erano impantanati nello sgabuzzino oscuro del tempo. “Certo scrivere un’autobiografia è come un’operazione di verità davanti ad uno specchio: non puoi mentire a te stesso su ciò che è stata la tua vita, nel bene e nel male, non puoi nasconderti gli errori commessi, ma proprio per tale ragione questo processo è stato estremamente utile. Inoltre ti rendi conto che le esperienze ti hanno reso più saggio, che hai imparato delle lezioni. Quella più grande che mi sentirei di nominare è quella di inseguire sempre i propri sogni, a costo di andare contro tutto e tutti. Quando i Ramones iniziarono non avevano credito ed in seguito vennero legittimati prevalentemente all’interno della scena che ruotava intorno al CBCB’s, che era la nostra casa. Altrove eravamo considerati dei freak e degli sbandati. Invece noi abbiamo perseverato con la nostra verità ed ora, a posteriori, mi rendo conto che nel nostro piccolo abbiamo cambiato un certo modo di approcciare la musica”. Il punk fu un fenomeno di rottura in primis sonoro (canzone brevissime come un pugno in faccia) e poi anche attitudinale perché sentenziava il fatto che tutti potessero fare del rock n’roll, pur senza possedere la tecnica o avere alle spalle una casa discografica, il famigerato motto del DIY. Il punk sentenziava che la musica potesse nascere dal basso e venire dal basso legittimata, in un battessimo molto democratico. Ma che valore ha ancora esso oggi, ora che è stato fagocitato dall’establishment perdendo il valore eversivo originario e trasformandosi spesso in una moda per poser? “Il punk non può morire perché è la voce dell’indignazione rispetto alle ingiustizie e alle brutture dell’esistenza, di cui il mondo è ancora pieno (penso alla corruzione, alla disoccupazione, ma anche alle relazioni sbagliate) . Il punk è bisogno di verità, di coerenza, di denuncia, di lotta, affinché non si diventi inermi e rinunciatari rispetto alle asimmetrie e alle iniquità. Esso è energia di reazione e forza di combattimento. Noi, e in quel ‘noi’ includo anche gente come Patti Smith o i primi Talking Heads, credevamo nel potere d’urto della musica, nell’impatto che essa poteva avere sul sentire delle persone”. Eppure rispetto ai Sex Pistols, ai Clash, e ad un certo punk inglese più estremo, sguaiato o militante i Ramones venivano percepiti per certi versi come un gruppo meno impegnato. “Ma ciò è vero perché noi non siamo mai stati una band dichiaratamente politicizzata. Non abbiamo mai avuto l’intenzione di proporre slogan o ricette ideologiche. Noi suonavamo per divertirci ma lo facevamo in modo sarcastico, scanzonato, rompendo degli schemi e riportando ciò che vedevamo intorno a noi in quel momento senza filtri. Il nostro scopo era quello di distrarre le persone che venivano ai nostri show dai loro problemi facendole stare meglio. Tramite i nostri brani esse potevano rilasciare le tensioni e scatenarsi senza freni liberandosi dallo stress. Ciò che noto oggi nei giovani è una certa abulia, una sorta di rassegnazione nell’accettare tutto. Invece bisognerebbe uscire di casa e tornare per strada a urlare, a protestare per un mondo migliore e a suonare”. Come attore protagonista di un mondo che per le nuove generazioni appare come un passato remoto, Marky Ramone è suo malgrado un’icona. L’influenza dei Ramones come precursori delle scene minimal wave e no wave newyorkesi ma anche del punk in generale è riconosciuta da tutti. “Io non mi sento un’icona ed allora noi non ci rendevamo conto dell’impronta che avremmo lasciato nel music-business. Soltanto con il tempo abbiamo realizzato la nostra importanza, quando molti artisti che non erano neppure così affini hanno iniziato a fare nostre cover o a citarci come principali fonte di ispirazione e come esempio (penso a certi gruppi grunge o anche ai Red Hot Chilly Peppers). Credo che il nostro ruolo abbia travalicato i confini del musicale per diventare veramente generazionale ed attitudinale. Tale consapevolezza mi ha dato una spinta ulteriore nello scrivere il libro. Chi ci prende come esempio deve sapere tutta la verità, deve comprendere le luci ma anche le ombre che spesso ci hanno portati al limite dell’autodistruzione. Se la nostra vita, oltre alla nostra musica, può aiutare qualcuno a stare meglio allora io, come musicista ma anche come persona, ho assolto al mio ruolo”.