‘Saint & Sinners’ – compie quarant’anni l’ultimo disco britannico dei Whitesnake

Il 15/11/2022, di .

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‘Saint & Sinners’ – compie quarant’anni l’ultimo disco britannico dei Whitesnake

Ogni volta che mi chiedono quale album ci sia sul mio personale podio dei Whitesnake, rispondo ‘Saints & Sinners’ senza indugi, se non quelli dovuti alla presenza nella discografia del Serpente Bianco di un disco energico come ‘Live… In The Heart Of The City’. Tuttavia, se restringiamo il campo ai soli lavori in studio, è il tormentatissimo album del 1982 a incontrare i miei favori. Tormentato perché registrato da una band che praticamente non esisterà più, nel vero senso del termine: non solo per via del fatto che all’epoca dell’uscita del disco il sestetto era cambiato per metà, ma anche perché quell’avvicendamento fu il primo passo verso una trasformazione radicale dal complesso hard/blues britannico che raccoglieva l’eredità del Mark III dei Deep Purple alla corazzata hair metal che avrebbe conquistato classifiche e cuori oltreoceano nel lustro successivo.
Le registrazioni di ‘Saints & Sinners’ erano iniziate a fine 1981, subito dopo un tour di supporto a ‘Come An’ Get It’ che sembrava aver cementato ancor di più lo status di “allegra brigata” della formazione storica dei Whitesnake. Eppure qualcosa iniziava ad andare per il verso sbagliato, se a fine registrazioni Micky Moody era stato il primo a girare i tacchi. Il problema era John Coletta, storico manager sin dai tempi dei Purple, o era Coverdale stesso? Ovviamente le varie parti in causa hanno raccontato altrettante versioni della storia, fatto sta che mentre il singer si ritirava per deliberare – complice la fine del suo primo matrimonio – anche Marsden, Murray e Paice se ne andavano sbattendo la porta. La storia darà più o meno ragione a Coverdale, che da lì in poi inizierà a costruire un ensemble adatto al rombante decennio appena iniziato: un blues più rockeggiante, nella definizione data da lui stesso, in una codifica che di lì a poco assumerà caratteristiche ben riconoscibili, lanciate dalla scena losangelina e riprese da più gruppi nati negli anni ’70 e in continua evoluzione.
Va detto che non sarebbe stata la prima volta che un disco dei Whitesnake nasceva con una formazione diversa da quella che lo avrebbe portato in tour: sia il successivo ‘Slide It In’ che il blockbuster ‘Whitesnake’ del 1987 sono emblematici in questo senso.
Tornando al 1982, presi a bordo Colin Hodgkinson, il chitarrista dei Trapeze Mel Galley (che farà in tempo a registrare i cori dell’album) e il mitico Cozy Powell dietro le pelli, con il fido Lord e il redivivo Moody in formazione il nostro DC si ritrovava con un disco già pronto e da promuovere, che addirittura fruttò agli Snakes un headlining slot al Monsters Of Rock dell’anno successivo. E che fai, lo metti in un cassetto? Assolutamente no… e per fortuna, aggiungerei. ‘Saints & Sinners’ consta di dieci tracce e ognuna è una potenziale hit, frutto dall’ormai rodata formula compositiva Marsden/Moody, supportata com’era da una sezione ritmica favolosa e dai tasti di avorio di John Lord. A partire dalla tambureggiante opener ‘Young Blood’, passando per ‘Rough an’ Ready’ e ‘Bloody Luxury’, per la classica ‘Victim of Love’ (quante volte abbiamo sentito DC declamare di quest’argomento?) e per l’incalzante ‘Love an’ Affection’, e come tacere di ‘Rock an’ Roll Angels’ e del suo climax costruito ad arte anche grazie alla preziosissima timbrica di colui che aveva impresso il suo marchio su ‘Burn’ e ‘Stormbringer’?
Se i più attenti, poi, avranno notato una certa affinità tra il post ritornello di ‘Dancing Girls’ e il riff portante di una hit malmsteeniana del decennio successivo, ad altri non sarà sfuggita la pesantezza della title track posta in conclusione, in cui l’apertura e la parte centrale sembrano partorite dai Judas Priest di ‘Stained Class’ per via dell’atmosfera oscura che riescono a conferire…
Insomma, impossibile non citare tutti i pezzi presenti su questo platter. Anzi… ne manca qualcuno, vero? Per i due grandi assenti vi rimando agli Hammer Fact, ovviamente. In ogni caso, ‘Saints & Sinners’ è il perfetto canto del cigno di una formazione che tuttora rappresenta molto per gli amanti della fase “britannica” del Serpente Bianco; da allora in poi, nulla sarà più come prima…

Hammer Fact:
– Facciamo un passo avanti e arriviamo al 1987, con l’uscita del disco che avrebbe consolidato il successo a stelle e strisce dei Whitesnake. Anzi, all’anno prima, dato che il processo di registrazione di ‘Whitesnake’ è stato anch’esso tormentato. L’intuizione di David Geffen fu che, sebbene i “nuovi” Whitesnake si presentavano scintillanti e cromati, avrebbero potuto comunque pescare da un lotto compositivo di tutto rispetto quale era quello della fase classica del gruppo. Ecco dunque figurare in bella mostra nella tracklist sia ‘Crying in the Rain’ (opener del nuovo album) che ‘Here I Go Again’, e se la prima venne stranamente tormentata dal drumming (eccessivamente) articolato di Aynsley Dunbar, la seconda rappresentava in pieno quello che i Whitesnake erano diventati: un tappeto di tastiere opera di Bill Cuomo e definito “keyboard heaven” nei credits in luogo del riconoscibilissimo Hammond di John Lord, un suono che più ottantiano non si può, e la comparsa di Adrian Vandenberg nella nuova versione dell’assolo che fu di Bernie Marsden. Persino i due videoclip promozionali non potrebbero essere più diversi, alla maniera dell’evoluzione di ‘You Shook Me All Night Long’ degli AC/DC: sobrio, con il singer castano e con il cappello di Moody in bella vista quello del 1982, denso di cotonature, luci e riccioli biondi quello del 1987, con Tawny Kitaen a fare la differenza…
– Capita sempre così, in un processo che potremmo definire di “sliding doors”, di “what if” e chi più ne ha più ne metta. Fatto sta che un giorno Bernie Marsden stava lavorando a un nuovo pezzo e chiese a Micky Moody qualcosa tipo “non riesco a venire a capo di questa melodia nel pre-ritornello. Mi daresti una mano?”. E l’altro, “ora non posso, sto vedendo il Chelsea”. Il pezzo era proprio ‘Here I Go Again’, che sarebbe diventata una hit “minore” nella sua prima versione, per poi schizzare al primo posto della Billboard Hot 100 quattro anni dopo. A sentir Marsden, il suo baffuto amico avrebbe potuto comprarselo, il Chelsea, se solo avesse smesso di seguirlo per una singola, inconsapevolmente fatale, partita.

Line-Up:
David Coverdale: lead vocals
Micky Moody: guitar, backing vocals
Bernie Marsden: guitar
Neil Murray: bass
Ian Paice: drums, percussion
Jon Lord: keyboards
Mel Galley: backing vocals

Tracklist:
01. Young Blood
02. Rough an’ Ready
03. Bloody Luxury
04. Victim of Love
05. Crying in the Rain
06. Here I Go Again
07. Love an’ Affection
08. Rock an’ Roll Angels
09. Dancing Girls
10. Saints an’ Sinners

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