Metal Cinema (16) – Vampires

Il 19/05/2020, di .

In: .

Metal Cinema (16) – Vampires

Jack Crow (James Woods) è a capo di un manipolo di cacciatori di vampiri al soldo del Vaticano. La sua squadra, dislocata nel New Mexico, dopo aver distrutto un covo di succhia-sangue nel deserto viene annientata da Valek (Thomas Ian Griffith), potentissimo primo vampiro attestato dalla Chiesa Cattolica. Scampato al massacro Jack, con l’aiuto del fidato socio (e amico) di una vita Anthony Montoya (Daniel Baldwin) e dell’inesperto nuovo sodale Padre Guiteau (Tim Guinee), cerca di scovare e uccidere Valek servendosi del legame telepatico che questi ha con Katrina, una prostituta da lui vampirizzata (Sheryl Lee).

Il maestro John Carpenter, adattando molto liberamente l’omonimo romanzo di John Steakley, si misura con una delle figure più iconiche del cinema horror: il vampiro. In perfetta linea con la propria statura autoriale, però, il regista rilegge l’immaginario vampiresco attraverso una personalissima estetica neo-western (distintiva del suo cinema anche in altre occasioni) e una messa in scena in totale contrasto stilistico con le atmosfere gotiche e nebbiose tipiche del genere. I vampiri di Carpenter sono brutti, sporchi e brutali, e si nascondono in fatiscenti tuguri sperduti nel deserto del New Mexico – “non assomigliano affatto ad un branco di transessuali che se ne vanno in giro in abito da sera a tentare di rimorchiare tutti quelli che incontrano con un falso accento europeo… dimentichi quello che ha visto al cinema!”, dice Jack a Padre Guiteau in una delle sequenze più divertenti (è lo stesso autore che dichiara le intenzioni programmatiche della sua opera attraverso le parole del protagonista).

In perfetta linea con la propria statura autoriale, però, il regista rilegge l’immaginario vampiresco attraverso una personalissima estetica neo-western (distintiva del suo cinema anche in altre occasioni) e una messa in scena in totale contrasto stilistico con le atmosfere gotiche e nebbiose tipiche del genere.

L’ambientazione polverosa e desolata dell’America rurale – enfatizzata dalla “sudata” fotografia di Gary B. Kibbe – dona perciò nuova linfa (soprattutto visivamente) a una formula ormai usurata da decine e decine di pellicole (in tal senso è davvero formidabile la scena in cui i vampiri ‘maestri’ affiorano dalla terra arida nella cornice di un pittoresco e desertico tramonto). Le note regole del filone vampiresco – rispettate in buona parte sul piano narrativo (la luce del Sole, le decapitazioni, i paletti nel cuore) – vengono stravolte anche per quanto concerne la caratterizzazione dei personaggi; il sempre carismatico James Woods – un ‘Van Helsing’ in giacca di pelle rozzo e dalla battuta ad effetto – incarna alla perfezione il tipico anti-eroe carpenteriano: sovversivo, cinico, ma con un suo peculiare codice d’onore. Il suo corrispettivo negativo è invece il vampiro capellone Valek (interpretato dall’ottimo Thomas Ian Griffith), quintessenza del male puro e totalmente privo di venature romantiche (se pur dotato di un portamento fascinoso e ammaliante), che iconograficamente rimanda più a certi look dell’estetica cyberpunk che a quelli dei vampiri classici. Resta impressa inoltre anche la neo-vampira Katrina – tratteggiata con contagiosa sensualità da Sheryl “Laura Palmer” Lee e annoverabile tra le creature della notte più sexy di sempre – la quale, sempre in barba alle solite donzelle virginali dell’horror gotico, è una matura e compiaciuta prostituta (che per di più viene morsa su coscia e vagina).

Resta impressa inoltre anche la neo-vampira Katrina – tratteggiata con contagiosa sensualità da Sheryl “Laura Palmer” Lee e annoverabile tra le creature della notte più sexy di sempre – la quale, sempre in barba alle solite donzelle virginali dell’horror gotico, è una matura e compiaciuta prostituta.

La regia, come sempre essenziale e maestosa, dosa pregevolmente ritmo, tensione, suggestioni visive e tocchi di sottile ironia. Non mancano inoltre alcuni topoi tematici cari alla poetica carpenteriana come l’esaltazione della lealtà nell’amicizia, – quella al tramonto tra Crow e Montoya (davvero emozionante l’addio finale tra i due) o quella nascente tra Crow e Padre Guiteau – l’anticlericalismo (le alte sfere della Chiesa che tramano nell’ombra coi vampiri) e qualche velata implicazione socio-politica – i vampiri ‘comuni’ non sono nient’altro che delle vittime soggiogate dal potere dei più potenti e malvagi (i vampiri maestri e gli alti prelati).
Nota di merito naturalmente anche per la premiata ditta Kurtzman-Nicotero-Berger, che offre succose dosi di grand-guignol (da antologia del gore l’uomo tagliato in due da Valek nel massacro iniziale o la decapitazione del prete in soggettiva), e per le splendide musiche (dello stesso Carpenter) che alternano sapientemente sintetizzatori eterei, organi ‘gotici’ e avvincenti schitarrate rock-blues (il main theme è una delle migliori composizioni del Carpenter musicista).

‘Vampires’ è ad oggi l’ultimo capolavoro di John Carpenter, uno dei pochissimi registi al mondo in grado di perseguire l’autorialità senza mai tradire le regole del cinema di genere. Monumentale.