I trent’anni dell’omonimo, sottovalutatissimo, disco dei Mötley Crüe

Il 15/03/2024, di .

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I trent’anni dell’omonimo, sottovalutatissimo, disco dei Mötley Crüe

C’è un chiaro messaggio nel film ‘The Dirt: Mötley Crüe’ (2019) che non va ignorato, portandoci dritti al disco che oggi andiamo ad esaminare: quando il 14 febbraio 1992 Vince Neil lascia la band, fuori dalla sala prove è esposto un poster di ‘Ten’ (1991) dei Pearl Jam. Sono gli anni Novanta, i benedetti o dannati anni Novanta, lungo i quali le band di successo della scorsa decade hanno dovuto modificare il loro sound, tra applausi e soprattutto critiche. La si può (e bisogna) pensare come si vuole, ma è fuori dubbio che se si contenstualizza un periodo, lo stesso va fatto per i dischi: per i Mötley Crüe sarebbe stato semplicemente ridicolo e sconveniente ripresentarsi nel 1994 con i capelli cotonati e del materiale simile all’ultimo ‘Dr. Feelgood’ (1989), e questo al di là della presenza o meno di Neil dietro al microfono. All’epoca era dura per tutti, sia per i padroni incontrastati Metallica che due anni più tardi usciranno con il primo di ben due “carichi”, sia per gli inossidabili Iron Maiden, la cui statica proposta stava stancando. Sotto questo punto di vista, il cambio di frontman in casa Crüe sembra una manna dal cielo, e la scelta dello sconosciuto John Corabi (apprezzato da Nikki Sixx dopo l’ascolto di ‘Let It Scream’ [1991], disco di debutto dei suoi The Scream, tanto che il bassista lo ammise ad un’intervista per la rivista Spin) per quanto si può ascoltare poi su disco, semplicemente azzeccata. L’umiltà e la devozione del nuovo arrivato nel mettersi a servizio in fase di songwriting crea per la prima volta un gruppo coeso composto da un unico blocco e non più da quattro uomini spesso in competizione tra loro e con ego alle volte smisurati. La tracklist che ne esce eccelle per una maturità energica al passo con i tempi dettati dal Grunge e dall’alternative (grazie ad un Bob Rock all’epoca inarrivabile, capace di risaltare le chitarre di Mars e Corabi così come la batteria), inaspettava per (e da) i Crüe. E, da un lato, sarà questa una croce dell’album. Già, perchè ‘Mötley Crüe’ nasce come un disco “maledetto”, penalizzato dall’assenza del frontman a cui i fan erano affezionati e dal tentativo di allinearsi con le tendenze del periodo. Eppure, se contestualizzato al 1994, l’album funziona: dalla voce granulosa di Corabi, addirittura superiore al suo predecessore per estensione e teatralità, alla pesantezza dei suoni sino alla potenza della maggior parte dei pezzi: da quell’abbraccio “aperto” ma ben scolpito nel periodo dei due singoli ‘Hooligan’s Holiday’ e ‘Misunderstood’, alla ferocia di ‘Power To The Music’, ‘Welcome To The Numb’ e ‘Smoke The Sky’. Certo, lungo la tracklist quel sentore che mescola Heavy Metal e Grunge è sempre presente, ed è forse questo un altro difetto: fondere, seppur sapientemente, questi due continenti non accontenta pienamente nè una sponda, nè l’altra. Quindi, riascoltato trent’anni dopo, nonostante le dodici delizie in scaletta, le croci grosso modo sono state queste. Non serve un “track by track” o l’ennesima recensione, riscrivere e/o rispolverare ciò che poteva essere e che invece non è stato: la scelta dei singoli, lo scarso appoggio da parte della casa discografica e di MTV (che si rifiutò di trasmettere il video di ‘Misunderstood’ a quanto pare a causa della scena iniziale di tentato suicidio da parte di un anziano signore), i flop che ne derivarono, dalle vendite al tour in piccoli palazzetti, o di come tutto questo sarebbe potuto evolvere, se Corabi fosse rimasto. No: quello che è’ stato è stato. Trent’anni dopo è nostro compito farvi riscoprire un disco che personalmente staziona nella top ten degli album Metal ingiustamente sottovalutati, testimone di un gruppo che percorrendo le influenze di metà anni Novanta sfornò un prodotto dal fresco songwriting. C’è chi lo mette sul podio nella discografia del quartetto, e c’è chi crede che invece non rappresenti il sound dei Crüe, ma piuttosto quello degli Alice In Chains (ma se il prodotto finale è comunque valevole, cosa ve ne frega del logo in copertina?). Premesso, come già scritto, che negli anni Novanta la band avrebbe toppato anche se si fosse ostinata a proseguire sullo stesso stile proposto nella decade precedente (non a caso, con il successivo e disordinato ‘Generation Swine’ [1997] le sperimentazioni proseguiranno), è indiscutibile che ‘Mötley Crüe’ sia stato purtroppo ignorato più per l’assenza di Neil che per le sue indiscusse qualità, e questo fa male dato (anche) che i successivi album in studio, tolto ‘Saints Of Los Angeles’ (2008), nonostante il rientro del biondo figliol prodigo non eccellono. Peccato, perchè a differenza di altre band Metal, in quel periodo con i giusti stimoli i Crüe misero ogni tassello al posto giusto per scrivere uno dei loro lavori più ambiziosi e riusciti. ‘Mötley Crüe’: quando un preconcetto, o meglio una fissazione, vince sulla qualità.

Hammer Fact:
– Come da lui stesso ammesso, per Tommy Lee ‘Mötley Crüe’ è uno dei migliori album della band.
– Prima di virare su John Corabi, tra i cantanti provati dai Mötley Crüe ci fu anche Sebastian Bach degli Skid Row, il quale però rifiutò l’ingaggio decidendo di continuare con la sua band, dati il buon periodo ed il clima sereno di quegli anni. Infatti, un anno dopo la pubblicazione che oggi rivisitiamo, esattamente il 28 marzo 1995 gli Skid Row pubblicheranno ‘Subhuman Race’, un album dalle sonorità affini a ‘Mötley Crüe’: non a caso entrambi i dischi vengono definiti i più duri delle rispettive band, e vedono Bob Rock in fase di produzione.
– Come da immagine di questo articolo, su uno sfondo graffiato più “street” che “glam” (come da effettivo contenuto sonoro), il logo della band sulla copertina venne pubblicato contemporaneamente in due colorazioni: giallo o rosso. Ma prima di tutto questo, il titolo tenuto durante la stesura del disco fu, come da ottava canzone in scaletta, ‘Til Death Do Us Apart’. A quanto pare si andò oltre le lavorazioni, dato che la Elektra Records dovette eliminare mezzo milione di copie già stampate con quel titolo, in quanto includevano una foto di Nikki Sixx in uniforme nazista: viene naturale chiedersi come mai si procedette con le stampe.
– Lasciati i Crüe, nel 1996 John Corabi fonderà, assieme all’ex chitarrista dei Kiss Bruce Kulick, il supergruppo Union, con cui pubblicherà l’omonimo debutto del 1998 ed i successivi ‘Live In The Galaxy’ (1999) e ‘The Blue Room’ (2000). A completare la formazione troviamo il bassista Jamie Hunting ed il batterista Brent Fitz.

Line-up:
John Corabi: vocals, rhythm guitars
Mick Mars: guitars
Nikki Sixx: bass, backing vocals
Tommy Lee: drums

Tracklist:
01. Power To The Music
02. Uncle Jack
03. Hooligan’s Holiday
04. Misunderstood
05. Loveshine
06. Poison Apples
07. Hammered
08. Til Death Do Us Apart
09. Welcome To The Numb
10. Smoke The Sky
11. Droppin’ Like Flies
12. Driftaway

Ascolta la band su Spotify

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