The Library (9) – Intervista a Gianni Della Cioppa per ‘I Migliori 100 Dischi Hard Rock’

Il 16/10/2016, di .

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The Library (9) – Intervista a Gianni Della Cioppa per ‘I Migliori 100 Dischi Hard Rock’

Ciao Gianni! È un piacere averti con noi sulle nuove pagine virtuali di Metal Hammer! Prima di tutti ti chiedo come va e di cosa ti stai occupando ora?
Il piacere è mio Stefano. A me va come amo dire sempre “Al meglio che posso”. Attualmente, oltre alle continue collaborazioni con le riviste Classix!, Classix Metal e Classic Rock Lifestyle, sono in stampa con “Verona Rock”, un libro scritto con l’amico e collega Francesco Bommartini, di cui parliamo più avanti.
Domanda a posteriori, visto che il volume è uscito da qualche tempo. Come stanno andando le vendite?
Come ben sai in Italia si legge poco e nel campo musicale funzionano quasi esclusivamente le biografie dei soliti venti nomi famosi. Premesso questo, credo che siamo in linea con le attese della Tsunami. Anche se io sono convinto che questo tipo di libri non esaurisca il suo percorso nel breve, ma è destinato a vendere sempre, anche perché analizzando un periodo preciso, non c’è altro da aggiungere. E quindi la selezione dei 100 dischi proposti, è sempre valida.
Siamo qui per parlare del tuo libro “I 100 Migliori Dischi Hard Rock – 1968/1979 L’Epoca D’Oro” edito dalla Tsunami. Innanzitutto ti domando: come è nato questo progetto?
Avevo scritto una cosa simile venticinque anni fa, ma il periodo era fino al 1991 e quindi comprendeva anche i classici dell’heavy metal degli anni ‘80. Ho voluto tornare sul luogo del “delitto”, con maggior esperienza e conoscenza, restringendo il campo al solo hard rock, perché in questo tempo ho scoperto tanti dischi importanti. Quindi sono convinto che ci sia ancora da offrire agli appassionati di hard rock.
La scelta di pubblicare per Tsunami da cosa è scaturita?
Ho conosciuto Eugenio e Massimo della Tsunami sin dai loro primi passi editoriali ed ho trovato la loro passione contagiosa. Ho apprezzato la loro competenza e da lontano ho seguito la crescita della casa editrice. E così quando, qualche anno fa, mi hanno confessato che io “dovevo” assolutamente scrivere qualcosa per loro, non mi sono fatto pregare. Ed una volta trovata l’idea giusta, eccoci qui.
Quanto è durata la fase di stesura?
Circa sei mesi, ovviamente non continuativi. Nel senso che contemporaneamente, come si può immaginare, ho scritto per le riviste e avviato “Verona rock”, oltre che gestito la mia casa discografica Andromeda Relix, che mi richiede tante energie.
Quando ci si occupa di una selezione di dischi è necessario operare delle scelte molto difficili. Quali sono stati i tuoi criteri di inclusione e/o esclusione?
La bellezza di un libro così è che di fatto scontenti tutti!! Una volta che hai metabolizzato questa cosa, ti senti più leggero ed operi i tuoi tagli senza problemi. Detto questo, una volta stabiliti i capolavori, che occupano almeno 60/70 dischi, i problemi sono arrivati con gli ultimi 30. Ti confesso che ho scritto ad amici e colleghi esperti del genere, per confrontarmi. E debbo dire che i suggerimenti dei colleghi, ma soprattutto amici Tim Tirelli e Giovanni Loria e di Silvano Zago, chitarrista dei Bullfrog, mi hanno tolto qualche dubbio. Come criteri, ho scelto di dare alla selezione un taglio all’hard rock di matrice blues, quello che per molti è il vero rock duro. Evitando le derive garage e proto punk e proto metal o troppo melodiche, concedendomi solo qualche intromissione glam. Quindi no Dictators, Lou Reed, Journey, The Litter, Judas Priest, che pure sono gruppi importanti per il genere, ma che di fatto hanno aperto nuovi percorsi ed influenzato nuovi stili. Mentre io, ti ripeto, ho voluto restare ancorato al concerto tradizionale di hard rock, quindi chitarre valvolari e calore fragoroso blues. Con le dovute eccezioni impossibili da escludere come Boston, Foreigner e New York Dolls per esempio.
Non appena il libro è giunto nelle mie mani mi sono fiondato a guardare l’indice per vedere quanti dei miei “capisaldi hard rock” erano inseriti e, devo dire la verità, pare non ne manchi alcuno dei fondamentali. Quindi arriva la prima domanda bastarda: Qualcuno ti ha contattato per lamentarsi di qualche estromissione dalla tua selezione?
Debbo confessare che, nonostante i social ti rendano facilmente raggiungibile e quindi attaccabile, nessuno ha fatto critiche. C’è stato qualche simpatico scambio di battute con alcuni lettori, ma in generale tutti, almeno fino ad oggi, hanno apprezzato il libro.
100 è un numero tondo, se ti dessi la possibilità di arrivare a 101, quale aggiungeresti e perché?
Tra i dischi esclusi direi sicuramente gli inglesi Armageddon con l’omonimo album del 1975, un’opera unica, esclusa perché arrivata verso la fine del periodo creativo del genere, ma dai contenuti notevoli.
Domanda bastarda nr.2: se i dischi fossero stati 99, quale toglieresti e perché?
Probabilmente l’omonimo degli Head East del 1978, grande disco, ma uscito quando il genere aveva detto molto e quindi c’era un vasto catino di idee da cui attingere.
Ti faccio un nome secco: Magnum. Io ritengo questa band imperativa dal 1982 da ‘Chase The Dragon’, però l’esordio con ‘Kingdom Of Madness’ forse avrebbe potuto far parte del tuo libro. Che ne dici?
Ed io condivido la tua opinione. Infatti non sai quanto ci ho pensato. Ma siccome spero di fare un secondo volume, che racconti l’hard rock dal 1980 ad oggi, quindi l’era derivativa, mi sono ripromesso che i Magnum di “Chase The Dragon” sarebbero stati ben più apprezzati. Ovviamente non so se il libro si farà, ma intanto lo metto nel cassetto, già stracolmo, delle cose future da realizzare.
Dei gruppi che hai inserito, quali sono i tuoi TRE imprescindibili e perché?
Led Zeppelin: il blues, il rock, il folk e mille altre storie: Deep Purple: il rock duro incontra la classica. Black Sabbath: il blues violentato dalla psichedelia.
E qual è stato il primo di questi a farti innamorare del rock?
I Deep Purple di “Made In Japan”. Chi oggi ha meno di 30 anni, non può capire cosa è significato nel 1973 (io l’ho scoperto in quell’anno), per un ragazzino di dieci anni, ascoltare quelle quattro facciate su vinile. Lo so che sono discorsi da vecchio, ma allora la musica e il calcio erano tutto o quasi per un ragazzino. C’era poco in giro, eravamo puri ed ingenui musicalmente e quei suoni mi e ci hanno travolto. Dopo nulla è stato come prima.
A oggi, quali credi siano i grandi nomi in grado di tenere alta la bandiera dell’hard rock?
Dopo anni nelle retrovie oggi l’hard rock sta vivendo una stagione fortunata, ci sono moltissimi gruppi giovani che suonano con uno spirito libero e totalmente freak. Naturalmente ci sono le band storiche: Deep Purple in testa che si fanno ancora rispettare, ma anche Bad Company, Thunder, Budgie.
E fra i gruppi più recenti, stranieri o italiani, quali ti sentiresti di nominare?
In Italia posso dirti che i disciolti W.I.N.D. erano straordinari. Tra quelli attivi direi Bullfrog, Witchwood, J.C. Cinel, Jimi Barbiani Band e Circus Nebula, ma non sono gli unici. Dall’estero arrivano decine di band, ovviamente ne dimenticherò molte, tra le mie preferite sicuramente cito The Answer, Rival Sons, Blackberry Smoke, Siena Root, Big Elf, Blue Pills e meno nuovi, ma ottimi, alcuni dischi degli Spiritual Beggars. Recentemente ho apprezzato le MaidaVale, un quartetto femminile molto interessante. Insomma il rock duro è certamente in buona salute.
Tu sei un nome storico del giornalismo rock/metal in Italia. Come vedi la scena giornalistica musicale italiana al giorno d’oggi, fra il marasma delle webzine e le testate storiche costrette ad arrancare?
Guarda Stefano il giornalismo metal vive esattamente quello che sta succedendo al giornalismo in generale. Noi scriviamo di musica e notiamo questo proliferare di “penne”, che si impossessano di spazi sul web, spesso senza possedere esperienza né competenza. Ma questo accade ovunque. Ho amici che lavorano nel campo economico, del cinema, della pubblicità, della grafica, e dicono le stesse cose: ovvero che la professionalità è andata nel dimenticatoio. Io credo che oramai dobbiamo fare i conti con questo marasma, dove tutti hanno una vetrina. Spero solo che alla fine sarà il pubblico a scegliere e quelli bravi, che sia web che cartaceo, trovino il meritato spazio. Posso solo dirti che mi ritengo fortunato: ho iniziato nel 1989 a Metal Shock con un “provino”, sono stato scelto, dal guru Beppe Riva, tra tanti che si erano proposti e questo è già un risultato. Ho avuto la fortuna di vivere anni gloriosi, dove chi scriveva era veramente un punto di riferimento. Trovo vecchi lettori che mi citano a memoria stralci di mie recensioni dell’epoca. Una cosa commovente. Ecco una situazione così con il web non capiterà mai.
Secondo te la crisi dei marchi storici è dovuta a un ricambio generazionale cresciuto sotto la legge del “tutto, gratis e subito”?
Io penso che sia anche mancanza di rispetto. Io non riesco a concepire che uno non debba pagare il lavoro altrui. Certamente influisce anche questo. D’altronde oggi il messaggio è che tutto ciò che sta nella musica è gratis: musica, concerti, scritti. È triste ma è così. Qualche mese fa ero a un concerto, suonavano tre gruppi stranieri, e dopo mezzanotte si entrava gratis. Pensa che all’ingresso, che aspettavano l’ora fatidica da oltre un’ora, c’erano almeno venti ragazzi, che non sono entrati quando hanno saputo che c’era un biglietto da pagare. Sai quanto era il prezzo del biglietto? Cinque euro? Ho detto tutto.
A dir la verità io temo un po’ la scomparsa delle ultime testate storiche, soprattutto perché siamo un po’ delle mosche bianche in Europa. Metal Hammer, ad esempio, sopravvive, in alcuni casi con diverse problematiche, in Inghilterra, Germania, Spagna, Polonia, Grecia, Bulgaria e lo stesso vale per altri marchi. Perché qui in Italia un nome con tradizione ha un valore così infimo, secondo te, tanto da esser surclassato da webzine e blog?
Credo che sia la fine che faranno tutte le riviste e tutti i giornali cartacei. È solo questione di tempo. Resteranno piccole nicchie per appassionati, che magari avranno l’opzione web e cartaceo. Purtroppo il mondo sta andando in questa direzione. La cosa non mi piace, ma non possiamo fare nulla. È evidente che si dovranno trovare degli strumenti che tutelino la professionalità. Ovvero: va bene scrivere sul web, ma non si possono mettere sullo stesso piano professionisti affermati e dilettanti cialtroni. Ma quello che sta succedendo è esattamente questo. E ti ripeto questo capita in tutti i campi.
In Italia è tutto in crisi anche nell’ambiente musicale, oltre al giornalismo di cui abbiamo già parlato… I locali chiudono, le etichette tagliano i roster, alcuni nomi importanti non fanno nemmeno più tappa qui durante i tour… Dove credi che andremo a finire? C’è possibilità per rialzarsi?
Secondo me la musica non finirà mai, ci saranno solo altre forme di produzione, diffusione e speriamo di ascolto. Bisognerà capire in che modo. Ma è evidente che se non si producono introiti da qualche parte, ci sarà solo una grande marmellata di dilettantismo. Guarda proprio in questi giorni il governo sta vagliando alcune leggi per la musica: sulla tutela del diritto d’autore, finanziamenti per spettacoli ed altro. Per dirti che questa non è una cosa che risolviamo noi su facebook, ma solo se le istituzioni mondiali capiranno che qualcosa deve essere fatto per la difesa dell’arte moderna. Ma il mio timore è, come sempre, che verranno privilegiati i grandi marchi, le corporation, e non parlo di major discografiche, ma di marchi produttivi, che poi hanno lo scopo di influenzare i gusti della massa, dal cibo alla musica alla moda. E questo sta già succedendo se pensi agli sponsor che ci sono dietro i talent show musicali.
Qualche giorno fa ho letto un post su facebook, dove affermavi di aver venduto una miseria di copie della tua Andromeda Relix. A me pare che stiamo navigando nello stesso caos dell’editoria, dove tutti scrivono e nessuno legge. Qui tutti vogliono diventare rockstar, ma in realtà si ascolta gran poco… Cosa ne pensi?
Si è la verità, si suona tanto e ascolta poco. Ma questo vale per tutto ciò che è arte. È legato ai famosi “15 minuti di celebrità” di cui parlava Andy Warhol. Ci sentiamo tutti artisti, tutti creativi, ma il vero talento è una cosa rara. Dovremmo tutti farci un esame di coscienza e capire che non è offensivo vivere l’arte, musica, pittura, teatro, moda… che sia, come passatempo, pur con un approccio serio e professionale. Io mi sento un onesto artigiano appassionato, con qualche stilla di talento che ogni tanto appare. Ma cerco di sostentare il mondo a cui appartengo: compro dischi, vado a concerti, compro e leggo libri. Non si può far parte di un mondo e non alimentarlo. Stephen King dice “Leggo 70 libri all’anno. Peccato non avere tempo per leggerne altri”. E stiamo parlando di uno dei più grandi scrittori viventi. Ma chi suona, ascolta musica che non siano solo i suoi dieci idoli? Va a concerti? Questo è il punto. Che sia chiaro: non parlo da privilegiato, perché io con la musica non ci campo. E il tempo che dedico alle mie cose, è preso in prestito alla mia vita.
Rubo lo spazio a “I 100 Migliori Dischi Hard Rock” per farmi dire da te qualcosa sul progetto “Verona Rock” che stai portando avanti con la Delmiglio Editore.
Si tratta di un volume che vuole dare dignità al rock della nostra città, che da decenni si muove schiacciato da beat e blues, generi che hanno una tradizione forte, oltre che dai ciclopi opera e lirica, che con il festival centenario dell’Arena, come puoi immaginare, erodono tutte le risorse economiche delle istituzioni. Vivo la scena rock veronese da sempre, e ti posso dire che ha dato vita a grandi gruppi ed artisti. Ecco con questo libro, che uscirà per Delmiglio editore, speriamo di concederle la meritata vetrina. Addirittura speriamo che diventi il primo volume di una serie.
Dove vedi Gianni Della Cioppa fra dieci anni? Ancora immerso nel mondo del rock/metal o credi di abbandonare la battaglia?
Qualche volta me lo chiedo anch’io. Penso che finché fisicamente starò bene cercherò di fare la mia parte. Poi sai non è sempre facile fare tardi, tornare di notte in macchina, spesso da solo, da concerti, ascoltare dischi nuovi continuamente, gestire relazioni con cento persone diverse in pochi giorni, parlare con le band, interviste, contratti, conferenze. Ma la passione è tanta e fornisce energie che pensi di non avere. Comunque poi guardo Pete Townsend degli Who che voleva morire a trent’anni e a settanta è ancora un vero rocker e mi sento meno vecchio.

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